Zingaretti, il Pd
e l’assoluta necessità
di voltare pagina
Voltare pagina, urla Nicola Zingaretti alla platea della Convenzione del Pd. Voltare pagina, ripete più volte nel corso di un intervento talmente appassionato da fargli quasi perdere la voce, con il sudore che gli bagna la camicia. Sì, è questa la vera questione che sta davanti al Pd: voltare pagina. Bisogna farlo per recuperare la credibilità perduta, dice, senza illudersi che un eventuale fallimento degli altri possa riportare il Pd in prima linea. Parole giuste, quelle del presidente della Regione Lazio, che vanno dritto al cuore del dramma politico che da un anno sta vivendo la sinistra italiana. Ma sarà davvero in grado il Pd di voltare pagina?
Nei giorni scorsi ha suscitato scandalo un’intervista nella quale Massimo D’Alema diceva testualmente: “Speriamo che il congresso dia a Zingaretti la forza di aprire un nuovo corso politico. Credo, da osservatore e semplice tesserato di Articolo uno, che se c’è una svolta nel Pd si possa riaprire anche una prospettiva di dialogo a sinistra”. A me sembrano semplici parole di buon senso, per certi versi anche ovvie: se un anno fa gli elettori hanno punito tutte le forze di centrosinistra (il Pd ma anche Leu, non dimentichiamolo) un motivo ci sarà. E se ci sarà un motivo – e forse anche più di uno, per la verità – allora vuol dire che bisogna cambiare. Ma per cambiare serve la forza per poterlo fare: serve una legittimazione senza ombre, idee chiare, una strategia che contenga pensieri lunghi per riunificare quello che si è diviso nel corso del tempo.
Insomma, bisogna avere il coraggio di guardare avanti imparando dagli errori commessi. E davanti c’è appunto un dilemma che riguarda il futuro del Pd e quindi della forza principale del centrosinistra italiano. Sarà in grado Nicola Zingaretti, se diventerà segretario, di guidare il partito lontano dalle secche di una pesante sconfitta elettorale e di portarlo in mezzo a quel popolo che ha girato la testa da un’altra parte? Avrà la forza necessaria per condurre il partito su una strada nuova con la chiarezza e la nettezza che si richiedono e che lui stesso ieri ha indicato nel suo discorso? Soprattutto sarà in grado di imporre, al posto del dibattito sui posizionamenti personali o di corrente, tra chi è pro e chi è contro qualcuno, una nuova agenda politica – democrazia, lavoro, uguaglianza, diritti, accoglienza, solo per citare qualche titolo – in grado di ridare alla sinistra il ruolo che ormai ha perduto?
Il primo round dei congressi di circolo ha dato al presidente della Regione Lazio un vantaggio significativo: circa il 48% dei consensi, contro il 36% di Martina e l’11% di Giachetti. Un risultato importante, nonostante qualche tentativo di sminuirlo. Ora, chiusi i congressi di circolo, la questione vera è che cosa potrà accadere tra un mese, quando si svolgeranno le primarie vere e proprie, aperte a tutti gli elettori e non solo agli iscritti, nelle quali si sfideranno Zingaretti, Martina e Giachetti. Lì, in quella domenica dei gazebo, sta il rebus del Pd. Lì sta il rischio più grande: quello che dalle urne esca una vittoria mutilata.
Perché, se Zingaretti vince ma non ottiene il 50% più uno dei voti, come si sa – per colpa di uno statuto che sembra più un gioco dell’oca che un regolamento democratico – il segretario sarà eletto dall’assemblea nazionale. Probabilmente sarà lo stesso Zingaretti – è difficile infatti immaginare un colpo di mano di Martina e Giachetti senza conseguenze catastrofiche – ma con l’ipoteca di un’opposizione interna consistente e soprattutto senza una maggioranza nel parlamentino democratico. Che un segretario così condizionato possa produrre quella svolta che serve, quel voltare pagina gridato da Zingaretti, mi sembrerebbe un’illusione. Se la sera del 3 marzo dovesse presentarsi questo scenario non c’è dubbio che sarebbe un altro colpo a un partito ormai tramortito.
Come avrebbe detto, con la sua proverbiale filosofia dell’ovvio, il Catalano di Quelli della notte: è molto meglio fare il segretario con una solida maggioranza che fare il segretario con una solida minoranza. Certo, ma nonostante l’ovvietà, questo è lo stato delle cose e questo il rischio più grande per il Pd. Solo nel caso in cui Zingaretti riesca a far lievitare il 48% ottenuto nei congressi convincendo gli elettori che vale la pena spendersi con lui per questa impresa politica, solo nel caso in cui nei gazebo il 50% venisse superato in modo netto, allora nel Pd si potrebbe aprire davvero, in modo chiaro e senza compromessi al ribasso, una fase nuova.
Se dovesse davvero andare in quest’ultimo modo – e personalmente spero che vada così – potranno crearsi le condizioni per tentare di affrontare la questione delle questioni: come rifare la sinistra. Come ricucire la tela strappata. Come riscrivere l’alfabeto di un partito nuovo. Come ritrovare il popolo perduto. Come riallacciare i rapporti con il sindacato, a cominciare dalla Cgil di Maurizio Landini. E tutto questo si dovrà fare senza steccati, senza pregiudiziali, senza nuove conventio ad excludendum. Ma anche senza accettare piccoli compromessi, senza annacquare l’identità politica con mediazioni mediocri oppure con accantonamenti repentini delle idee che dividono. E’ un film già visto, inutile mandare in onda una replica.
Per questo resto convinto – l’ho scritto QUI e lo ripeto – che non si debba escludere una separazione. Perché, come dimostra l’andamento di questo congresso, e anche la Convenzione che si è svolta domenica, nel Pd ormai ci sono due partiti. Che a malapena si sopportano e che a malapena convivono.
Carlo Calenda, con il suo manifesto per l’Europa, sta cercando di unificare un’area moderata. E’ un tentativo, spesso condotto con ingenuità e con qualche tratto di arroganza, al quale si mostra molto sensibile una parte del Pd. Non ci vedo niente di male se alla destra del Pd dovesse nascere una forza di centro moderato con la quale dialogare e con la quale allearsi. Non servirebbe a nulla drammatizzare e stracciarsi le vesti: quando un matrimonio finisce è meglio prenderne atto piuttosto che continuare a tirarsi i piatti. Le separazioni, a volte fanno bene.
Direte: sono ragionamenti prematuri. E’ vero, me ne rendo conto. Ma a me è chiara una cosa: o si riesce a disarticolare e poi ricomporre il centrosinistra in modo nuovo e originale – quindi con nuovi soggetti che rappresentino pezzi di società e non pezzi di ceto politico – oppure non si aprirà nessuna fase nuova e rimmarremo prigionieri di ciò che è stato, di questa perenne frantumazione senza idee. Mentre la destra sovranista avrà la meglio per lungo tempo e continuerà a imporre la sua egemonia, il mondo progressista resterà chiuso in casa per un bel po’ prima di uscire a rimirar le stelle.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati