Zelensky a Sanremo: pro e contro di un dibattito surreale (e anche un po’ peloso)
Adesso leggete questa notizia d’agenzia del 25 gennaio e riflettete se è una cosa un po’ surreale o meno: “Il videomessaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Festival di Sanremo andrà in onda prima dello spareggio finale tra i primi cinque classificati per la vittoria”. D-Day l’11 febbraio prossimo, in ora abbastanza tarda. Zelensky è il presidente di un Paese in guerra, Sanremo è Sanremo, come suonava una certa pubblicità della ditta Rai. Fatto? Riflettuto a mente ferma? La semplice idea di ospitare nel metaverso arcitaliano di Amadeus, fra gorgheggi, ipotizzabili cosce lunghe e polemicuzze, glorie consolidate e nuovi rampanti che ci vogliono per dare l’idea che quello è il Festival della canzone italiana ma non è vero niente perché Francesco De Gregori, Paolo Conte, Francesco Guccini, Ligabue, etc. etc. mai ci hanno messo piede in concorso, ecco l’idea stessa (pare germogliata in Bruno Vespa, il cardinale Mazzarino della filiera Mazzini-Teulada-Saxa Rubra) in un posto normale in un’epoca normale che coltiva il senso della misura e della decenza verrebbe cassata come una provocazione di cattivo gusto.
Zelensky a Sanremo: un problema culturale
Ma, ed è un grosso ma, la Rai e come lei qualsiasi media company al mondo, non è un posto normale, è una fabbrica di cultura (lo è sempre stata) che deve anche fare audience altrimenti ciao, è la rete ammiraglia e insieme un termometro politico-sociale dell’aria che tira chez nous e Zelensky è inflazionato però è un personaggio. Sì, riflettete anche su questo: un personaggio. Sotto le bombe. E poi questa non è un’epoca normale, tipo gli ovvii anni Cinquanta di Nilla Pizzi-Dc e Claudio Villa-Pci-Modugno o i contestativi Sessanta e Settanta rossi e neri, è un’epoca fluida dove la mediasfera è pervasiva, governa, condiziona, partecipa con le sue armi info-propagandistiche alle guerre e noi ne abbiamo una alle porte di casa. Quindi Zelensky ok, va bene, è già stato ai festival di Cannes e Venezia e ai Golden Globes, tutte ribalte dove una celebrity può dire le ovvietà che vuole, purché rimangano tali: ovvie, appunto, adatte al palato del pubblico destinato, possibilmente “patriottiche” al fianco dei volenterosi del caso Ucraina. Un innocuo semolino in grado però di provocare una piccola ma sensibile erezione allo share di un mondo a parte, la Televisione. Dov’è lo scandalo? Forse solo nel fatto che da diversi giorni l’Italia nostra non discute – con un briciolo di consapevolezza e preoccupazione – di quale diavolo di cultura, di intrattenimento, di crollo del bon ton umano si sta facendo portatrice e bandiera Rai1, la rete ammiraglia della maggior industria culturale del Paese, quindi non parla dell’unico problema vero.
E Stefano Coletta, il direttore di rete, che dovrà visionare i due minuti zelenskiani registrati e decidere se il semolino scotta e nel caso rivolgersi all’ad Fuortes, come da richiesta del consigliere Riccardo Laganà, rappresentante lavoratori Rai? Che noia che barba, che barba che noia (cit. Sandra Mondaini in “Casa Vianello”). L’epoca è fluida, la mediasfera scorre vibrante come il mercurio in ogni vena della parola pubblica e privata, ma il piccolo mondo antico del bizantinismo buro-televisivo di Stato è sempre lì, dannata creatura degna di un trattato di teratologia, perché a Roma non sono i giornalisti a fungere da watchdogs del potere politico, ma è la politica che decide se mettere o togliere la museruola ai cani da guardia (peraltro ormai sdentatucci e allineati a maggioranza nella missione “paga per il lesso” e il resto mancia).
Il brusio del nulla inutile
Zelensky a Sanremo. Sì o no? Mazzola o Rivera? Il brusio del nulla inutile, della ridondanza sistematica non appena c’è un ossicino a mezzo tra politica e gossip da rodere e un vippino da intervistare per un parere, ché trenta righini fanno sempre comodo, si propaga ormai da quasi una settimana e ciascuno dice la sua, l’Italia è un paese di Commissari Tecnici della Nazionale e, regnando gli infausti social, adesso pure, come il resto del mondo, di commentatori. Quelli che un tempo, al bar, finito di sfogliare il giornale appoggiato al bancone dei gelati se ne uscivano con “lo sapete cosa ci vorrebbe? La pena di morte” oppure “c’è tutta una mafia che tiene nascosta la verità” e la gente si beveva il caffè senza cacarli di striscio; oggi invece pontificano, giudicano a beneficio di ampie platee di followers. Vien quasi da leggersi volentieri sul Fatto l’intemerata dell’ex segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero che vede sì in Zelensky una incarnazione del demonio, ma almeno ricorda che il presidente ucraino “ha firmato con BlackRock la più grande finanziaria del mondo, l’incarico di ricostruire il paese utilizzando come risorse i proventi della privatizzazione dell’apparato industriale. In pratica Zelensky sta usando la guerra per fare un enorme favore alle multinazionali occidentali – e in particolar modo statunitensi – che stanno comprando a prezzi di svendita la terra (l’Ucraina ha il 7% della terra coltivabile del mondo) e le industrie”. Complotto! E che birba quel Zelensky, sembra quasi che la guerra se la sia dichiarata da solo per avere la tangente, comunque un’idea c’è, fa venir voglia di approfondire. Purtroppo c’è anche Byoblu, sedicente “tv libera dei cittadini”, ieri ferocemente no-vax, oggi megafonetto del Cremlino, che ha lanciato una raccolta di firme perché “Vogliamo che sia rispettato l’articolo 11 della Carta fondamentale del nostro Paese. Esso ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie”: viva la Costituzione e sopratutto guardiamoci bene dal ricordare che anche “dedicare” missili a scuole, asili e ospedali sarebbe contro l’articolo 11.
Non sappiamo se Mauro Corona o Iva Zanicchi dichiareranno, sappiamo che de Magistris a La7 ha dichiarato e che, fossimo stati sintonizzati, avremmo cambiato canale perché c’è un limite all’autolesionismo. Sappiamo che Amadeus ha sparato camomilla ad alzo zero: quello di Zelensky “deve essere un messaggio di pace”. Ora, quanto sarebbe stato spiazzante, fuori contesto e sinceramente non ipocritamente carognesco offrire un paio di minutini a Putin? Con Lui non ci si annoia e avrebbe svolto perfettamente la funzione alza-audience del cattivo attizzatore di odio della trasmissione (o almeno di fomentatore di baruffe domestiche). Dopo tante putinate del professor Orsini a Carta Bianca, per una volta ci meritavamo l’originale.
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