Zeffirelli, narciso a volte insopportabile
ma il cinema e il teatro li sapeva fare
Ho incrociato Franco Zeffirelli varie volte, ma non mi è mai capitato di essergli presentato. Forse ne avevo paura. Credo che ai tempi, avesse saputo che lavoravo all’Unità, mi avrebbe ribaltato. Non siamo mai stati teneri con lui. Soprattutto il nostro critico musicale, Rubens Tedeschi, non perdeva occasione per massacrare le sue regie di opere liriche. Adesso qualcuno penserà che erano ordini superiori, provenienti da Botteghe Oscure o magari dal Kremlino, ma non era così. Critici come Tedeschi o come Aggeo Savioli e Ugo Casiraghi (per il cinema) venivano da percorsi ideologici e culturali che con Zeffirelli non c’entravano nulla. Il punto di riferimento, conscio o inconscio, era sempre Luchino Visconti: sia al cinema sia in teatro. Ovvero, colui che di Zeffirelli era stato mentore e maestro, e che Zeffirelli stesso aveva in buona misura “popolarizzato” (si potrà dire?). Ho ritrovato la recensione di Aggeo Savioli a “Fratello sole sorella luna” e la parola chiave di tutto il pezzo (critico, ma non feroce) è “decorativismo”. Questo, in sostanza, gli rimproveravano.
Il “Gesù” televisivo
Troppo giovane (allora!) per recensire i suoi film più famosi o il “Gesù” televisivo, ho contribuito alla mattanza nel 1988, durante la mia prima Mostra di Venezia come inviato. Zeffirelli mi è capitato sotto le grinfie con il suo film forse meno riuscito: “Il giovane Toscanini”. Scrissi il resoconto di una conferenza stampa molto turbolenta. Il film era stato fischiato come poche volte è successo, sia pure nella burrascosa storia di Venezia. Sono andato a rileggermi e ho riscoperto un episodio che avevo dimenticato. Zeffirelli entrò nella sala delle conferenze stampa sotto un uragano di “buuuhhh”, ai quali rispose dedicando a tutti una sonora pernacchia proprio mentre passava a dieci centimetri dal sottoscritto. Poi diede risposte surreali a domande molto prevenute. Era una corrida, e lui non era minimamente disposto a fare la parte del toro. A un giornalista brasiliano che gli rimproverava il fatto che nel film i brasiliani parlassero spagnolo, anziché portoghese (bella grezza, effettivamente), rispose piccato: “Che io non conosca la storia del suo paese è peccato veniale, che non la conosca lei è un po’ più grave”. A una collega che aveva da ridire sull’interpretazione di Liz Taylor dedicò un liscio e busso anche peggiore: “Forse lei è invidiosa. Non potete essere tutte belle come Liz”. Va detto che il regista era su di giri anche perché quella mostra, del 1988, viveva tutta sull’attesa di “L’ultima tentazione di Cristo” di Scorsese, sul quale Zeffirelli aveva opinioni ben poco lusinghiere. Il suo “Gesù di Nazareth”, trasmesso dalla Rai nel ’77, era piuttosto diverso dal film di Scorsese.
Poi il tempo passa.
L’autobiografia
Nel 2006 uscì la sua autobiografia, intitolata semplicemente… “Autobiografia”. La pubblicò Mondadori. Non so perché, la comprai e la lessi. È un libro bellissimo! E fa capire molte cose di quest’uomo, a cominciare dal suo carattere fumantino e dal suo innegabile narcisismo, derivante probabilmente dal suo essere un figlio illegittimo riconosciuto dal padre solo a 19 anni, e dall’aver perso la madre quando era molto piccolo. Rimasi colpito dai suoi racconti della Resistenza, alla quale – almeno secondo il libro, quindi secondo lui – partecipò con coraggio e con sincero spirito antifascista, pur diventando nel contempo ferocemente anticomunista. Rimasi stupefatto da una pagina dedicata a Mel Gibson, che aveva diretto in un ottimo “Amleto” cinematografico del 1990. Gibson avrebbe diretto “The Passion” solo 14 anni dopo, nel 2004, ma Zeffirelli racconta – nel 2006, quindi avendo visto quel film – una cosa impressionante. Stavano al montaggio, e stavano visionando in moviola una scena in cui un attore fingeva di morire (non ricordo se si trattasse di Ofelia, o di un altro personaggio). L’attore disse: “Quelli non sono gli occhi di uno che sta morendo”. Zeffirelli, incuriosito, gli chiese: “Scusa, e tu che ne sai?”. Gibson rispose così (cito a memoria): “Lo so bene. Io ho un allevamento di agnelli, quando li sgozzo di persona mi piace osservarli per bene mentre muoiono, e non hanno quello sguardo”. Mi sembra di gran lunga la più acuta recensione a “The Passion”! Libro notevolissimo, da recuperare.

Nel frattempo avevo recuperato alcuni dei suoi vecchi film. Almeno “Romeo e Giulietta” e il citato “Amleto” sono belli, così come i successivi “Un tè con Mussolini” e “Jane Eyre”. “La bisbetica domata” è delizioso perché quel testo di Shakespeare sembra scritto apposta per Liz Taylor e Richard Burton. A proposito di Burton! Mi è capitato di rievocare con Furio Colombo (che allora lavorava alla Rai) il leggendario “Per Firenze”, un documentario che lui e Zeffirelli realizzarono quasi “in diretta” durante l’alluvione che devastò la città toscana nel 1966. È un pezzo di televisione straordinario, con filmati di repertorio strazianti e a loro modo bellissimi. E per leggere il testo della voce off Zeffirelli chiamò proprio Burton, che lesse il testo… in italiano, con la sua splendida voce!
Un avversario
L’altra cosa da ricordare è che se per alcuni italiani Zeffirelli è stato un avversario artistico e politico (è stato senatore di Forza Italia e amico personale di Berlusconi, si sa) nel mondo, soprattutto anglosassone, è considerato un erede del genio italico, un artista degno delle botteghe rinascimentali. A questo hanno contribuito le sue innumerevoli regie teatrali e liriche, nelle quali era sicuramente più a suo agio che con il cinema. E non bisognerebbe mai dimenticare che il suo “Romeo e Giulietta” del 1965, con Annamaria Guarnieri e Giancarlo Giannini, è considerato uno spettacolo di svolta del nostro teatro. Giannini aveva 23 anni, la Guarnieri qualcuno in più (31), ma era forse la prima volta che i due ragazzi shakespeariani erano interpretati da due “coetanei”.
Insomma, Zeffirelli avrà avuto sicuramente dei difetti, ma nella sua lunga vita ha fatto cose che i leoni da tastiera, già in azione sui social, non riusciranno a fare nemmeno nelle loro prossime duemila reincarnazioni. È giusto salutarlo con rispetto, e rivedere alcuni film: potremmo avere delle sorprese.
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