Whirlpool, bomba sociale
Le “sardine del lavoro”
fermino la dismissione
E’ una “bomba sociale” quella collocata alla Whirlpool, come ben sottolinea Giorgio Sbordoni sul sito di Radio articolo uno. Anzi un bombardamento sociale, potremmo aggiungere, pensando alle 140 aziende barcollanti, in cerca di una via d’uscita. Da Ilva ad Alitalia, Berloni, Safilo, Alpitel, per arrivare a quanto avviene nel settore bancario.
L’inspiegabile contestazione dei sindacalisti
La notizia dell’ultima marcia indietro dei padroni della Whirlpool dilaga sui social con immagini desolanti. Mostrano, ad esempio, un gruppo di operai della fabbrica di Napoli che, esasperati, accolgono la notizia di un rinvio ad ottobre della ghigliottina, ovvero della chiusura, scagliandosi contro i dirigenti sindacali: contro Marco Bentivogli, Francesca Re David, Rocco Palombella. Un gesto male indirizzato. Come se protestassero contro se stessi. E non, come sarebbe necessario, contro chi, al governo, non ha saputo trovare una soluzione.
Un governo in cui il precedente ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, il 30 ottobre del 2018, aveva con faciloneria espresso così un successo considerato personale: “la Whirlpool Mont non licenzierà nessuno…anzi riporterà in Italia parte della sua produzione che aveva portato in Polonia…..Sono quindi orgoglioso di dire che ce l’abbiamo fatta…” (leggi qui ). Palle, come dimostrano gli ultimi fatti.
Che fare a questo punto? Leggiamo su Facebook una nota del gruppo “Napoli non molla” che esprime l’esigenza di un indurimento della lotta. Un invito già raccolto dai sindacati metalmeccanici che hanno proclamato 16 ore di sciopero in tutte le aziende del gruppo. Inoltre quelli di “Napoli non molla” suggeriscono il coinvolgimento delle Università e degli organismi di ricerca delle Regioni interessate (Campania, Lombardia, Marche, Toscana) senza aspettare “i soliti inconcludenti incontri romani”.
Una mobilitazione di forze diverse, capaci di affrontare questa situazione esplosiva, questo insieme di “bombe sociali”. E’ una realtà che chiama in
causa tante riflessioni che leggiamo ogni giorno sul malessere della sinistra, sulle diseguaglianze crescenti, sulla necessità di “aprirsi”. Assistiamo, ogni giorno, ad analisi, riflessioni, convegni, tavole rotonde. Promosse da studiosi, dal Pd, da organizzazioni di sinistra, dallo stesso sindacato. E che fanno scaturire documentazioni utili, conclusioni condivisibili.
Una mobilitazione dalla parte dei lavoratori
Poco, però rimane sul “che fare”. Su come inventare anche delle “sardine sociali” e non solo elettorali per far diventare quelle “bombe” occasioni di cambiamento qui e ora. Suscitando ad esempio attorno a quelle fabbriche, a quel pezzo sofferente del mondo del lavoro, un sostegno di massa. Offrendo anche soluzioni, obiettivi possibili. Invece ci capita spesso di leggere, in corposi studi, come risposta salvifica al malessere, alle “bombe sociali”, la proposta di una garanzia di un reddito minimo per tutti. Soldi, non lavoro.
E giustamente, nel frattempo, si esalta quanto ottenuto dal governo per rimpolpare i salari delle lavoratrici e dei lavoratori occupati. Giusto. Anche se bisognerebbe sempre ricordare che la metà del possibile mondo del lavoro resta fuori. Sono quelli senza lavoro o cacciati dal lavoro (senza bisogno dell’articolo 18), come rischiano alla Whirlpool, o quelli in bilico come all’Ilva. Sono quei tanti giovani costretti a fuggire all’estero o intenti a rafforzare l’esercito dei rider.
Serve un nuovo statuto dei diritti
La Cgil ha elaborato una proposta importante che avrebbe bisogno di essere condivisa, un nuovo statuto dei diritti, dentro una politica di investimenti produttivi. Non dovrebbe però rimanere nei cassetti, dovrebbe vivere nelle lotte, nelle iniziative. Senza accontentarsi delle pur necessarie risposte salariali. É un assillo che percorreva anche i protagonisti delle grandi battaglie di 50 anni fa. Quando c’era chi puntava solo su aumenti eguali per tutti e chi soprattutto sulla conquista di diritti, su nuove forme di potere e partecipazione. Allora si ottenne un risultato grande sulle diverse voci. Ma quello che rimase nella storia furono le nuove forme di potere, i delegati. Quelli che hanno fatto forte e unico il sindacato italiano. Una storia da riprendere, certo da rinnovare.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati