Vittoria scontata per la destra, tiene il Pd, si fermano i cinque stelle, flop Calenda e Renzi
La vittoria del centrodestra nel Lazio la si dava per scontata. Che in Lombardia finisse allo stesso modo era prevedibile, forse sarebbe stato più realistico il superlativo “prevedibilissimo”, ma s’era sperato nel miracolo di un capovolgimento delle sorti elettorali: i sogni sono crollati alle quindici e pochi minuti ai primi exit poll dopo la chiusura dei seggi, quando già Fontana superava il 52 per cento, mentre il suo “collega” romano addirittura scavalcava quel numerino, Majorino in Lombardia si attestava attorno al 34 per cento e D’Amato a Roma attorno al 32 per cento.
Partita chiusa. Le proiezioni e i primi dati assoluti (assai lenta la raccolta) confermavano: il nuovo presidente della Regione Lazio dopo Zingaretti sarà Rocca, con il 53,90 e in Lombardia replicherà il vecchio presidente Attilio Fontana, al bis, con il 54,68, sulla scia di ventotto anni di maggioranze a destra, spartite tra Forza Italia (ai tempi di Formigoni, ora ai domiciliari) e Lega (prima con Maroni), e dopo il mortificante biennio del covid, che avrebbe ucciso anche un cavallo, ma non ha stroncato questi, evidentemente impresentabili, concorrenti e il loro inossidabile incurante pubblico.
Ci sarebbe da indagare assai su questa interminabile pratica di governo, pratica che ha costruito una formidabile rete di clientele, ha distribuito mance e mancette, ha contribuito con i soldi pubblici alla costruzione dell’impero privato della sanità (con la conseguenza del record delle liste d’attesa, per chi non può pagare). La continuità è assicurata. Discorso diverso per il Lazio, dove le amministrazioni regionali sono vissute nell’alternanza, alternanza che si è sempre considerata antidoto alla opacità dei bilanci.
Astensionismo record
Immaginando una considerazione politica di carattere generale, la prima criticità che viene alla luce è data dalla modestissima partecipazione al voto: Lombardia al 41,67 per cento, Lazio al 37,2 (in Emilia Romagna nel 2014 per poco si era fatto di peggio). Percentuali da tragedia della partecipazione, che dimostrano quanto sia lontana la politica, quanto siano lontani i partiti e pure quanto sia lontano l’istituto regionale, costosissimo monumento alla burocrazia, mai vissuto in sintonia dai cittadini. Ci sarebbe da preoccuparsene, ma si può scommettere che domani tutti se ne saranno dimenticati.
Poi ci sono i partiti. Si può dire (ma si potrà dire meglio a risultati definitivi acquisiti) che nel centrodestra, sempre più destracentro, grandi scossoni non ve ne siano stati: si marcia secondo il trend del 25 settembre, con Fratelli d’Italia che trascina gli altri, ma che non riesce ad ammazzare la Lega in Lombardia e infatti Salvini, alla sua sgangherata maniera, ha brindato abbracciando Fontana.
In quello che Enrico Letta aveva sperato diventasse il “campo” largo i più delusi potrebbero risultare i Cinquestelle che nel Lazio, dopo tante polemiche contro il termovalorizzatore, si sono fermati, procedendo in solitaria, senza arrivare alla doppia cifra, ma il bilancio dei Calenda-Renzi è addirittura fallimentare: in Lombardia avevano promesso di spaccare il mondo sostenendo la candidatura di Letizia Moratti e si sono dovuti accontentare del 4 per cento, con la signora ex sindaco di Milano paralizzata, malgrado lo sperpero di quattrini, su un numero di voti che, data la legge elettorale lombarda, non le consentiranno di entrare in Consiglio regionale. Insomma, il risultato della baldanzosa operazione avviata con la regia di Calenda e Renzi, vale meno che zero. Avranno di che riflettere i due e ancor più dovrà riflettere Conte, tradito dalla sua ambizione (o presunzione) di arrivare primo tra i perdenti.
Il “salvataggio” del Pd
E il Partito democratico, intercettato lungo la chilometrica strada del congresso? Non solo si è salvato, ma è andato ben oltre fosche e interessate previsioni. Come ha detto il segretario dimissionario, questa volta giustamente, l’opa di Conte e del tandem di cui sopra è naufragata ignominiosamente. “Dandosi per morto”, ha commentato con ironia, alludendo all’apnea congressuale, il direttore Mentana durante la sua maratona, “il Pd si è quasi quasi risollevato”. Cioè è andato meglio rispetto al fatidico 25 settembre e molto meglio rispetto ai ripetuti (quanto veritieri non si sa) sondaggi che lo davano sotto i Cinquestelle e attorno al 14 per cento.
Le ragioni potrebbero essere tante. Una la si può ritrovare anche in questo eterno, criticato, a volte ridicolizzato, congresso: la discussione delle quattro mozioni e il voto sui candidati hanno acceso i cuori e hanno rianimato i circoli, per troppo tempo messi all’angolo dalle varie gerarchie locali e nazionali, hanno ridato un senso e vita al corpo del partito, che rappresenta la sua forza autentica, la sua identità, il suo ponte verso la società civile, la pratica permanente della democrazia, il suo legame con i territori, “città e campagna”, nel “mondo grande e terribile”.
L’unità delle opposizioni
Gianni Cuperlo, uno dei protagonisti di queste settimane, ha scelto facebook per un breve commento. Riferiamo: “Il Pd ha una tenuta sostanziale, ma conta l’esito. Dopo 28 anni la destra continuerà a privatizzare la sanità e dopo 10 anni di governo del centrosinistra anche il Lazio torna nelle mani di una destra che camminerà sullo stesso sentiero. La morale? Che solo l’unità delle opposizioni può batterli e senza il Pd una alternativa vincente alla destra semplicemente non c’è. Non averlo capito un’estate fa è stata una colpa grave. Anche nostra. Non capirlo oggi sarebbe un crimine politico”. Un sintesi semplice, che condividiamo.
Ci attendono le europee. Intanto Majorino ha fatto sapere che lascerà il parlamento di Bruxelles, per restare in regione: è il modo giusto per preparare una candidatura in vista del prossimo appuntamento.
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