Vince il partito di Draghi
col baricentro al Nord
Pd da rifondare
La sinistra (mi riferisco alle sue idee, e alle forze che seppur timidamente si richiamano ai suoi valori) svolge una funzione ancillare nella potente operazione che la grande borghesia italiana ha avviato col governo Draghi. Si tratta di una borghesia il cui carattere, con molte lodevoli eccezioni, più che imprenditore, è prenditore, e talvolta persino predatorio, e che segna indelebilmente la nuova stagione politica italiana.
Le correnti del PD che controllano i gruppi parlamentari hanno espresso tre ministri, sicuramente competenti, tutti maschi, tutti e tre del nord del Paese, collocati in dicasteri in cui possano disturbare il meno possibile l’allocazione e la gestione delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Dario Franceschini, che ha fatto un buon lavoro negli anni passati per rilanciare la cultura come componente importante di un nuovo sviluppo, si vede sottrarre, per ragioni di equilibrio politico, il turismo, con una scelta sinceramente insensata. Andrea Orlando sarà un ottimo interlocutore per il sindacato, e non mi sfugge l’importanza di questa scelta. Lorenzo Guerini, nella migliore tradizione democristiana, è stato invisibile. Anche Roberto Speranza, espresso da Articolo Uno, vede giustamente riconfermato il suo ruolo nella gestione sanitaria della più grave emergenza del secondo dopoguerra. Ma tutto ciò non basta a dare un ruolo centrale al Partito Democratico e a quanto altro resta della sinistra. L’assenza di figure femminili della sinistra nel Governo è, per il PD, una scelta insensata e suicida.
Dal centro-destra solo “supporto”?
Se poi consideriamo il Movimento Cinque Stelle, che tuttavia conserva uno dei posti-chiave dell’esecutivo, il Ministero degli Esteri, anche la faticosa evoluzione di questa soggettività verso una collocazione di centrosinistra sembra poco premiata.
Si dirà: anche il centro-destra ha una funzione di supporto. Vero. Ma in questo campo la linea tenuta da Mario Draghi ha creato una cesura netta tra la componente moderata e liberale, più europeista, e le tendenze nazionaliste. Non mi riferisco solo alla scelta di Giorgia Meloni (per la quale il Presidente del Consiglio avrà sicuramente tirato un sospiro di sollievo) di rimanere all’opposizione, ma al fatto che Matteo Salvini appare fuori da quest’operazione. La deve sostenere, almeno nella prima fase, chissà con quanti distinguo e mal di pancia, ma il pallino ora passa alla Lega degli amministratori, rappresentata da Giancarlo Giorgetti, a cui è affidato un dicastero-chiave.
Che cosa è successo allora? Di fatto è già nato il partito di Draghi, attorno alla gestione delle risorse europee. Con persone assolutamente competenti e stimabili, a partire da Enrico Giovannini e da Patrizio Bianchi, che hanno già dimostrato capacità di governo e sensibilità alla lotta alle diseguaglianze. Anche le ministre, come Luciana Lamorgese e Marta Cartabia, esprimono sensibilità aperte.
Ma il dato politico non cambia. Un governo del Nord, baricentrato su Milano, il cui tempo non è tanto quello, come si scrive, delle prossime elezioni del Presidente della Repubblica, ma quello del rimodellamento del Paese a partire dalle risorse che l’Europa mette in campo.
Sinistra sconfitta
La sinistra è stata sconfitta nel suo tentativo di gestire queste risorse con un punto di vista autonomo. L’accanimento mediatico contro Giuseppe Conte, da parte dei grandi media controllati dalla coalizione di interessi che ha voluto il Governo Draghi, è sintomatico di un Paese in cui mal si tollera la mobilità sociale, e si addita con sufficienza l’avvocato che arriva dalsubappenino dauno fino ad occupare il palazzo più importante al Potere. Aggiungo che Conte esce a testa alta da Palazzo Chigi, e sbaglia chi sostiene che sia finito. Tuttavia non si può imputare ad altri, se non agli alleati di quella coalizione, la debolezza del Governo nei mesi passati. Le due versioni del PNRR predisposte nei mesi passati sono apparse generiche e ben poco mobilitanti, fabbricate al chiuso dei Palazzi, senza forme partecipative di alcun tipo, pur essendo portatrici di suggestioni e di spunti interessanti.
L’assenza di donne nella delegazione del Governo della sinistra, o il fatto che il tema centrale della transizione ecologica sia stato posto dai grillini, e non dal PD, tutto questo racconta di come l’evaporazione culturale e ideale del principale partito erede della sinistra italiana sia giunta così alla sua conclusione. In qualche modo il PD, partecipando a questo Governo -e sinceramente a questo punto, come suggeriva Michele Prospero nei giorni scorsi, si tratta di una scelta obbligata– esaurisce la sua storia, cominciata col grande racconto di Walter Veltroni al Lingotto nel 2007. Non è più la forza centrale capace di riorientare il sistema. Si trova oggi in una collocazione simile a quella della SPD, in Germania: deve sostenere un’operazione politica gestita da altri. A Berlino la CDU ha il timone. A Roma la prospettiva è quella della formazione di una forza moderata che occupi lo stesso spazio, unendo componenti cattoliche, liberali, ambientaliste.
Cosa possono pensare gli adolescenti -della cui sofferenza in questi mesi ci riempiano la bocca- di una situazione come quella presente? Che speranza possono avere che la loro voce venga ascoltata, e che si possano riappropriare del futuro di fronte a una politica che, dopo toni di contrapposizione frontale su quasi tutti gli argomenti, produce questo cortocircuito unanimistico?
Un partito prigioniero delle correnti
So bene che nel PD non si aprirà un dibattito chiaro su quanto è successo. Si tratta di un partito prigioniero di correnti, controllato in molte regioni da presidenti sempre più onnipotenti, a capo di veri e propri partiti regionali, e soprattutto chiuso nelle istituzioni e nella gestione del potere. Le promesse riformatrici, addirittura di superamento del PD, di Nicola Zingaretti sono rimaste sulla carta, e la gestione degli ultimi mesi, anche da un punto di vista tattico, è stata da parte dell’intero gruppo dirigente sconsiderata.
Il PD, tuttavia, rimane l’unica forza organizzata, e quanto c’è alla sua sinistra non appare nelle condizioni di imboccare una strada alternativa.
Non so se simbolicamente l’evocazione del Partito del Lavoro, fatta da Prospero, basti a disegnare ciò che occorrerebbe fare. Quel che è certo è che -approfittando della tregua politica che con Draghi comincia- bisognerebbe aprire un cantiere, immaginare una Epinay italiana, e cioè un atto federativo e fondativo analogo a quello che François Mitterand, che era esterno al Partito Socialista, fece nella cittadina francese nel 1971, divenendo il segretario del Partito, e che vide la rapida rinascita del socialismo francese liquefatto negli anni precedenti: di un atto che abbia cioè al centro le idee del socialismo. Il socialismo del nuovo tempo, una prospettiva di riscatto dalle disuguaglianze sociali e civili, fondato sui beni comuni -a partire dalla salute-, femminista, guidato dalle donne che portano nuove idee e un diverso rapporto coi problemi della vita, unica possibile transizione ecologica, perché è solo limitando la logica predatoria del profitto che si potrà riorientare lo sviluppo attorno a valori umani. Fratelli tutti, come propone Francesco.
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