Villari: “Machiavelli e l’illusione
della rivolta contro lo straniero”

È morto a novantadue anni lo storico Rosario Villari, studioso della storia d’Italia e del Mezzogiorno, autore di testi fondamentali della storiografia italiana, nonché di un manuale utilizzato da milioni di studenti. Deputato del Pci, Villari è stato editorialista e collaboratore dell’Unità. Per ricordarlo riproponiamo un testo tratto da una relazione a un convegno sul “patriottismo e la riforma della politica” pubblicato sull’Unità del 23 novembre 1996.

Nell’appassionata esortazione patriottica dell’ultimo capitolo del Principe, scritta in un momento in cui l’Italia era già in parte caduta sotto il dominio della Spagna, Machiavelli affidava la speranza della difesa e riconquista dell’indipendenza italiana non soltanto all’avvento di un «principe nuovo». Egli aveva anche o mostrava di avere grande fiducia nella disponibilità delle popolazioni italiane verso l’impresa della liberazione e verso la riforma degli ordinamenti politici che ne era indispensabile premessa e condizione.

In Italia, scriveva, «non manca di materia da introdurvi ogni forma. Qui la virtù è grande nelle membra quando non mancassi ne‘ capi». Le province che avevano sofferto le «alluvioni esterne» – aggiungeva -, avrebbero accolto con amore il nuovo principe: la loro sete di vendetta per le violenze subite nel corso delle invasioni, la loro ostinata fede, la loro pietà lo avrebbero sostenuto. Quali porte – scriveva – gli si chiuderebbero? Quali popoli gli negherebbero l’ubbidienza? Quale invidia gli si opporrebbe? Quale italiano gli negherebbe l’ossequio? «A ognuno puzza questo barbaro dominio…».

La fiducia in una così ampia disponibilità non corrisponde però al quadro che di quel momento hanno poi tracciato gli storici. È stata sempre prevalente l’opinione che gli italiani rimasero passivi di fronte all’invasione straniera e che, in definitiva, si adattarono e vennero a compromesso con gli invasori. La «eroica chiusa» (Dionisotti) del Principe, a parte i dubbi e le discussioni sulla data della stesura, è comunemente considerata soltanto una «visione poetica», come l’ha definita Benedetto Croce, una esortazione retorica del tutto irrealistica in quelle circostanze e per l’obiettivo che indicava.

Vi è in questo giudizio, insieme alla convinzione dell’impossibilità di opporsi efficacemente alle invasioni, anche una reazione alle interpretazioni risorgimentali (quella di Pasquale Villari, per esempio) che hanno attribuito al Machiavelli, con una evidente forzatura, l’intenzione di indicare in quelle pagine una prospettiva di unificazione nazionale. L’uso dell’espressione «libertà dell’Italia», molto frequente nella pubblicistica politica e negli atti di governo in quegli anni, non comportava affatto l’abbandono del particolarismo degli Stati e tanto meno propositi di unificazione nazionale.

Libertà d’Italia, nel rapporto con il mondo esterno, era l’indipendenza dei singoli Stati, ognuno con la sua autonomia: un sistema che aveva come punto di riferimento anche un’idea e un sentimento della nazione, ma con ben definite articolazioni particolari, il cui turbamento era considerato il pericolo maggiore per le comune sicurezza e per la pace (…).

Machiavelli era aperto più di molti suoi contemporanei alla considerazione
d’insieme dei problemi italiani, ma certo non trascurava la complessità della situazione e verosimilmente non pensava alla possibilità di superare, in un programma di rinascita, le realtà statuali esistenti. Anche la sua visione della riforma politica restava centrata in un’area particolare, quella toscana e romana; e non a caso, qualche anno dopo la stesura del Principe, il suo progetto di riforma prese corpo nel discorso sullo Stato di Firenze indirizzato al Papa Leone X. (…).

L’Esortazione fu scritta quando non si era ancora diffusa e affermata la convinzione che l’invasione francese del 1494 aveva segnato una svolta definitiva e aperto una nuova età nella storia italiana ed europea. La seconda discesa francese e l’impianto del dominio spagnolo nel regno di Napoli avevano fatto risorgere le preoccupazioni che il successo della lega italiana contro Carlo VIII aveva attenuato; tuttavia soltanto le esperienze della seconda metà degli anni Venti e l’affermazione in Italia del potere di Carlo V eliminarono incertezze e illusioni sulla dipendenza delle sorti del paese dalle potenze straniere e dai loro conflitti.