Via Cervantes, 55: cronache dall’interno
della redazione napoletana de l’Unità
“E pochi audaci in tasca l’Unità”, cantava Francesco Guccini negli anni Settanta. Avere in tasca l’Unità, a Napoli e in Campania fin dagli anni Cinquanta, quelli eroici della redazione nel “palazzo dei giornali” dell’Angiporto Galleria frequentata nelle diverse epoche storiche da dirigenti politici, intellettuali e scrittori del calibro di Giorgio Amendola, Giorgio Napolitano, Gerardo Chiaromonte, Ermanno Rea, Mario Alicata, Renato Caccioppoli, Luigi Compagnone, Luigi Cosenza, significava far parte di un popolo in marcia che, attraverso l’azione delle forze democratiche e progressiste – il Pci in primo luogo, ma anche il sindacato, i socialisti, e dal 1969 in poi i movimenti organizzati dell’estrema sinistra – fu al centro di un grande processo di trasformazione sociale, civile, economico e culturale. Il dopoguerra di Napoli, la più grande città del Mezzogiorno e la più problematica tra le metropoli italiane dove l’Unità era risorta clandestinamente già nel 1943, fu lunghissimo. La scalata del Pci e più in generale della sinistra, sia politica che sindacale, fu lenta e estenuante. E riuscì a sfociare nei successi elettorali che consegnarono ai comunisti la responsabilità del governo di Napoli solo in capo a un trentennio circa di lotte durissime, in cui al dinamismo delle forze della sinistra, espresso anche attraverso l’esperienza di riviste come Cronache Meridionali, era corrisposta una situazione di sostanziale stagnazione e arretramento civile e culturale della società napoletana e campana nel suo complesso. Con i partiti egemoni elettoralmente incapaci di produrre la rottura democratica introdotta dalla caduta del fascismo e dalla Resistenza. La città delle Quattro giornate, e la regione che per prima aveva cacciato l’invasore tedesco ospitando i primi governi dell’Italia liberata, avevano conosciuto buie stagioni monarco-populiste e poi democristiane, nel segno di una sostanziale continuità dei ceti e delle classi dirigenti che avevano sostenuto la dittatura. In questo contesto la redazione napoletana de l’Unità rappresentò un argine difensivo efficace per evitare che l’ondata reazionaria sommergesse la capitale del Mezzogiorno. Le lotte per il lavoro, l’applicazione della Costituzione repubblicana, l’occupazione delle terre, l’industrializzazione di Napoli e della Campania, uscite a pezzi dal ventennio fascista e dalla guerra, altrimenti taciute per la connivenza dei quotidiani d’informazione locali con il regime monarco-democristiano dominante, trovarono sfogo e amplificazione su quelle pagine, frequentate peraltro da scrittori, poeti, autori, registi teatrali e cinematografici, attori, che erano stabilmente protagonisti della scena culturale nazionale.
Gli anni Settanta passarono come un ciclone sui due decenni precedenti. Nella società civile e nella politica nacquero e si svilupparono, intorno ai partiti di sinistra, dei recettori di nuove sensibilità e istanze che rompevano completamente con il passato. L’edizione napoletana de l’Unità rappresentò uno dei presìdi principali di questa rinascita democratica. La situazione dell’informazione a Napoli risentiva pesantemente degli equilibri di potere che si erano consolidati nel lungo dopoguerra. Sulla scena cittadina e regionale il monopolio della stampa “moderata” sembrava inattaccabile. Due erano i quotidiani che lo cogestivano: il Roma, di proprietà di Achille Lauro, e Il Mattino, l’antico giornale fondato da Scarfoglio e la Serao, da sempre organo della borghesia cittadina. Entrambi molto diffusi e letti, i due storici quotidiani – il primo fondato subito dopo l’Unità d’Italia, nel 1862, il secondo 30 anni dopo – furono a lungo un’espressione attendibile dell’anomala transizione democratica che Napoli e la Campania avevano vissuto nella seconda parte del Novecento. Il primo apparteneva all’uomo più ricco della città che per un tempo non breve, ne era stato anche il più potente; il secondo era controllato dalla principale istituzione finanziaria del Mezzogiorno, il Banco di Napoli, feudo incontrastato della Democrazia cristiana. Erano, il Roma e il Mattino, giornali “di tradizione”, nel senso che, pur esprimendo la linea e la cultura dei ceti dominanti, avevano – soprattutto il primo – il grosso della platea dei lettori nelle classi subalterne, in omaggio a quella “promiscuità sociale” che era storicamente il tratto distintivo di Napoli, non solo nell’età moderna e contemporanea.

In mezzo a queste corazzate la navigazione del quotidiano fondato da Antonio Gramsci fu allo stesso tempo disagevole (per le condizioni obiettive del mercato) e entusiasmante. L’edizione napoletana e campana divennero punti di riferimento per chi, in forza del processo di acculturazione e civilizzazione democratica innescato nei decenni precedenti, ambiva a un racconto della realtà cittadina, provinciale e regionale, diverso e altro rispetto a quello garantito dai giornali “borghesi”. L’Unità, dunque, diede voce agli operai delle fabbriche, agli studenti delle Università, ai movimenti di lotta per il lavoro, la casa, il giusto salario. A metà anni Settanta, con le giunte capeggiate da Maurizio Valenzi, il Pci s’insediava nella “stanza dei bottoni”. E si chiudeva così un singolare quadrilatero: a due passi da Palazzo San Giacomo, c’era la redazione de l’Unità in via Cervantes 55, la strada che mette in collegamento la piazza del Municipio con piazza Matteotti, dove ha sede la Provincia, e dove storicamente la Cgil concludeva le sue manifestazioni. Giusto al centro, in perpendicolare, c’è via dei Fiorentini, la Botteghe Oscure partenopea. Neanche in quegli anni l’Unità rinunciò al proprio Dna di giornale di lotta. Le stanze di via Cervantes, intanto, si popolavano di una nuova generazione di giornalisti, molti provenienti dal partito, che si era formata nel fuoco delle lotte studentesche e operaie degli anni precedenti. Il terremoto del 23 novembre 1980 e la successiva deriva morale della politica rappresentarono la frattura antropologica che segnò, in positivo, il destino politico e professionale di questa generazione di giornalisti, e in negativo la storia di Napoli e della Campania. Va sempre così: l’informazione di qualità si affina ulteriormente, migliora ancora di più esaltandosi, nei momenti di crisi e di passaggio. L’Unità campana confermò questa regola, diventando il giornale dei movimenti di lotta ai clan della camorra – che già nella seconda metà degli anni Settanta si erano dati una cultura e strutture molto simili a quella di Cosa nostra siciliana, e che con il sisma fecero un salto di qualità epocale, imprenditorializzandosi – e, sulla scia della lezione berlingueriana, intensificò la lotta alla malapolitica. Al racconto e alla denuncia dei due attori che cercarono di prendersi la scena della Campania post sisma – la camorra stragista e imprenditrice e il terrorismo – le pagine campane de l’Unità dedicarono inchieste, reportage, approfondimenti tutti corredati dai fotoreportage di Mario Riccio, che hanno fatto la storia del giornalismo non solo regionale, ma meridionale e nazionale. Si venne progressivamente creando un’osmosi con l’attività del Pci, del sindacato e delle forze sociali (il movimento degli studenti anticamorra in primis, protagonista delle prime, storiche marce per la legalità) senza precedenti nella storia della Campania. L’apertura ai movimenti della società civile fece le fortune anche diffusionali del giornale, che chiuse l’edizione solo dopo la prima, storica, crisi editoriale che investì la proprietà alla metà degli anni Ottanta. Più tardi, nei primissimi anni Duemila, un manipolo di volenterosi ci riprovò, con l’Articolo. Ma il mondo era completamente cambiato. E i pochi audaci di Guccini si erano completamente diradati, nel buio di una transizione, politica e culturale, dalla quale ancora oggi la sinistra fa fatica ad uscire.
Sarà presentato questo pomeriggio alle 17.30 a Napoli, alla Fondazione Gerardo Chiaromonte in via Toledo, il volume “Le ragazze e i ragazzi di via Cervantes. Quasi una cronaca delle vicende e dei percorsi della redazione napoletana de l’Unità”, edito da InfinitiMondi e curato da Gianfranco Nappi. Si tratta del quarto volume della speciale collana interamente dedicata al centenario della nascita del Pci. Alla presentazione di oggi interverranno Federico Geremicca, Nora Puntillo e Luigi Vicinanza. Con Gianni Cerasuolo, Marcella Ciarnelli, Vito Faenza, Franco Feliciotti, Giuseppe Mariconda, Nando Morra, Gianfranco Nappi, Ilaria Perrelli, Felice Piemontese, Valentina Riccio, Ennio Simeone, Benito Visca. Coordinano Massimiliano Amato e Antonio Gagliotti. Pubblichiamo un estratto dell’introduzione al volume.
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