Vecchi gioielli da recuperare: il revival delle musicassette
E dunque adesso abbiamo anche il revival della musicassetta. O meglio, della cassetta, come si dice ormai da decenni, anche se Compact Cassette, musicassetta e addirittura K7 sono stati nomi in uso. L’immagine della cassetta già da qualche tempo aveva un fascino nostalgico: c’erano in giro custodie per telefonini, quaderni, portamatite e altro con stampata una musicassetta come icona di un passato irrimediabilmente perduto. Che questo avvenisse, e tuttora avvenga, era giustificato dal fatto che come altri apparecchi di grande diffusione fino a qualche decennio fa (ad esempio, i telefoni col combinatore a disco) i registratori e i lettori di cassette erano scomparsi: ed erano scomparsi – a differenza dai telefoni, ritirati dal mercato dalla Telecom – perché prima o poi tutti avevano cessato di funzionare.
Con l’eccezione di qualche modello sofisticato e costoso, che aveva più motori a trazione diretta, i registratori a cassette erano messi in funzione da un unico motore che azionava i sistemi di trazione del nastro (i due ingranaggi che facevano muovere il nastro in avanti o indietro, e la rotellina o capstan che lo faceva scorrere a velocità regolare durante la registrazione e la riproduzione) attraverso una serie di pulegge e di cinghie di gomma: quelle cinghie, più o meno dello spessore di un elastico, ma relativamente rigide, dopo anni e anni si sono sbriciolate, rotte. A un certo punto, chi infilava una cassetta nel registratore e premeva il tasto “play” avrà visto che il nastro non si muoveva più. Molti registratori, piccoli e grandi, sono finiti nella spazzatura solo per questo. E dire che bastava sostituire qualche cinghia di gomma.
Non tutti, però, hanno buttato via la propria collezione di cassette. All’inizio, nei primi anni Sessanta, i registratori erano mono e a bassa fedeltà, penalizzati dalla bassa velocità di scorrimento del nastro e dalle sue dimensioni ridotte. Anche la regolarità dello scorrimento del nastro lasciava a desiderare, e gli utenti con qualche pretesa di qualità si familiarizzarono con parametri dai nomi fumettistici, “wow” e “flutter”, che misuravano quei miagolii a bassa o alta frequenza che affliggevano le registrazioni.
Chi volesse rendersene conto ascolti l’inizio di “Street Fighting Man” dei Rolling Stones (è un pezzo del Sessantotto!), dove la chitarra ha uno strano effetto tremolante, dovuto al fatto che Keith Richards la registrò con un apparecchio a cassette dell’epoca, alla ricerca di un sound “sporco”. Man mano, già alla fine di quel decennio, apparvero registratori e lettori stereo (per le autoradio, fra l’altro), e la qualità migliorò; il passaggio decisivo arrivò all’inizio degli anni Settanta, con la diffusione del Dolby e delle cassette al biossido di cromo. A quel punto si potevano fare copie di qualità dei propri dischi (vinili, per i millenials), che in genere risultavano migliori delle cassette preregistrate vendute dalle case discografiche: quelle venivano duplicate ad alta velocità, e il suono non era mai adeguato; spesso poi, per risparmiare micragnosamente su qualche centimetro di nastro, le sequenze dei pezzi sulle due facciate venivano modificate rispetto all’album originale, in modo che la durata del lato A fosse più vicina possibile alla durata del lato B. E i discografici cominciarono a lamentarsi del fatto che i consumatori duplicavano i dischi invece che comprare gli “originali” su cassetta!
L’epoca d’oro della cassetta arrivò con l’introduzione del Walkman (1979), e poco dopo con la nascita del cd (1982-1983). Con il Walkman si poteva ascoltare musica dappertutto, mentre per quasi tutto il decennio i lettori portatili di cd pesavano come cinture da sub, e il disco saltava alla minima scossa. Divenne pratica molto comune quella di copiare gli album da cd a cassetta: il risultato – anche se non uguale al suono originale del cd – era comunque di gran lunga migliore di quello di un album analogico o di una cassetta preregistrata, e la cassetta copiata si portava in auto, in treno, sui mezzi, facendo sport. Il “vinile” declinò e la copia privata divenne un’ossessione per l’industria del disco. Finché non arrivarono lettori di cd portatili, e da auto, leggeri e insensibili agli urti, e il mercato delle cassette e dei registratori cominciò a risentirne.
La Philips nel 1992 tentò di riattivarlo con un’idea che ai dirigenti olandesi sembrava geniale: la Digital Compact Cassette, una cassetta digitale registrata da un apparecchio in grado di riprodurre anche il vecchio formato analogico. Nonostante le pubblicità nelle quali la multinazionale si autocelebrava (“L’abbiamo fatto!”, sotto la foto di una musicassetta, “L’abbiamo fatto ancora!”, sotto la foto di un cd, “E l’abbiamo fatto di nuovo!”, sotto la foto di una Digital Compact Cassette), la DCC fu uno dei fiaschi più clamorosi nella storia dell’industria della riproduzione del suono, dai tempi di Edison, e peggio ancora della quadrifonia. Dopo un anno dal lancio, nessuno ne sapeva più niente; più o meno nello stesso periodo cominciavano a diffondersi i masterizzatori di cd, e su Internet cominciava a circolare un acronimo misterioso, mp3 (l’industria musicale ha una vocazione speciale al suicidio, come si vede).
Ma nelle nostre collezioni di cassette sopravvissute ci può essere qualche gioiello: ricordi di famiglia, la registrazione di un concerto, la copia di un album che non è mai stato rimasterizzato, o di cd che sono spariti dal mercato. Vale la pena di riascoltarli, e anche di convertirli in formati digitali più maneggevoli, usando i riproduttori con porta USB (per lo più di qualità discutibile) che decine di marchi cinesi stanno mettendo sul mercato, o meglio facendo riparare quella vecchia piastra che vi siete dimenticati di buttar via. Attenzione: non solo le cinghie di gomma, ma anche l’ossido dei nastri potrebbero non aver retto al passare del tempo, e sfarinarsi al primo passaggio sulla testina: certe marche hanno retto meglio di altre. Con i nastri preziosi degli archivi discografici si procede a una cottura in forno, in modo da fissare di nuovo l’ossido alla plastica del nastro, ma chi volesse provarci sia prudente, se non vuole trovarsi in cucina un po’ di cassette sciolte e carbonizzate, trasformando il revival in una definitiva cremazione.
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