Vecchi “analfabeti informatici” e giovani “maghi” della tastiera: e se fosse solo marketing?

Entro in un ristorante e mi siedo a tavola. Comoda reliquia del Covid, un QR code sostituisce il menu cartaceo. Il cameriere vede i miei capelli bianchi e cerca di spiegarmi come si usa. Avrò uno smartphone? In un altro posto, un circolo culturale, bisogna iscriversi. Anche lì bisogna inquadrare un QR code, per accedere a un modulo online da compilare. La persona che sta all’ingresso ha un momento di esitazione che mi permette di inquadrare il codice, prima che il tizio inizi a spiegarmi come si usa.

Nella serie spagnola Entrevías il protagonista è un nonno (avrà grosso modo la mia età), e tiene il suo vecchio PC – per usare il quale ha seguito un corso molti anni fa – sotto una coperta, perché ha sentito dire che i computer possono essere attaccati da dei virus.

Da dove viene questa immagine dei “vecchi” digiuni di tecnologia, imbranati, incapaci? E da dove viene quella dei “giovani” che sanno tutto, che sono dei maghi?

Steve Wozniak, socio fondatore di Apple insieme a Steve Jobs (e dei due il più brillante dal punto di vista tecnico) è del 1950. Federico Faggin, progettista del primo microprocessore, è nato nel 1941. Ken Thompson, che ha creato il sistema operativo UNIX insieme al suo collega Dennis Ritchie (1941-2011), a sua volta progettista del linguaggio C, è del 1943. Fra i più giovani ci sono Tim Berners-Lee, creatore del world wide web, e Bill Gates, entrambi del 1955, come del resto Steve Jobs: anche lui, se ci fosse ancora, navigherebbe verso i settant’anni. Guido van Rossum, l’olandese che ha creato Python, uno dei linguaggi di programmazione più usati negli ultimi anni, è del 1956. Sophie Wilson, co-progettista dell’architettura ARM, che sta alla base della maggioranza dei microprocessori usati negli smartphone e dei chip M1 e M2 dei computer Macintosh, è del 1957.

Ma anche senza elencare le date di nascita di tutti gli inventori e le inventrici delle tecnologie informatiche attuali, basta pensare (ma qualcuno lo ricorda?) che il primo boom dell’informatica personale risale all’inizio degli anni Ottanta, e quelli (e quelle) che allora iniziarono a programmare (in Basic, in Pascal, in Forth, in Assembly), a usare word processor, spreadsheet e programmi di grafica erano nati negli anni Cinquanta e Sessanta, e oggi avrebbero tra i sessanta e settant’anni.

Può darsi che alcuni non si siano aggiornati, ma presentarli tutti come degli analfabeti informatici è una forzatura. Ideologica. Così come è certamente ideologica la narrazione che vede le generazioni dei nati dopo il 1980, o quelle del nuovo secolo (secolo, non millennio: basta con queste sbruffonate, come se fossimo nel 2500!), come inerentemente capaci. Ma è così: a qualcuno, o a qualcosa, deve servire.

Proviamo a formulare un’ipotesi. Le tecnologie richiedono e promuovono lo sviluppo di competenze logiche, di una capacità di attenzione e concentrazione razionale, che probabilmente risultano incompatibili con l’egemonia delle emozioni, utili a vendere tutto, dai SUV alle merendine, a una politica di destra, e chi meglio le può rappresentare dei ventenni? Che “naturalmente” padroneggiano la tecnica: guardiamo chi sono i protagonisti e le protagoniste degli spot di automobili, alla guida di mezzi per i quali probabilmente la patente che hanno (se ce l’hanno) non vale. Certo, solo loro le sanno guidare, non i “vecchi”.