Valditara e la democrazia mutilata dagli eredi del fascismo

Il lezzo fognario emanato dagli atti squadristici di Firenze induce giustamente e comprensibilmente a reagire con manifestazioni antifasciste. Per ora tuttavia la violenza politica, e persino quella criminale, in Italia rimane a livelli modesti in base a qualunque confronto internazionale. Specie se commisurata all’enorme e dilagante disagio sociale, che invece da noi supera la media dei Paesi economicamente più sviluppati.

“Una scuola democratica, non politica”

Il senso profondo dell’antifascismo, di cosa ha significato e dovrebbe significare anche oggi, si coglie piuttosto nelle parole del ministro Valditara. Egli si è scagliato contro la lettera della preside Savino, fino a minacciare un provvedimento disciplinare: a suo avviso infatti l’invito a condannare lo squadrismo e a tenere presenti grandi personalità antifasciste da esso martirizzate costituirebbe “una lettera politica”. Secondo Valditara, infatti, la scuola valditaranon dovrebbe essere antifascista, bensì “rispecchiare i valori democratici della costituzione”, il che per lui comporterebbe “una scuola democratica, non politica”. La scuola in base a ciò dovrebbe quindi promuovere un sistema di libertà basilari ed elettorali, ma non insegnare le finalità sociali della Costituzione (art. 1 e art. 3 in primis). Né l’esperienza storica di come dal 1922 il fascismo spazzò via una democrazia incipiente, praticando la repressione sistematica (prima omicida e poi anche carceraria) del lavoro organizzato. E costruendo prestazioni sociali corporative, ovvero anti-egualitarie, secondo precise scelte di consenso e gerarchie sociali. La democrazia insegnata a scuola non dovrebbe insomma più evidenziare la differenza fra il suddito di una dittatura della disuguaglianza e il cittadino dotato di diritti in una repubblica con finalità egualitarie reali.

Certo, il fatto che comunque Valditara indichi una forma, per quando impoverita, di liberal-democrazia marca una differenza con iI fascismo storico, e valorizza in modo significativo il temine post-fascista. Ma è interessante vedere meglio quali sono, fra fascismo e post-fascismo, le continuità e discontinuità.

Fascismo e post-fascismo

Il fascismo di cento anni fa era programmaticamente nemico della democrazia, e gran parte dei nostri ceti possidenti, nonché una particolarmente nociva Casa Savoia, lo preferirono rispetto alla netta avanzata socialista e popolare, che stava per imporre una trasformazione del sistema elitista e notabilare. Negli anni 1970 la situazione fu ancora diversa: anche allora la violenza politica a differenza di oggi era molto diffusa, non solo a destra come è noto. Ma qui vogliamo rilevare che in una repubblica saldamente antifascista, e durante una forte avanzata sia di riforme socialiste (al governo) sia di consensi elettorali comunisti (all’opposizione) ambienti cold warrior e conservatori utilizzarono (come già i possidenti e i Savoia del 1922) l’opera di fascisti ancora pienamente tali. Tali cioè non solo, come oggi, per provenienza storica rivendicata ma per esplicita finalità politica e sistematica violenza. Stavolta la strategia fu mista: non sempre abbattere la democrazia (non in Europa occidentale).

Ma farlo in alcuni casi (in Cile ed in Grecia) sulla base ad esempio delle teorie di Hayek e Friedman, secondo cui Allende era un totalitario perché riformava in senso socialista l’economia di mercato. Pinochet, invece, era per Hayek solo un dittatore necessario a restaurare il libero mercato neoliberale e dunque a sventare il “totalitarismo”. In Occidente ed altrove l’uso della violenza fascista mirava invece ad una generalizzata “stabilizzazione all’indietro”, reagendo ad un mondo che inquietava certi teorici neoliberali e personalità al potere. Inquietava la forza dei sindacati, inquietava quella dei movimenti giovanili e pacifisti, attivi ancora negli anni 1980 fino a Gorbachev e alla definitiva distensione. Ed inquietava la forza del Sud del mondo, espressa proprio da Allende, ma anche dalle teorie del New International Economic Order, del “diritto allo sviluppo” e del nuovo ordine in cui contasse di più l’assemblea dell’ONU.

Il post-fascismo oggi

Oggi il maggior fine di porzioni ampie del centro-destra europeo è, dopo avere piegato i loro partiti al nazionalpopulismo (così i tories britannici e il GOP negli USA, ma anche gli omologhi nordici o austriaci), quello di convergere con forze post-fasciste come FDI o gli Sverigedemokraterna (questi ultimi in Svezia non governano con ministri, ma il loro controllo dell’esecutivo è totale e sistematico). Il fine di ciò non è spazzare via la democrazia liberale, ma un’espulsione da essa della particolare pregiudiziale antifascista, sostituendola con una genericamente “anti-totalitaria”. Le ragioni politiche di questo “conservatorismo radicalizzato” s’intrecciano con quelle di tipo storico: il generico “anti-totalitarismo” equipara i post-comunisti ai post-fascisti, il che (essendo comunisti e post-comunisti legittimati da sempre sia come attori parlamentari sia al governo) nella pratica compie del tutto lo sdoganamento degli eredi del fascismo.

Proprio quanto si scorge nelle parole di Valditara e nell’opera di Meloni: una retorica pubblica che mira, come è ormai noto, a mutare gli equilibri della politica europea, convincendo il PPE a rompere lo storico patto “gestionale” con il PSE. La ricaduta italiana di ciò è poi anche ideologico-costituzionale: la fine di una democrazia retta dalla costituzione antifascista, e grazie a questo, come dicevamo sopra, “depurata” dalla “politica”, ovvero dalle finalità stesse della “repubblica nata dalla Resistenza”. Depurata quindi dal dovere di equilibrare i dislivelli di potere fra la classi, di assicurare diritti sociali eguali fra Regioni, nonché di garantire welfare a tutti e non solo a chi può permettersi un’assicurazione. Cambiano i modi, ma gli eredi del fascismo come i loro padri sono ancora una volta strumenti di una “stabilizzazione all’indietro”. La sinistra non deve limitarsi a qualche manifestazione contro uno squadrismo ributtante, come ha fatto negli ultimi decenni. Deve opporsi alla restaurazione sociale ed al disegno di democrazia mutilata, ed inevitabilmente astensionista, che c’è dentro. Cosa che non fa invece da troppo tempo. Solo così rimarrà davvero degna della sua tradizione antifascista.