Un’alternativa al potere che costruisce nemici e capri espiatori
La politica è fatta di bisogni e interessi, ma in democrazia conta soprattutto come vengono rappresentati.La dilatazione recente del marketing elettorale è il punto d’arrivodi un processo lungo millenni. Sono cambiati – veloci ed esasperati – i canali.
I fatti, in sé, sono muti. Parlano se qualcuno li fa parlare. Per farlo ci serviamo di parole e di immagini, che componiamo in narrazioni. Dal resoconto di un giornale al comizio, dal mito alla storia, tutto si regge su un plot.
La narrazione è un’esperienza determinante nella vita dei popoli e in quella degli individui:li aiuta a trasformare un materiale indifferenziato e caotico in un insieme più ordinato. Ci rappresenta a noi stessi e ci dota di una memoria; ci fornisce una chiave per comprendere la nostra umanità e il nostro tempo.

Attraverso le storie noi organizziamo la nostra conoscenza; interpretiamo le azioni dei nostri simili e diamo significato alle situazioni in cui ci troviamo; cerchiamo di comprendere la natura delle esperienze e delle dinamiche relazionali entro cui siamo inseriti;pianifichiamo il nostro agire futuro.Alle storie chiediamo rassicurazioni. Sono le storie che costruiscono il senso comune (il senso comune è “ciò che tutti pensano”, e acquista un valore tautologico di verità per il solo fatto di essere “pensato da tutti”).
Ci sono, nelle storie,elementi stabili: un narratore; dei personaggi; una struttura in cui si mescolano le passioni e le retoriche; una scena/cornice di volta in volta attualizzata, ma ripetuta (la ripetizione è un difetto per il discorso argomentato, non per la narrazione).
Ci sono personaggi (l’Eroe, la Vittima, il Padre buono, ecc.) che sono fissati in modo archetipico nel cervello umano, al punto da attivarsi automaticamente.
Ci sono strutture facili da costruire, come la dialettica – nota alle fiabe dell’infanzia –che contrappone gli eroi buoni e i cattivi; lo sforzo del narratore sta solo nell’inserire se stesso e i propri lettori nel primo gruppo, confinando di volta in volta qualche gruppo a lui inviso nel secondo.Con la polarizzazione si trasforma la politica in bande di tifoserie contrapposte.
Si inizia con la denigrazione, si citano esempi e immagini che spaventano (l’invasione?), si mettono in campo l’insultoe il disprezzo (froci! negri!) o descrizioni caricaturali (le suffragette, i buonisti, i professoroni). Solo dopo verrà la violenza vera e propria, a quel punto presentata e accettata come legittima, dunque diffusa.
Avere un nemico è fondamentale, orienta i seguaci, crea senso di appartenenza. Nelle crisi e nelle calamità serve a rappresentare un bersaglio contro cui scagliarsi e su cui riversare la propria rabbia, scaricare il malcontento, le frustrazioni e le ansie diffuse nel vissuto popolare.
Bisogna fare un’opportuna manutenzione dell’idea di nemico: bisogna evocarla, alimentarla spesso in modo da tenerla viva, ripugnante o terrorizzante quanto basta.
La figura è ben nota, e i sistemi autoritari e oscurantisti l’adottano da sempre, con fredda premeditazione. Si tratta per loro di un’operazione facile e conveniente. Lanciano il sasso nello stagno: il resto lo fa con gratuito entusiasmo il tamtam della gente, la voxpopuli.
La storia ha prodotto senza sosta capri espiatori, come nel rito antico destinato a placare con un sacrificio l’ira degli dei: possono essere minoranze etniche o religiose, o portatori di comportamenti minoritari, o addirittura corpi non conformi.
Altro bersaglio consueto è il fronte esterno: il complotto organizzato o da un nemico storico (i comunisti? la Francia?), o da un’entità astratta dai contorni non delineati ma dal fantasma minaccioso. Possono essere la congiura plutogiudaicomassonica o i poteri forti, le agenzie di rating o le istituzioni europee. Tutti insieme è ancora meglio.
Contro la narrazione la sola argomentazione si dimostra impotente, perché il circuito cerebrale che alimenta la prima è più rapido e più affascinante, meno faticoso e più veloce.
Più sensato, per una forza politica, sarebbe elaborare narrazioni alternative, riformulare scena e struttura. Prendere un’esperienza definita negativa e proiettarla in un altro contesto, dove invece sarebbe di grande vantaggio.Prendere la stessa esperienza e cambiarne il significato.
Proporre altre narrazioni, anticipando gli avversari.
I semiologi lo chiamano reframing. Cornici alternative.
Avercela, un’alternativa.
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