Oltre un secolo di battaglie
112 anni fa nasceva la Cgil
La Confederazione generale del lavoro (CGdL) nasce al primo Congresso di Milano del 29 settembre – 1° ottobre 1906: cinquecento delegati, in rappresentanza di 700 leghe per un totale di 250 mila iscritti ne proclamano la costituzione.
Del Congresso costitutivo rimane alla storia una sola – famosissima – immagine fotografica, ripresa alla Camera del lavoro di Milano dallo studio fotografico Italo Pacchioni (Corso Genova 20).
I partecipanti ai lavori sono riuniti nella grande sala di via Crocifisso, oggi distrutta, sotto la scritta dal palco “Operai di tutto il mondo unitevi!”, ognuno con lo sguardo rivolto all’obiettivo del fotografo. Il quale – si legge ne Il Lavoro della Confederazione (Milano, 1988) – “aveva senz’altro effettuato un sopralluogo per poter valutare se la sala fosse idonea alla ripresa ed offrisse spazio e luce sufficienti per un lavoro tanto impegnativo quanto questa foto di gruppo. Oltre alla valutazione della luce, stimata sulla base dell’esperienza dell’operatore, la parte più complessa della ripresa consisteva nella scelta dell’inquadratura – il punto dove sistemare la grande macchina a lastre 18*24 – e nella disposizione delle circa 200 persone presenti”.
Tra le 200 persone presenti, nella foto si riconoscono tre figure femminili.
Da quanto riporta Lavoro nel numero dedicato al 50° anniversario della fondazione, si tratta di tre dirigenti di primo piano: Ines Oddone Bitelli di Gallarate e Ida Persano della Federazione arti tessili di Torino. Terza donna nell’immagine Argentina Bonetti Altobelli, fondatrice della Federazione nazionale lavoratori dell terra e membro del Consiglio direttivo della CGdL fin dalla fondazione.
“Questo numero di Lavoro – scriverà sullo stesso numero Giuseppe Di Vittorio – è dedicato alla celebrazione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Confederazione generale del lavoro, della quale la nostra Cgil rappresenta la continuità storica. La costituzione della Cgl (così nel testo originale), nel lontano ottobre del 1906, fu salutata dalla parte più avanzata della classe operaia come una grande conquista”.
Aggiungerà esattamente cinquanta anni più tardi in occasione del 100° anniversario della Confederazione Guglielmo Epifani: “Il 1° ottobre del 1906 nei locali della Camera del Lavoro, al termine del Congresso delle organizzazioni di Resistenza, i cinquecento delegati presenti in rappresentanza di oltre duecentomila iscritti decidevano a maggioranza, con il voto contrario dei delegati rivoluzionari – che avrebbero poi abbandonato il congresso – di “costituire in Italia la Confederazione Generale del Lavoro”, affidandole la “direzione generale assoluta del movimento proletario, industriale e contadino al di sopra di qualsiasi distinzione politica”.
“Quel soggetto confederale, che nasce quel giorno – aggiunge l’allora segretario generale – è altro e più delle rappresentanze di categoria, professione, arte e mestiere e del mutualismo delle origini. Non è altro perché diverso e non è più perché sovraordinato. Ma perché l’identità confederale richiede inevitabilmente una ricerca permanente di valori e politiche di unità, partendo dalle differenze; e un’idea alta di autonomia comunque espressa nelle alterne fasi che hanno segnato la storia dei rapporti fra partiti e sindacati. Solo un sindacato confederale – quello di ieri e quello di oggi – può tenere unite, dentro di sé, le ragioni dei lavoratori della terra a quelli dell’industria, quelli pubblici e quelli privati, quelli del sud e quelli del nord, gli emigranti e gli immigrati, i giovani che studiano, i disoccupati, gli anziani ed i pensionati. Tutto, proprio tutto, della vita centenaria del sindacato italiano sta qui, in quell’atto, in quella scelta, in quell’inizio. In quell’idea – come ci ricorda Vittorio Foa – per la quale battendosi per i propri diritti si pensa insieme sempre ai diritti degli altri”.
Affermava del resto qualche anno prima Bruno Trentin: “Ecco perché abbiamo bisogno di affrontare in modo completamente diverso il problema della rappresentanza del sindacato. Non si tratta di organizzare un sindacato dei precari, di accettare come fatali delle divisioni che si stanno incrostando nella società, si tratta di assumere come dato centrale i problemi della persona e di costruire su questi problemi una nuova solidarietà. Non è l’aumento salariale uguale per tutti, che fa parte di un’altra epoca e corrisponde a un’estrema varietà di situazioni professionali e salariali, che può risolvere il problema. Non sono le 35 ore uguali per tutti di fronte a una enorme diversità di situazioni che vanno dal laboratorio scientifico alla catena di montaggio. Tanto è vero che su queste parole d’ordine che abbiamo cercato a volte di sposare non siamo riusciti a costruire un minimo di solidarietà fra i lavoratori cosiddetti tradizionali occupati e i giovani in modo particolare senza professionalità esclusi da una capacità di contrattare il loro inserimento nel lavoro. No la nuova solidarietà non si costruisce più sul salario uguale o sull’orario uguale perché le persone sono diverse, perché le persone sono delle entità assolutamente inconfondibili con altre, ecco perché soltanto sui diritti individuali noi possiamo immaginare di costruire una nuova solidarietà e una nuova rappresentanza del sindacato basata su questa solidarietà. Una rappresentanza non più di ceti, di classi, ma di individui che nel sindacato attraverso un’esperienza solidale diventino persone coscienti, capaci di decidere e di ritrovare nei diritti degli altri il sostegno alla singola battaglia loro. Si tratta oggi, come per gli immigrati, di rompere le barriere, i ghetti, quelli dei centri di prima accoglienza come quelli delle case lavoro o degli ospedali dei cinesi a Prato. Tutte forme e sotto forme di oppressione dell’individuo, della persona, di negazione di una libertà di scelta individuale. Solo così è possibile, io credo, liberare la persona da una solitudine che nega la sua libertà perché nega il suo rapporto con gli altri”.
Una sfida che la Cgil di oggi prosegue con la sua battaglia per la Carta dei diritti.
E mai come oggi di diritti abbiamo bisogno.
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