Legge per le molestie
E il ricatto lavorativo?

Molestie sessuali, nuovi strumenti utili o inutili?
Molestie, molestie sessuali, stupri, tre diverse fattispecie che vengono liberamente “confuse” nei mass media, nei social network e ormai in luoghi anche più rappresentativi.
Eppure, dagli anni ’90 ne parliamo, o meglio le donne ne parlano, qualche volta anche i sindacati, qualche volta i partiti politici.

Recentemente un gruppo di deputate ha presentato una nuova proposta di legge (AC 4742, prima firmataria Titti Di Salvo) “Disposizioni per la tutela della dignità e della libertà della persona contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro”; proposta che, si dice nell’introduzione, “nasce [..] dall’esigenza di creare strumenti utili per le donne che subiscono una molestia sessuale nel luogo di lavoro per mano di colleghi o datori di lavoro, supportando anche i cambiamenti in corso e gli impegni presi sul tema”.

Un’opportunità in più, sicuramente nelle intenzioni, per far emergere e per cercare di risolvere, un problema, sulla cui diffusione non si hanno statistiche puntuali né dati certi, se non i soliti e a mio parere poco affidabili, nel senso che sono sottostimati.

Sicuramente, addentrarsi nel tentativo di precisare cosa siano le molestie, sessuali e non, produce il risultato di far emergere il becero che serpeggia nel nostro Paese. Anche se abbiamo ottime definizioni dal punto di vista legislativo, dove le molestie sono equiparate alle discriminazioni.

Una scena della serie tv “The office” di Ricky Gervais

E le molestie vengono definite “comportamenti indesiderati” che diventano molestie sessuali se si tratta di quei comportamenti che, sempre indesiderati, hanno una connotazione sessuale che può essere espressa in forma fisica, verbale o non verbale. Sempre discriminazione è considerato un risultato ottenuto, o non ottenuto, per il fatto di aver accettato o non accettato quei comportamenti indesiderati. Naturalmente qui si parla del semplice, per modo di dire, episodio di molestia, e non dei casi di stupro che rientrano in altra più grave casistica.

Altre definizioni, forse anche più precise sono contenute in alcuni “Codici di condotta” adottati da amministrazioni pubbliche o aziende. In alcuni – come in quello adottato dalla Regione Puglia – si precisa che è considerato molestia sessuale quel “comportamento che esplicitamente o implicitamente utilizzi a scopo ricattatorio i poteri o le facoltà derivanti da una posizione lavorativa per ottenere prestazioni sessuali, promettendo (o vantando di poter influenzare) decisioni vantaggiose ovvero minacciando (o vantando di poter influenzare) decisioni svantaggiose riguardanti l’assunzione il mantenimento del posto di lavoro, la formazione, la carriera, gli orari, gli emolumenti e ogni altro aspetto della vita lavorativa”.

Senza quest’ultima definizione una lavoratrice che aveva trovato il modo di denunciare, ha visto assolto il suo superiore che ha candidamente affermato che aveva sì promesso un trasferimento in cambio di prestazioni sessuali, ma che di fatto non era nella condizione di garantire tale trasferimento. Ed il punto è, quindi, di parlare in modo chiaro del concetto di ricatto in ambito lavorativo esercitato dal molestante.

Avrei quindi molto apprezzato, nel momento in cui si parla di intervenire con una nuova legge in questo campo che venissero precisati ulteriormente i contorni della definizione, soprattutto di molestia sessuale.
Ma quello che mi lascia ancora meno soddisfatta è che si affidano incarichi di prevenzione in particolare ai datori di lavoro come se – senza nessuna demonizzazione – spesso non fossero loro i molestatori. E, pur sapendo di entrare in un campo controverso, non mi sembra che i nuovi “diritti” sanciti dal Jobs Act aiutino le donne a denunciare perché si sentono più tutelate. Così come mi sembra di difficile attuazione quanto proposto dall’articolo 4, sulla trasformazione dell’orario di lavoro da tempo pieno a part time. A parte che non ne capisco l’utilità! Posso essere molestata a part time invece che a tempo pieno? Ma non preoccupiamoci, la modifica ci sarà se i posti “sono disponibili in organico”. In compenso le donne molestate potranno godere del “congedo” previsto per le donne vittime di stupro. Che dire? Il destino di entrare ed uscire dal mercato del lavoro non ce lo toglie nessuno, anzi, ce lo organizzano.

Ma, da ex Consigliera Regionale di Parità, trovo bizzarro che siano i datori di lavoro a promuovere il nostro ruolo (mediante l’affissione in luogo di lavoro accessibile a tutti le funzioni, le competenze ed i rispettivi recapiti dei – sic – Consiglieri di parità) e che, ancora, alle Consigliere di Parità di cui questa proposta di legge “ribadisce l’importante ruolo” si affidano (è un modo di dire perché questa funzione è già presente nelle leggi istitutive) ulteriori funzioni di tutela dimenticando che negli ultimi anni il ruolo delle consigliere è stato depotenziato, svilito e mortificato. Anche quello con un decreto del Jobs Act (il 151/2015).