Una città abbandonata
Il tramonto di Torino

Dall’eccellenza culturale al festival dei rutti. C’è attesa trepidante, a Torino, per il «Burp d’estate» in programma sabato prossimo a Piazza Castello. L’amministrazione, chiamata in causa, si è limitata a dire: «Non risulta pervenuta alcuna richiesta di occupazione del suolo pubblico». Chiara Appendino ha un grande merito: essere stata eletta contemporaneamente alla sua socia di partito Virginia Raggi. Il confronto le ha garantito – almeno per un po’ – buona stampa. Gli stessi militanti grillisti, sotto sotto, di fronte ai disastri della prima cittadina di Roma, ribattevano a chi dubitava della solidità amministrativa dei Cinque Stelle: «Però l’Appendino…». Finché non è arrivato il 3 giugno: il drammatico caos organizzativo che ha portato sangue e paura in Piazza San Carlo per Barcellona-Juventus ha scoperto il vaso.

I fatti se li ricordano tutti: finale di Champions, mega schermi in Piazza, sicurezza zero, birra a fiumi (dentro le classiche bottigliette di vetro), organizzazione così così, scaricabarile di responsabilità. Morale: 1500 feriti, i vertici del Comune di Torino (sindaca compresa) inquisiti, richiesta monstre di risarcimenti da parte dei feriti nonché un’inchiesta per danni erariali aperta dalla Corte dei Conti nei confronti di un’amministrazione – come dire? – distratta. Memore di quel disastro, ora la sindaca ha bruscamente trasferito il prossimo G7 da Torino (dal 26 settembre al 1° ottobre) a Venaria (nella reggia sabauda restaurata ora è dieci anni): paura di eventuali incidenti e ulteriori figuracce. Torino è una città a due facce: ti accoglie bene ma è subito pronta a girarti le spalle e lasciarti fuori casa. Vale anche per la sindaca.

Tutti, qui, sanno che il successo di Chiara Appendino nelle urne (giugno 2016) fu dovuto a tre fattori: ottima campagna elettorale porta a porta nelle periferie della città; sostegno di ciò che resta dell’imprenditorialità torinese; delusione generale della sinistra antagonista. Senza contare il fatto che gran parte dei voti della destra si sono riversati, al secondo turno, sulla giovane e brillante candidata grillista. Ma un anno e spicci dopo, le cose sono molto cambiate. In mezzo, ci sono state un procedimento di pre-dissesto finanziario minacciato dalla Corte dei Conti e un taglio di 5,8 milioni di Euro alla cultura: una scelta che ha stravolto drasticamente l’identità della Torino post-Fiat.

Era stato Valentino Castellani, sindaco pre-ulivista dal 1993 al 2001, a ripensare il Modello Torino e ad avviare la trasformazione della città da metropoli operaia a grande capitale europea della cultura. Gli investimenti, nel tempo, sono stati clamorosi e hanno prodotto musei, rassegne, festival di livello internazionale (per dire: il Museo Egizio di Torino, restaurato e totalmente rinnovato durante l’èra Fassino, è tra i più visitati in Europa, al livello del Louvre e della National Gallery). Basterà un solo dato a mostrarlo: se la media di visitatori di musei in Italia (turisti compresi, ovviamente) è di circa 180 unità per cento abitanti, a Torino il numero sale a oltre 450 per cento abitanti (fonte Istat). Il che produce anche un’impennata clamorosa del pil cittadino che dal 1951 al 2015 è passato da 8362 a 23042 euro, con una crescita del 175,6% (fonte Istat). D’altra parte, proprio il Modello Torino (unico, vero erede del Modello Roma elaborato dalla metà degli anni Settanta da Argan/Petroselli/Nicolini) ha dimostrato che la moltiplicazione degli eventi culturali produce centri di aggregazione giovanile che allontano disagio sociale e violenza.

E, infatti, a distaccare i torinesi dalla loro nuova sindaca non è stata solo la drammatica approssimazione di Piazza San Carlo, ma anche – se non soprattutto – il caos capitato lo scorso 20 giugno in piazza Santa Giulia, cuore dell’ex quartiere operaio di Vanchiglia (appena recuperato come quartiere giovanile). Qui, a seguito di una serie di controlli di polizia, ci furono scontri e disordini che hanno coinvolto giovani e militari. Con scorno evidente di cittadini e commercianti. Ebbene Vanchiglia è uno dei luoghi di cultura appena dismessi (in pochi mesi qui hanno chiuso biblioteche, atelier d’arte e centri di produzione) dove l’unica attività rimasta è quella delle grandi bevute in compagnia. Stessa sorte minaccia di capitare a Sansalvario, l’altro quartiere della vita giovanile, dalla parte opposta del centro storico rispetto a Vanchiglia, e dove sopravvivono a fatica i mille luoghi di incontro consacrati alla multiculturalità.

Già, ma perché quasi sei milioni di tagli alla cultura tutti in un colpo? La giunta Appendino ha motivato la scelta sostenendo che i predecessori avevano lasciato un “buco” in bilancio. Tipico di chi viene dopo. Ma la Corte dei Conti, nella sua relazione alla gestione 2015, ha espresso opinioni opposte: «La spesa corrente è stata ridotta, il saldo di parte corrente è migliorato, l’indebitamento è ulteriormente sceso, il Fondo Crediti di difficile esigibilità ha ripianato in misura superiore al previsto, la riscossione è salita dal 76% all85%». Il diretto interessato, Piero Fassino, aggiunge: «Nel quinquennio 2011/2015, il debito è sceso da 3.3 miliardi a 2.8, l’esposizione verso le società partecipate è scesa da 380 milioni a 130, i derivati sono passati da 1.2 miliari a 677 milioni, il costo del personale è stato ridotto passando 10.800 a 9.800 dipendenti».

Il sospetto di molti, oramai, è che la nuova giunta si sia limitata a smontare il modello sociale e politico che aveva garantito la trasformazione della città dagli anni Novanta in poi, senza avere idee precise da perseguire in alternativa. Parrà banale, ma girando per il centro e la periferia si notano due cose: una sporcizia inedita (certo, nulla rispetto all’estetica dell’immondizia perseguita dalla giunta romana…) e l’assenza di polizia municipale (prima immancabile). Le auto parcheggiate in doppia fila hanno cominciato a comparire anche qui, come sono molti gli automobilisti che non rispettano i semafori: non ridete, a Torino cose del genere non s’erano mai viste. Minuzie? No. Piuttosto, l’immagine di una città abbandonata a se stessa, che continua ad andare avanti in virtù del suo secolare senso civico. Ma fino a quando?