La trasparenza sui dati aiuterebbe a capire dove ci contagiamo
Per un bel po’ di anni, ormai molto tempo fa, ho passato una buona parte del mio tempo al volante, di giorno e di notte. Avevo maturato, per esperienza, una certa sensibilità a quali veicoli (auto, furgoni, camion) meritassero più attenzione, perché erano quelli che più spesso facevano manovre pericolose. Credo che ogni automobilista navigato abbia quella sensibilità, che ovviamente cambia negli anni: per capire a che epoca mi riferisco basti sapere che fra le auto che mi preoccupavano di più c’erano le Golf Gti nere con un Arbre Magique viola appeso allo specchietto e, per altre ragioni, le Fiat 127 verdine targate Cuneo, guidate da un signore col cappello.
Le assicurazioni lo sanno
Ragionandoci sopra, nei lunghi rettilinei autostradali, mi domandavo se esistessero dei dati sui veicoli e sui guidatori che erano più coinvolti negli incidenti, e mi rispondevo immediatamente che sì, le compagnie di assicurazione dovevano averli questi dati, raccolti molto minuziosamente. Chissà se avrebbero confermato o smentito i miei pregiudizi? Ma non sono mai riuscito a vederli, e mi sembra chiaro perché, anche se una volta o l’altra mi piacerebbe che qualche esperto di assicurazioni, o anche un dirigente di una compagnia assicuratrice, ne desse una spiegazione.
Ma questo è solo per dire che a volte le raccolte di dati esistono, salvo che non vengono rese pubbliche. In questi mesi, ad esempio, siamo sommersi dai dati. Ogni tardo pomeriggio i mezzi di informazione ci dicono quanti tamponi sono stati effettuati, la percentuale di quelli che sono risultati positivi, la variazione dei ricoveri ospedalieri e di quelli in terapia intensiva, il numero di morti. Le autorità e i loro consulenti scientifici ci dicono che grazie a questi dati possiamo conoscere l’andamento della pandemia, e soprattutto se le misure di prevenzione adottate funzionano. Si possono anche fare delle previsioni, su come evolveranno gli indici che determinano le “aperture” e le “chiusure”. Certo, sì. Però, a chiunque abbia ancora un cervello, viene in mente che sarebbe molto utile (forse più utile?) sapere dove ci si contagia. Non ditemi che non lo si sa. È vero che il tracciamento, presentato ormai molti mesi fa come lo strumento-principe per arginare la diffusione del virus, si è rivelato impossibile, perché ci volevano troppe persone per inseguire i contatti dei contagiati. Ma diamine, anche se molti quando si ammalano riferiscono di non avere la minima idea di dove possa essere avvenuto il contagio, molti altri invece lo sanno benissimo, e in ogni caso un minimo di anamnesi può aiutare a ricostruire almeno statisticamente i percorsi dell’infezione. È stato in ospedale o in una RSA? O bevendo un aperitivo ammassati senza mascherina davanti a un bar, o in discoteca? È stato a scuola (o all’università)? Su un mezzo di trasporto pubblico? Sulla spiaggia di una località di vacanza? In Italia o all’estero? In un supermercato o facendo shopping? Al ristorante? A teatro? In un museo? In ufficio? In fabbrica?
Andiamo per eliminazione
Dai, non prendiamoci in giro: volete dire che non si sappia? O che i dati sono stati affidati a un’agenzia regionale di “esperti” informatici? Per di più, molte delle attività appena citate sono state proibite o fortemente scoraggiate per settimane o per mesi: è chiaro che nessuno si è contagiato andando al cinema, a teatro, a un concerto, in un museo. E i ristoranti sono stati chiusi a lungo, e anche la maggioranza dei negozi. Così, però, per eliminazione, le cose cominciano a essere chiare, e anche le ragioni per cui questi famosi dati, ammesso che siano raccolti (caspita, con tutti i medici e i virologi intelligenti che abbiamo!), non vengono diffusi. Gli uffici? Le fabbriche? I magazzini? Cos’è che resta aperto, mentre quasi tutti i negozi, e i ristoranti, e le scuole, e le università, e i luoghi di cultura e spettacolo sono chiusi? Ecco, quelli. Qualcuno ne parla? Meglio dare la colpa alla movida, e intanto compiangere i poveri giovani privi di contatti umani, meglio dare degli untori ai “vacanzieri”, purché vadano all’estero (se da Milano vado a Lugano e ritorno, mi tocca fare la quarantena e un tampone extra – privatamente, a 90 euro – ma se vado a Verona o a Bologna, o a Palermo, no).
Qualcuno dice che se e quando tutto questo sarà finito dovrà esserci una Norimberga, dove saranno giudicati quelli che hanno contribuito alla strage di Bergamo e della val Seriana impedendo di chiudere le attività produttive. Soltanto loro?
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