Un nuovo modello di partito: la sfida del Pd di Schlein comincia da qui
All’indomani del successo nelle primarie Elly Schlein ha un compito molto impegnativo. Per non disperdere entusiasmo, spinta al cambiamento e volontà di riscatto deve marcare le coerenze: rispondere alla domanda di sinistra degli elettori del Pd, fare un’opposizione intransigente e riaprire una “fase costituente” del partito che non c’è stata, che è stata male impostata e anche ostacolata. Qui si misureranno le possibilità di un’unità interna sui temi più rilevanti. E qui diventa molto importante l’obiettivo di una riforma del partito: del suo modo d’essere, delle regole, delle forme di partecipazione. Perché il Pd com’è è un habitat impraticabile per una prospettiva di cambiamento.
La mozione dei sostenitori di Elly Schlein ha proposto un’analisi chiara e delle prime proposte adeguate, di discontinuità, che valorizzano quanto emerso anche nelle “Agorà democratiche”. Con l’elezione a segretaria di Schlein e con l’impulso che dà questa impresa si può fare ciò che era impensabile fino a ieri. A patto che si faccia subito e bene, mettendo in campo una squadra nuova e forte, con incarichi di partito che non siano di facciata o inflazionati per creare equilibri fini a sé stessi. Un nuovo gruppo dirigente che abbia il compito di indirizzare una fase costituente che si possa chiudere entro l’anno con un congresso organizzativo o una conferenza programmatica centrata sul modo d’essere e gli obiettivi prioritari del partito.
Crisi dei partiti come crisi democratica
Fra le forme politiche, sociali, culturali svuotate di fronte a radicali cambiamenti la forma partito è all’incrocio fra crisi di rappresentanza sociale e crisi democratica. Crisi democratica che ormai non è più solo causata da inadeguatezze delle istituzioni rispetto ai cambiamenti tanto profondi, ma che rispecchia intenzionali resistenze alla messa in discussione di poteri incontrastati – poteri finanziari, potentati tecnologici e militari – che profittano dei cambiamenti, fino al punto di una voluta legittimazione delle derive autocratiche. Nella nostra cittadella democratica assediata la rappresentanza politica è delegittimata come non mai agli occhi dei cittadini, in primis di quelli più deboli e che dunque ne avrebbero maggiore bisogno, usciti spesso dal radar della politica. Politica subalterna a poteri che la condizionano, vulnerabile a spregiudicate incursioni carrieriste e anche affariste che avvitano la spirale del discredito e della sfiducia.
Ci sono fenomeni profondi che hanno determinato ovunque il declino dei partiti e lo schiacciamento dei partiti sulle istituzioni, con i gravi rischi conseguenti, come ci hanno insegnato le analisi di politologi quali Peter Mair e Piero Ignazi. Sistemi e equilibri di potere che si sono consolidati, ad ogni livello; cambiamenti sociali e dei costumi, delle abitudini di consumo; influenza della rivoluzione digitale e della rete; dominio esercitato da poteri privati che sono spesso i finanziatori esclusivi dell’organizzazione politica e delle campagne elettorali. Partiti spesso capeggiati e dominati da chi ha già sue proprie risorse finanziarie e comunicative. Partiti personali, che sono una patologia della democrazia. Così si affermano élite autoreferenziali quanto subalterne, che non si riconoscono nel popolo, che non parlano ai “molti” e invece allargano la frattura sociale che mina le democrazie. Guardando cos’è accaduto in questi anni nel nostro paese, quale profonda mutazione è avvenuta, si dà ragione della caduta dell’etica della politica e dell’autonomia della politica, delle qualità che hanno distinto l’origine e la tradizione della sinistra. Perciò serve un’analisi realistica, impietosa.
La mutazione del Partito Democratico
Il Partito Democratico è in molti luoghi la somma disordinata di micropartiti personali. Spesso, ma non sempre, incanalati nelle correnti. È il “tu di chi sei” che Elly Schlein ha denunciato tante volte. “Comunità politica” è una bella formula in uso ma suona ipocrita, almeno per chi ha conosciuto o studiato cosa è stata una vera comunità politica e oggi osserva la realtà: la volontà di ascolto reciproco e di confronto con esperienze e competenze è spesso azzerata. Partiti, tutti, capeggiati e dominati da chi ha già sue proprie risorse finanziarie e comunicative e si gestisce come “comitato elettorale permanente”. Partiti dunque sempre più irraggiungibili, non-contendibili per i ruoli istituzionali maggiori.
Perché sono determinanti gli staff nelle istituzioni, le notevoli indennità, l’investimento personale sui social, le relazioni che diventano esclusive e che vanno a condizionare il finanziamento privato della politica. Anche l’organizzazione del Pd è stata svuotata. Ai diversi livelli non c’è più neppure l’apparato che può avere una piccola associazione. Gli apparati però ci sono, di nuovo tipo: personali, sostenuti con le risorse pubbliche a disposizione per formare gli staff. Un partito senza struttura non può promuovere la partecipazione.
Il tesseramento spesso è fermo o in caduta – il dato che era emerso alla vigilia dell’ultima fase congressuale parla chiaro – o, peggio, è gonfiato, artefatto quando c’è da contarsi, come dimostrano le forti oscillazioni che si possono rilevare in prossimità dei congressi. L’inchiesta di Fanpage sui signori delle tessere che abbiamo visto in questi giorni è solo l’ultima di una serie. Un osservatore attento com’è Antonio Floridia a proposito del voto nei circoli e del ribaltamento avvenuto nelle primarie in un articolo per Il Mulino ha scritto: «A furia di sminuire il ruolo degli iscritti, o a farne solo dei “pacchetti” per la conquista delle cariche elettive locali, questi iscritti sono divenuti sempre meno un qualche “microcosmo” dell’elettorato più ampio del partito, ma solo un suo specchio deformato».
C’è un gioco ormai scoperto a restringere la partecipazione democratica interna. È una semplificazione voluta, a cascata: ci si mette d’accordo in pochi. Da qui anche i frequenti “doppi incarichi” o gli incarichi di partito fittizi. Per non dire dello stillicidio dei commissariamenti delle organizzazioni. Le riunioni degli organi dirigenti, almeno dal livello regionale in giù, si sono rarefatte e sono sostituite da incontri informali fra maggiorenti, fra coloro che hanno incarichi pubblici di vertice.
Tutto ciò produce solo due specie, in una dinamica organizzativa implosiva: capi e gregari. Gregari ai quali è richiesto conformismo. La militanza allora si esaurisce per assenza di coinvolgimento e passione. E insieme si svanisce la legittimazione popolare, rimane e si rafforza in confronto solo quella istituzionale, ma inaridita e impotente a cambiare. Così ci si può abituare ad una certa l’allergia alla trasparenza, alla pratica di un diffuso clientelismo, alla disattenzione alle prescrizioni degli Statuti e dei Codici etici. Vizi che hanno contribuito al crollo di alcuni grandi partiti della prima Repubblica. Questi vizi oggi rischiano di azzerare merito e impegno, di mortificare tante energie, premiando chi è più spregiudicato; svalutano le qualità dei dirigenti e dei militanti; penalizzano le donne, che sono meno competitive in un tale contesto; allontanano i giovani.
Riforma dei partiti: conflitto sociale e alleanze
Il Pd va portato nelle linee di frattura dove si manifestano i bisogni contro le subalternità e sulle frontiere dei cambiamenti, delle riforme più urgenti, con una visione sovranazionale, di classe – cioè che affermi consapevolezze che uniscono ciò che è diviso –, di genere e improntata all’etica della responsabilità per le generazioni future. Per un’alleanza fra le classi subalterne, quelle più piegate dalle disuguaglianze crescenti – che Paolo Perulli in due suoi libri importanti ha definito “neoplebe” – e la classe creativa, fatta anche dei ceti urbani che hanno votato il Pd nelle elezioni politiche dell’ultimo decennio e premiato la Schlein nelle città.
In un processo costituente si può creare una larga rete progressista. Forze sociali rappresentative, a partire dai sindacati dei lavoratori. Vicinanza a nuove forme di esclusione, in casi di conflitto sociale esemplari.
Prossimità al nuovo lavoro autonomo. Mondo cattolico generativo e motivato dal magistero di Papa Francesco, impegnato per la pace. Cittadinanza attiva, per volontariato e associazionismo. Nuove alleanze per la sostenibilità e contro le disuguaglianze. Giovani intellettuali, per offrire scenari inediti e centrare il tema del rapporto fra politica e scienza. Non per caso tanti giovani ai quali ieri ci siamo rivolti proponendo “innovazione” in quanto “emergenti” in realtà ci hanno chiesto e ci chiedono radicalità ideale e sociale. Dunque relazioni con reti di cultura già esistenti, autonome, ma che aspettano una sponda: qualcuno che ascolti e interloquisca. Perché non mancano analisi, elaborazioni, proposte, buoni esempi: mancano la sintesi politica, il rilancio coerente.
Traducendo tutto in un linguaggio semplificato e incisivo, polarizzante, perché vanno combattute le subalternità culturali a poteri fortemente penetranti e persuasivi. La rete modella l’opinione e la partecipazione, favorisce il ricorso a modalità di “pensiero veloce” e intuitivo. Facilita e alleggerisce l’organizzazione, può creare velocemente anche grandi mobilitazioni, che però senza base di partito e militanza, rischiano d’essere superficiali e effimere.
Un modello nuovo di partito
Dunque dobbiamo affermare una forma nuova e diversa di partito. Nuova, essendo riproponibili quelle tradizionali. Partecipare per fare e per decidere: questo dev’essere il principio che ispira ogni riforma organizzativa. Serve un mix partito territorio-partito piattaforma. La rete digitale con le sue virtù e i suoi limiti è efficace per aprire spazi di partecipazione e consultazione o d’informazione, come si è visto anche con l’esperienza di “Immagina”. Restringere la partecipazione alle primarie negando di fatto il voto online è stato un errore. È però decisivo ricostruire una rete fatta di persone responsabilizzate, donne e uomini che coltivino forme di partecipazione diretta, più durature nel tempo, consapevoli e critiche.
È poi fondamentale l’obiettivo di riorganizzare una presenza del partito in alcuni settori o luoghi di lavoro dipendente importanti, una rete di persone che hanno anche impegno sindacale, si confrontano, reattive, capaci di partecipare e proporre. Rilanciando i Giovani Democratici, si deve tornare a promuovere in primo luogo l’organizzazione della partecipazione politica giovanile nelle scuole e nelle università che contribuisca a dar vita a forme autonome e permanenti di mobilitazione degli studenti. A fronte della velocità delle dinamiche di governo e per far valere pienamente il contributo che i sindaci e gli amministratori locali possono dare per rigenerare il partito, serve creare percorsi di discussione e scambio d’esperienze, con passaggi obbligati, anno per anno, che nelle comunità locali allarghino molto la partecipazione, mettano a confronto chi svolge la funzione di governo o elettiva.
Per un Pd fatto d’iscritti e di elettori: proposte
Si devono ridefinire i perimetri della partecipazione: quello degli iscritti che governano il partito e quello degli elettori che accettano di prendere parte a decisioni importanti, registrandosi nell’Albo degli elettori previsto dallo Statuto e che per scelta passiva negativa – subita da chi si batté perché l’Albo fosse previsto dallo Statuto – non è mai stato costituito, rinunciando così all’aspetto forse più strutturante e virtuoso delle primarie di partito (che hanno anche favorito una rincorsa centrista da “partito a vocazione maggioritaria”).
La partecipazione ottenuta nelle ultime primarie è motivata e incoraggiante, non deve rimanere un episodio. Il risultato della ricerca sull’elezione della nuova segretaria del Partito Democratico condotta dallo Standing Group “Candidate and Leader Selection” della SISP-Società Italiana di Scienza Politica parla chiaro: «Su tutte le motivazioni riferite dagli intervistati, prevale in modo significativo la capacità dei candidati di rispecchiare i valori politici dell’elettorato e il progetto di partito di cui si facevano promotori».
Dunque l’Albo può essere rilanciato e costituito. Va fatto subito, non disperdendo il grande patrimonio rappresentato dalle liste dei partecipanti alla consultazione del 26 febbraio. Poi, anche con l’impiego delle tecnologie digitali, dando la possibilità di pre-iscriversi alle consultazioni, almeno in quelle più importanti.
Le primarie sono incardinate nello Statuto e sono necessarie per selezionare le candidature apicali principali per le istituzioni: gli impegni presi vanno mantenuti. Il tesseramento è già stato riaperto, con successo, sollecitando ad iscriversi i partecipanti alle primarie e chi guarda con interesse alla fase nuova che si è aperta. Per riqualificare il tesseramento sono necessarie nuove regole di garanzia e garanti autorevoli, anche esterni al Pd. Perché il partito non è un luogo privato e comunque perché si può e si deve autodisciplinare. Statuti, Codici etici e Regolamenti valgono se qualcuno ne controlla l’applicazione. Perciò vanno elaborate le modifiche statutarie necessarie.
Nella mozione Schlein si denuncia la grave sproporzione negli incarichi di partito a danno delle donne e l’abuso di “doppi incarichi”: l’assemblea nazionale può dare, intanto, dei criteri chiari per cambiare. Lo stesso rigore deve valere per i limiti di durata dei mandati e per la rotazione degli incarichi. In generale, con la fase costituente si devono impegnare a dirigere le organizzazioni persone motivate, superando gli incarichi validi solo sulla carta, favoriti dallo sfasamento temporale dei congressi ai diversi livelli. Non più circoli intesi come contenitori di tessere ma inattivi. Le organizzazioni di base devono aprirsi, anche offrendo le sedi ad attività associative, o di quartiere nelle città, dimostrare impegno territoriale e capacità di suscitare confronto, di contribuire con la critica, con diverse visioni, idee, progetti e personalità, all’azione nazionale del Pd. E mai più congressi di circolo organizzati senza confronto, dove si entri fugacemente per solo votare.
Si deve fare una battaglia a viso aperto per la legislazione dei partiti, che traduca l’ispirazione dell’art. 49 della Costituzione che vede i cittadini quale soggetto: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Per ricreare, prevenendo le distorsioni del passato, una forma di finanziamento pubblico della partecipazione politica e della formazione politica, rafforzando al contempo l’autofinanziamento regolato. Perché siano istituite Fondazioni, quali strumenti dei partiti, sul modello tedesco, che consentano di dare aiuti concreti alla strutturazione della partecipazione politica, al radicamento territoriale e all’elaborazione delle politiche. Per sostenere la formazione politica, soprattutto a beneficio dei più giovani, anche in relazione con altre strutture d’impegno sociale e centri di cultura.
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