Un lungo anno di inganno populista nel silenzio di una opposizione che arranca

Abraham Yehoshua, lo scrittore israeliano, commentando la vittoria alle ultime elezioni di Netanyahu, ha descritto i suoi concittadini come gravati da troppa memoria, da un eccesso di memoria. Quindi incapaci di aperture, insofferenti al cambiamento. Lo si può capire, ricordando appunto quanto si sono lasciati alle spalle. Yehoshua ha anche spiegato che per altri popoli non è così, che per altri popoli vale il contrario, vale la perdita della memoria. Non so se avesse in mente l’Italia. Certo l’Italia nel mare della dimenticanza nuota benissimo.

Pasolini, ben prima del giudizio di Yehoshua, aveva scritto quasi mezzo secolo fa e aveva ripetuto: siamo un Paese senza memoria, il che equivale a dire senza storia, un Paese che rimuove il suo passato, un Paese in cui tutto scorre per non passare davvero. Pasolini si riferiva ad un “passato prossimo”, che andava probabilmente oltre il “giorno scorso”: Pasolini rimproverava gli italiani d’aver rimosso l’Italia del fascismo, quale segno avesse impresso alla nostra cultura quello che lui definiva “regime democristiano”, che cosa fu la ricostruzione, che cosa avesse rappresentato per noi la bomba di Piazza Fontana, come l’ideologia assoluta del “consumo” avesse mutato gli italiani, nell’omologazione che toccava tutti, “popolo e borghesia, operai e sottoproletari”…

Ma c’è anche una memoria corta o cortissima, che è l’amnesia di chi che non sa più che cosa sia accaduto ieri o quali siano state le promesse dell’altro ieri, smarrito tutto “nell’oblio dell’etere televisivo” (ancora Pasolini) e ancor più nell’ansia quotidiana di inseguire mode, immagini, pubblicità, nella rinuncia a vedere ciò che abbiamo sotto gli occhi.

Per questo un libro come “L’inganno populista. Cronaca di un anno vissuto pericolosamente” (pagine 148, euro 15, Book Time, con una prefazione di Goffredo Fofi), autore Rinaldo Gianola, giornalista alla Stampa, al Sole 24 Ore, a Repubblica e infine vicedirettore dell’Unità a Milano, lo si legge non solo come un’occasione di ripasso, ma anche con momenti di un’autentica sorpresa, sorpresa che mette a nudo la nostra distrazione. Toh ! ti ricordi più quando Salvini in campagna elettorale giurava sul Vangelo? Quando Di Maio affacciandosi da un balcone annunciava: “Abbiamo vinto la povertà”. Quando i senatori cinque stelle votano e digeriscono alla presidenza un’avvocata che scriveva le leggi ad personam pro Berlusconi, accusata (in carica come sottosegretaria) di aver fatto assumere la figliola al ministero della Sanità, un’avvocata che manifestava davanti a Palazzo di Giustizia contro i giudici milanesi. Quando i medesimi cinque stelle con gli alleati leghisti strillavano contro la lottizzazione, per occupare poi, una volta al potere, ogni poltrona, ogni sgabello. Quando, ancora loro, i cinque stelle, promettevano di dismettere l’Ilva in nome dell’ecologia, per poi intestarsi come un successo un accordo industriale raggiunto ben prima da altri.  Si potrebbe continuare: pensioni, reddito di cittadinanza, grande ripresa economica, più posti di lavoro…

Cambiamenti rinviati, riforme che si fanno riformicchie, esibizioni di un potere che ha poco di nuovo e invece resuscita l’arroganza, le pose, le divise, gli sfottò (“E’ finita la pacchia…”) di tempi assai bui (ma oggi, con la novità di un tweet)… L’assicurazione di un avvenire radioso che si manifesta nella miseria di una economia in crisi, stagnante, della politica strillata in una perenne campagna elettorale, di slogan gridati a suscitare rancori, pregiudizi, paure e a risuscitare latenti anime fasciste.

Rileggere la “cronaca di un anno vissuto pericolosamente”, settimana per settimana, da gennaio a dicembre, aiuta a rimettere in ordine il quadro generale, aiuta soprattutto a “connettere” e quindi a formulare un giudizio, a capire la strada che abbiamo imboccato, s’intende democraticamente, visto che ai nostri governanti (“buoni a nulla, ma capaci di tutto”, come li brucia Fofi citando Longanesi) non sono mancati i voti e persino gli entusiasmi degli elettori, che quasi sicuramente non li tradiranno, convinti che gridare contro i rom o contro gli immigrati (in un perenne allarme, che non ha ragion d’essere, numeri alla mano), armare ogni bravo cittadino, tagliare la merenda ai bambini stranieri (nati in Italia), immaginare “zone rosse” proibite ai “negri” come poteva accadere in Sudafrica ai tempi dell’apartheid, rinviare all’infinito la Tav, rivendicare l’Italianità di Alitalia, dispensare mance ai poveri invece che garantire lavoro, sia una marcia trionfale verso il “progresso”.

C’è spazio anche per i presunti “oppositori”. Anche in questo caso Gianola ci aiuta a mettere in fila silenzi e vuoti di un partito come il Pd, prima al governo, sconfitto alle elezioni, incapace di contrastare il declino politico, economico, morale del Paese, prigioniero di culture altrui, più propenso ad inseguire il pensiero altrui che ad elaborare il proprio. Altro che egemonia culturale, come si rivendicava e si ricercava un tempo. L’immobilismo in sequenza è impressionante di fronte alla velocità del disastro.

C’è un’altra questione che emerge dalla lettura de “L’inganno populista”. La coglie, se pure indirettamente, Goffredo Fofi nella prefazione: seguire la politica, analizzarne le logiche e le azioni, saper leggere le mosse dei governanti, prevederne gli effetti “è una capacità, quasi un’arte che appartiene oggi a pochissimi, nel caos del giornalismo ufficiale e dei bestiali ‘io penso che’ gridati sulla rete da gente che sembra aver perduto per sempre la facoltà di pensare”.

Il “caos del giornalismo ufficiale” sta soprattutto nella rinuncia al primo compito del giornalismo, quello di “informare”, preferendo l’intrattenimento, alcuni giornali anche in politica (basterebbero i titoli tra reclame e oscenità), altri, pure prestigiosi e autorevoli, si fa per dire, lasciando alla politica la piatta registrazione, guardandosi bene dal “connettere”, appassionandosi invece a mode, trucchi, cure dimagranti, ricette di cucina, soggiorni balneari (dalla prima pagina alle pagine culturali).

Gianola chiude la sua “cronaca” in una riga che è il fulminante bilancio di un anno: “Per la notte del 31 dicembre è atteso il messaggio agli italiani di Grillo e Salvini”. Mi permetto di aggiungere: “Se li meritano”. Buoni a nulla capaci di tutto.