Un decreto sicurezza che cancella il termine “umanitario”

Del cosiddetto “Decreto sicurezza, emanato il 4 ottobre, e convertito in legge il 3 dicembre dello scorso anno, si stanno già ampiamente occupando giuristi e costituzionalisti, allo scopo di verificare l’eventuale presenza di anomalie, o di vere e proprie violazioni, rispetto a ciò che è previsto dalla legge fondamentale dello stato. Da ciò che finora è trapelato, non sono pochi, né scarsamente significativi, gli aspetti generali e di dettaglio che suscitano serie perplessità circa la correttezza costituzionale della nuova normativa. I ricorsi preannunciati da De Magistris, Orlando e altri sindaci, indurranno la Consulta a pronunciarsi, confermando o smentendo la fondatezza dei dubbi che sono stati sollevati da più parti. Fare previsioni, in situazioni come queste, è sempre azzardato, oltre che evidentemente inutile, vista l’autorevolezza tuttora riconosciuta alla Corte. Ma al di là del merito strettamente tecnico delle nuove norme, qualche considerazione non proprio marginale dovrebbe essere fatta a proposito del profilo politico-culturale del decreto, in particolare per quanto riguarda il “messaggio” che esso intende trasmettere.

Per prima cosa, va sottolineato un punto, abitualmente trascurato nei commenti in circolazione. Nella forma con la quale è stato approvato, il decreto scaturisce dalla fusione di due provvedimenti originariamente distinti, contenenti rispettivamente misure per la sicurezza e interventi relativi all’immigrazione. Strada facendo – ma certamente non accidentalmente – le due diverse normative sono state fra loro integrate in un unico testo. Con due macroscopiche (ancorchè spesso trascurate) implicazioni: spianare la strada all’approvazione anche da parte di coloro, come i parlamentari cinquestelle, riluttanti a condividere la politica antiemigranti del ministro dell’interno, e inoltre trattare la tematica generale dell’emigrazione come problema di ordine pubblico e di sicurezza nazionale.

Un secondo ordine di considerazioni riguarda più da vicino il lessico adoperato nel dispositivo legislativo. In particolare, in tutta la prima parte le novità sono costituite da emendamenti, cancellazioni o integrazioni apportate rispetto alla legislazione precedentemente in vigore, con riferimento soprattutto al decreto legislativo del 1997. Ebbene, la novità più rilevante è data dalla sistematica cancellazione del termine “umanitario”, in tutte le sue declinazioni. Una mossa apparentemente trascurabile, ma in realtà molto influente nel caratterizzare l’orientamento politico-culturale del testo, irrigidito in una formulazione programmaticamente più severa.

Restando sul piano di alcune osservazioni di ordine generale, relative al rilievo del decreto sotto il profilo della comunicazione di massa, colpisce la scelta di adottare alcune soluzioni fin troppo chiaramente esposte alla censura della Consulta, come quelle che palesemente violano il principio di uguaglianza che è alla base della nostra Costituzione. Dove l’astuzia – efficace, forse, quanto eticamente miserabile – consiste nell’emanare norme verosimilmente destinate a cadere, ma capaci di far passare un messaggio ben preciso. Vi sono cittadini di serie A, e dunque a pieno titolo, e cittadini di serie B, solo parzialmente assimilabili ai primi. Gli stranieri che rispondano a determinati requisiti potranno trovare alcuni riconoscimenti, senza che tuttavia venga mai cancellata una differenza di origine, che si riflette in un diverso statuto di cittadinanza. Un modo per ribadire, insomma, sia pure attraverso il travestimento asettico di norme giuridiche neutrali, il principio “Prima gli Italiani”, che costituisce il principio di individuazione della formazione politica guidata da Salvini.

Un’ultima sottolineatura, fra le molte qui omesse per esigenze di brevità. Continuare a definire il nuovo testo legislativo col nome del leader della Lega – prassi diffusa e apparentemente “innocente” – porta con sé due conseguenze da evitare. La prima è quella di regalare ulteriore notorietà e protagonismo ad un personaggio che sta già fin troppo dilagando nei media e nei social. In secondo luogo, parlare di “decreto Salvini” induce a minimizzare la responsabilità della componente cinquestelle nel varo di un provvedimento ignobile di un paese civile. Mentre non si dovrebbe mai dimenticare, abbagliati dai sondaggi attuali, che la rappresentanza parlamentare dei seguaci di Di Maio è quasi il doppio di quella del Lega, e che l’unico vero governo di destra che il nostro paese abbia avuto dal secondo dopoguerra ad oggi sta in piedi esclusivamente per il sostegno del movimento inventato da Grillo.