DL di sopravvivenza più che di rilancio. Ma a lor signori non piace
Il decreto legge del governo Conte appena varato, dopo tante sofferte fibrillazioni grilline e non solo, è stato battezzato “rilancio”. La cifra complessiva di 55 miliardi è senz’altro poderosa e giunge dopo quelle minori già stanziate in dl precedenti. Di queste ultime alcune parti importanti si sono impigliate nelle maglie burocratiche dell’amministrazione statale e regionale e nelle banche, arrivando a erogare i denari a lavoratori (Cassa integrazione in deroga) e imprese (decreto liquidità), soprattutto piccole e commerciali, con ritardo. Il che, vista la situazione, ha fatto una pessima impressione sia agli interessati più che mai bisognosi sia all’opinione pubblica più in generale. Conte ha dichiarato che il problema della tempestività nell’arrivo dei sostegni è ben presente e che il governo è impegnato a semplificare i passaggi burocratici e a velocizzare. Speriamo.
C’è anche uno sguardo al futuro
Non mi pare che il dl si possa chiamare “rilancio”, quanto, piuttosto, “sopravvivenza”. Nome più consono alla situazione epidemica in corso che richiede ancora, sostanzialmente, provvedimenti che assicurino in qualche modo la tenuta in vita dell’apparato produttivo e commerciale e dei servizi. Soprattutto, delle persone che in esso operano: i lavoratori, dipendenti e autonomi. Il che non vuol dire che non ci siano anche cifre cospicue che guardano al futuro; a un futuro diverso dal passato. E’ questo il caso dei 3,5 miliardi per la sanità e del miliardo e mezzo circa per l’Università e la ricerca, i bonus e i crediti d’imposta ecologici. Complessivamente il dl stanzia 25,6 miliardi per i lavoratori, 15-16 per le aziende, 3,25 miliardi alla sanità, 1,4 miliardi a università e ricerca, 2 miliardi per il turismo, 1,5 alla scuola e altri numerosissimi provvedimenti per categorie e famiglie.
Le “vedove bianche” di Draghi
Da lor signori non è stato preso bene. Non dico dall’opposizione di destra e loro corifei che ormai sono dediti solo a fare gli sfasciacarrozze. A mandare in bestia costoro è stata la modesta regolarizzazione, temporanea e per breve periodo, dei lavoratori immigrati che per Salvini e la Meloni sono come l’aglio per i vampiri. A masticare amaro sono anche coloro che si potrebbero definire le “vedove bianche” di Draghi e di un matrimonio che non si è mai consumato e manco celebrato. Per mancanza di testimoni e, soprattutto, dello sposo. Quello che non gli va giù è la divisione della torta. Ai lavoratori, direttamente e indirettamente, quasi il 50% e a loro solo quei miseri 16 miliardi. Volevano proporzioni ben diverse, quelle che hanno sempre avuto dai governi precedenti, anche quelli di centrosinistra. Volevano che le risorse fossero, se non tutte, in gran parte per loro e senza tanti controlli e condizionamenti dello stato. Così come fu dopo la grande crisi del 2008-11 quando l’Italia si impantanò dentro la crescita del debito pubblico e una ripresa economica asfittica, in cerca ogni anno della flessibilità, con il cappello in mano, dall’Europa dell’austerity merkeliana.
La delusione della razza padrona
Perciò, questa “razza padrona” sparge calde lacrime sui suoi house organ e nei talk show tramite giornalisti e intellettuali addetti alla bisogna. Le accuse al governo variano: dai provvedimenti a pioggia alle mance ed elargizioni per ogni categoria, dalla lunghezza cartacea del decreto ai modi incostituzionali della sua presentazione, dalla disorganicità alla mancanza di grandi riforme, dallo statalismo incombente, alla sempre presente e non eliminata burocrazia, dalle ironie e dal sarcasmo sul finanziamento dei monopattini e delle bici elettriche a tanto altro ancora che l’estro del giornalista di turno riesce a escogitare.
Il decreto non basterà a rilanciare l’economia, ci sarà bisogno di altri interventi massicci perché se prima non si esce definitivamente dalla pandemia, una ripartenza economica piena è poco immaginabile in convivenza con il Covid 19. Però, è possibile e doveroso, nel mentre si cerca di tenere in piedi le persone e l’apparato produttivo e commerciale, pensare a un futuro economico e sociale diverso, ecologicamente e ambientalmente sostenibile.
I non udenti
Ma da questo orecchio loro signori, come dimostrano le dichiarazioni del neopresidente della Confindustria, il muscolare Bonomi, non ci sentono, né ci hanno mai sentito.
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