Un Conte bis
segnerebbe
la capitolazione del Pd
C’è una aporia insuperabile nel ragionamento dei costituzionalisti che, in difesa della sacralità della Carta, invitano Zingaretti al più umiliante dei trasformismi, quello di tradire tutte le sue parole pubbliche (la menzogna politica diventa quindi un nuovo diritto fondamentale? E Constant vince su Kant?) per sostenere il Bis-Conte. Se la Carta è il bene intangibile non si capisce perché a difensore di essa debba essere chiamato proprio il presidente del consiglio uscente. Egli non solo ha approvato con orgoglio tutte le leggi salvinissime (in caso di durata ne avrebbe avallato in futuro anche di altre) ma ha di fatto tradito le funzioni specifiche e insurrogabili che la Costituzione riserva all’inquilino di Palazzo Chigi.
Le mosse dei novelli difensori della Costituzione
La Costituzione non è una cosa strabica che si lascia prendere nelle prescrizioni che fanno comodo e si può impunemente trascurare in altre anch’esse stringenti. Essa va presa per intero, nella sua sistematicità, e non prevede un presidente che opera “per contratto” e si lascia sfuggire di mano compiti, prerogative, ruoli, attribuzioni procedurali e rappresentative. I novelli difensori della Costituzione la riducono a una robetta che può essere aggirata proprio nelle facoltà delicate riservate al potere di indirizzo e coordinamento cruciale in un regime parlamentare, quello spettante al presidente del consiglio.
In realtà non è la Costituzione-ordinamento che importa a molti che a rimorchio del comando renziano prendono d’assedio Zingaretti per indurlo alla rinuncia e quindi alla tramutazione, come è stato detto in senato, del Pd in sesta stella della Casaleggio. Il patto scellerato che si vorrebbe imporre al Nazareno, ha come unico risultato certo quello della capitolazione del Pd come soggetto politico autonomo. L’altro obiettivo, quello dell’argine antileghista, è un proposito del tutto incerto e non si può esaurire ad una manovra di palazzo assieme al non-partito che in origine intendeva bruciare il palazzo.
Un giorno si dovrà pur votare. E se alle urne vincesse Salvini a cosa ci si appellerà? Se il governo di emergenza costituzionale, inventato per impedire il pericolo nero, non scongiura l’ascesa del capitano (che ora è in difficoltà seria e che invece proprio dall’opposizione contro l’ammucchiata potrebbe risorgere?), a quale forma di resistenza ulteriore si farà ricorso? E’ evidente che se il governo leghista è ritenuto in quanto tale un potere illegittimo, e per la salvezza della costituzione si chiede di rinviare il voto, l’esito delle future elezioni è considerato ab origine macchiato da illegittimità.
Il rischio che si cada in uno schema da guerra civile
E’ però rischioso muoversi entro questa logica, cioè della accettazione sub condicione del responso delle urne, che racchiude null’altro che uno schema di guerra civile. Dinanzi a un potere a legittimità negata a priori non resta infatti come extrema ratio che la prova di forza, la ricostituzione di comitati di liberazione contro il tiranno. Il tratto eversivo di schemi, parole, atteggiamenti di Salvini è indubbio. Ma esiste una gradazione nelle prove di slealtà costituzionale che andrebbe sempre tenuta presente. Altrimenti tutto si confonde e ogni politica reazionaria e illiberale è da combattere con risorse extra ordine (oltre anche la sempre legittima disobbedienza civile).
Con i suoi gesti e le sue leggi illiberali, il governo (non solo Salvini con appena 120 deputati!) calpesta i diritti dei migranti e libertà umane fondamentali indisponibili. La sua offesa a libertà e principi fondamentali, pur rimarcata con la richiesta di emendamenti correttivi, non è stata però censurata dal capo dell’esecutivo. E non è stato il vile Conte a trafiggere Salvini, il capitano si è strappato i galloni da solo e ora è disperato perché non può stare a lungo lontano dal Viminale. Che senso ha quindi la santa alleanza contro un cadavere che adesso può essere sconfitto politicamente?
L’azzoppamento della sinistra favorirà il bipolarismo populista
La ratio distruttiva di Renzi si può comprendere. Anche Marco Damilano, che negli anni passati se la prendeva con L’Unità perché aveva in tempo segnalato il volto nichilistico autentico della rottamazione, oggi scrive che “dal vecchio Partito della Nazione di Matteo Renzi al nuovo Partito dei Nazionalisti di Matteo Salvini c’è poca distanza”. Ben detto, benvenuto tra le fila di chi pensa che la ruspa è il presupposto della rottamazione e viceversa. Che oggi Bersani ed altri si uniscano alla volontà di potenza renziana, stupisce.
Dietro la mossa del rottamatore c’è infatti l’unica stella polare della sua vita politica: il potere personale, anche se esso postula la distruzione della pietra d’inciampo, il Pd caduto in altre mani e che quindi va scientemente sacrificato. In una alleanza subalterna a Casaleggio il Pd di Zingaretti perisce e l’azzoppamento della sinistra porterà ad un bipolarismo populista tra i grillini resuscitati e Salvini rinvigorito.
I soldati di Conte seguono due linee. C’è la visione di Prodi, che cerca di fare dell’avvocato del popolo una variante italiana di Macron e di trasformare così i profeti del vaffa contro l’euro, amici dei ribelli francesi con il gilet giallo, in un presidio delle aspettative degli alleati nordici stretti attorno alla comandante Ursula. Una forma di rivoluzione passiva dei poteri forti, che potrebbe anche funzionare, con costi insostenibili però per le ragioni della sinistra. Quello che invece esce da ogni logica assennata, è il calcolo della cosiddetta sinistra radicale.
In essa c’è addirittura chi pensa che il garante del governo del contratto gialloverde adesso possa essere il timoniere della grande svolta. Dal fascismo strisciante al sol dell’avvenire benedetto da padre Pio. Che questi rimasugli di tante sconfitte, incapaci persino di andare in Europa fuori e dentro i simboli del Pd, escano definitivamente di scena, colpiti dalle loro illusioni stravaganti, è persino un bene. Che ad essere azzannato sia invece anche Zingaretti, che è l’unico punto di riferimento rimasto in questa follia trionfante, è un autentico pericolo per la democrazia che non può essere un condominio tra la ruspa e la piattaforma Rousseau.
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