Un 25 aprile per il futuro
contro chi vuole
far tornare il passato
“E’ difficile ricordare il 25 aprile, questa data gloriosa della nostra storia nazionale piena quant’altre mai di speranze e di promesse per la vita del Paese, senza chiedersi se questo nel quale viviamo è lo Stato sognato e voluto dalla Resistenza, sancito dalla Costituzione, e per realizzare il quale tanto sangue e tante lacrime sono stati versati e tanti eroismi compiuti”.
Stavamo per pubblicare l’articolo dal quale sono tratte queste parole – firmato da Nilde Iotti e apparso sull’Unità del 25 aprile del 1981 – per ricordare la Festa della Liberazione, una festa che è il cuore della storia democratica e repubblicana, quando Bruno Ugolini ci ha strattonato: “Stavo pensando di essere d’accordo con la Iotti, poi ho visto in tv lo striscione inneggiante a Mussolini in piazzale Loreto…”.
Avete visto tutti le immagini, trasmesse dai tg, di quel manipolo di ultrà della Lazio che a Milano ha esposto uno striscione con su scritto “onore a Benito Mussolini”. E avete ascoltato il loro capo urlare “camerata Mussolini” e gli altri rispondere “presente”. Avete visto tutto, e quel tutto è diventato drammaticamente buio. Ancora più buio di quando la Iotti scriveva quelle parole sulla prima pagina del giornale fondato da Antonio Gramsci, morto in un carcere fascista.
Questo Paese ha vissuto momenti difficili durante i quali l’incubo del ventennio si è affacciato pericolosamente nelle nostre vite. Gli anni degli attentati, delle stragi, della strategia della tensione. Anni orrendi. Dai quali ci siamo difesi con la forza della democrazia, con la nostra resistenza quotidiana, con la voce di un popolo che ha cercato di scacciare i fantasmi di un passato di paura e di morte. Erano anni nei quali nessuno si sentiva autorizzato a mostrare i simboli del fascismo o del nazismo, il fascio littorio o la croce uncinata e nemmeno a urlare gli slogan inneggianti a chi ha dominato l’Italia con il pugno di ferro, con il carcere e le torture. C’era allora un comune sentire, anche se tenuto in vita faticosamente, di tutte le forze politiche che erano state protagoniste della nascita dell’Italia antifascista e democratica. Quello che si chiamava l’”arco costituzionale” – dalla Dc al Pci al Psi, passando per i liberali, i repubblicani e i socialdemocratici – è stato per più di quarant’anni un presidio democratico.
Oggi vediamo troppi brutti segnali attorno a noi. Non solo lo striscione dei laziali a piazzale Loreto. Le lapidi sfregiate. Le scritte sui muri dei nostri palazzi. I pellegrinaggi sulle tombe dei gerarchi. I gruppi che sfilano nelle nostre strade a caccia di immigrati. L’impunità di certi comportamenti violenti. E poi un ministro che sbraita contro i migranti e tace di fronte a tutto ciò e che annuncia in pompa magna di disertare ogni manifestazione del 25 aprile per andare a Corleone perché la mafia, dice, è la vera emergenza: ma ovviamente diventa emergenza solo il 25 aprile, visto che questo governo non ha mosso un dito contro cosche e boss.
Sicuramente dimentichiamo qualcosa o qualcuno. Sicuramente ne sono successe di più, di diverse, di più gravi. Ma il senso è chiaro: c’è il rischio che il muro contro il fascismo cominci a sgretolarsi, che passi in molte teste l’idea che poi in fondo l’antifascismo è un affare dei comunisti, che si incrini la fiducia nella democrazia e nella libertà per lasciare spazio all’uomo forte, a quello che se ne fotte dei simboli del passato e difende l’italianità degli italiani veri contro il nemico che arriva dal mare o che siede a Bruxelles.
Questo 25 aprile non è come gli altri. E’ un 25 aprile nel quale bisogna esserci di più che in passato. Per il quale bisogna gridare più forte. Del quale avere cura e con il quale curare le nostre troppe ferite. Quel giorno del 1945 che ricordiamo ogni anno non è solo una data scolpita nel nostro passato. E’ il nostro presente. E’ il nostro futuro. Perché la Resistenza che sconfisse il fascismo ci ha consegnato una Repubblica democratica fondata sul lavoro, come recita la nostra Costituzione che è la carta di identità del nostro Paese. Ci ha consegnato la libertà, ci ha consentito di essere uomini e donne liberi e ci ha dotato di istituzioni democratiche che vivono nell’equilibro dei poteri.
In quell’articolo di 38 anni fa Nilde Iotti sosteneva che lo Stato costruito non era quello che avevano immaginato i partigiani, che molti dei propositi erano stati traditi, che alcuni diritti non erano stati garantiti. Che la sopraffazione, la disuguaglianza, la prepotenza del potere e la corruzione stavano corrodendo il sistema democratico. Oggi la sfida più grande di chi ha cuore la democrazia e l’antifacismo è ancora questa: battersi affinché le parole scritte nella Costituzione diventino fatti, diritti, comportamenti, leggi. E’ il modo migliore per fermare i nostalgici di un passato di odio e di morte e quelli che li assecondano o li coccolano affacciati dai loro profili social. Sarebbe il vero programma rivoluzionario.
Ma oggi dovrebbe essere comunque un giorno di festa. Anche un giorno di gioia. E’ la festa di tutti, nonostante le incognite che incombono su di noi. Nessuno escluso, recita il manifesto dell’Anpi di quest’anno. E allora buon 25 aprile a tutti: ai partigiani che ci hanno resi liberi, ai giovani che li seguono, alle donne che si battono per l’uguaglianza, ai migranti che ci chiedono aiuto, ai sindaci che li accolgono, ai cittadini che non chiudono le porte, ai ragazzi che gridano “a me non me sta bene che no”. Buon 25 aprile a chi custodisce con amore il seme di cui parla nel colonnino Alcide Cervi. Il seme della libertà, da difendere con la forza della ragione contro la ragione della forza, per costruire un futuro diverso da quello di chi vuole far tornare il passato.
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