Ucraina: via all’operazione Leopard, così in guerra scende anche la NATO

La decisione alla fine è arrivata. La Germania non solo fornirà in proprio all’Ucraina un limitato numero di carri armati Leopard 2 (16, pare), ma ne consentirà la consegna da parte dei diversi paesi della NATO che ne posseggono, in primo luogo la Polonia. Si è trattato di un passo molto difficile, compiuto in evidente stato di necessità dal cancelliere Scholz per evitare che si innescasse una crisi di governo a Berlino, dove i suoi alleati verdi e liberali non condividevano affatto le sue esitazioni, e una aperta controversia con effetti potenzialmente devastanti dentro l’alleanza. La svolta è stata formalizzata in una call conference che il presidente Biden ha avuto nel pomeriggio con lo stesso Scholz e con Macron, Sunak, Sanchez e Meloni.

Il coinvolgimento di americani e francesi

Per evitare che agli occhi del mondo si presentasse lo sciagurato déjà vu di carri armati tedeschi che combattono contro carri armati russi nelle stesse steppe ucraine delle epiche battaglie della seconda guerra mondiale, il cancelliere ha ottenuto che gli americani, che non ne avevano la minima intenzione, inviino a loro volta una trentina dei loro carri Abrams e i francesi qualcuno dei loro Leclerc. Già questo è un segnale dell’estrema delicatezza della scelta compiuta, che suscita molte perplessità in un’opinione pubblica in cui è ancora radicato un certo senso della “speciale responsabilità” che in fatto di armi e del loro impiego, specialmente in quella parte dell’Europa, la Storia ha messo sulle spalle della Germania. Cosa di cui è certamente ben consapevole Vladimir Putin, il quale cinicamente ha già abbandonato la versione dell’”operazione speciale” per presentare ora l’avventura in Ucraina come una “continuazione della seconda guerra mondiale”. Contro gli stessi nemici, anche se dentro i Leopard ci saranno carristi non tedeschi ma ucraini. “Nazisti” pure loro, nella sua propaganda…

Anche sotto questo profilo, l’operazione Leopard ha un suo peso. Ma per valutare tutti gli effetti che la svolta tedesca produrrà sull’andamento della guerra in Ucraina e su quello delle relazioni tra l’occidente e la Russia quando i nuovi mezzi diventeranno davvero operativi sul campo – non prima di parecchi mesi, forse solo in primavera o all’inizio dell’estate – ci sono altri fattori da considerare.

Intanto le reazioni a Kiev. Suscitando un certo stupore e forse dalle parti di Berlino qualche amara considerazione sull’ingratitudine umana, Volodymyr Zelensky ha reagito con una ostentata freddezza a quella che avrebbe potuto presentare come una sua vittoria: voleva i Leopard e i Leopard avrà. Il fatto è che lui ne voleva 300 e con la massima fretta mentre ne arriveranno – fatti i conti di quelli provenienti dalla Germania e dagli altri paesi – non più di 50 o 60. La metà o poco più dei 100 che secondo i tecnici della materia tra Washington e il comando della NATO sarebbero necessari per avere la certezza che le forze di Kiev vincano la “vera” guerra di movimento che si prevede scoppierà quando il terreno dei campi di battaglia tornerà asciutto in primavera.

zelenskyKiev vuole alzare la posta e chiede navi

Ma la posta che Kiev vuole sia messa in gioco non è fatta solo di carri armati. Si è incaricato di proclamarlo un oscuro (fino a ieri) viceministro della Difesa ucraino, tal Andrij Melnyk,  poco tempo fa ambasciatore a Berlino: “Bene per i Leopard, ma ci dovete dare navi da combattimento perché abbiamo una lunga costa da difendere e sommergibili per impedire nuovi attacchi russi dal Mar Nero”. Sarcasticamente, il portavoce del Cremlino Peskov ha chiosato: che ci faranno gli ucraini coi sommergibili se non avranno più sbocco al mare? Arrogante allusione alla prospettiva di un’occupazione totale da partte russa di tutta la costa ucraina sul Mar Nero. Le richieste dell’esponente governativo di Kiev sono andate ad aggiungersi a quella, ribadita in tutti i modi fin dall’inizio della guerra nonostante i ripetuti no di Washington e della NATO, per i caccia occidentali dell’intera gamma a disposizione (dagli F-16 agli Eurofighter ai Tornado ai Rafale ai modernissimi F-35, puntigliosamente elencati dal viceministro) con i quali attuare una no fly zone sopra tutta l’Ucraina, territori occupati dai russi compresi.

Melnyk ha spiattellato questa ambiziosa lista della spesa in due televisioni tedesche e per quanto il suo rango di governo non sia altissimo non c’è dubbio che quelle che ha esposto siano, a questo punto della guerra, le richieste vere del governo di Kiev alla NATO ed è molto probabile che siano state discusse nei colloqui riservati al margine del recente incontro a Ramstein dei 50 paesi “donatori” di armi all’Ucraina.

Quale è stata, e quale sarà, la risposta degli occidentali? Sugli aerei per la no fly zone è difficile che il no dell’alleanza possa essere superato. A parte i polacchi e, forse i baltici, è opinione comune che esporre aerei dei paesi NATO, sia pure pilotati da ucraini (ma addestrati da chi e quando?) al possibile fuoco dei russi sia un rischio troppo grosso: uno scontro aereo con l’abbattimento di un apparecchio sarebbe un atto di guerra che farebbe scattare l’articolo 5 del Trattato atlantico, quello che prevede l’intervento di tutti gli alleati se un paese viene attaccato. Se viene colpito un carro armato, il carro armato si ferma, se viene colpito un aereo, l’aereo cade giù e non si può far finta di niente: è l’eloquente commento che un diplomatico tedesco avrebbe fatto in una discussione sull’argomento a Ramstein. Si tratta di vedere che criterio di interpretazione dovrebbe essere adottato per l’affondamento di una nave o il siluramento di un U-Boot fornito agli ucraini da un paese NATO: quello di un carro armato o quello di un aereo?

Vladimir Putin, ph Gavriil Grigorov/TASS

Se l’obiettivo diventa la liquidazione di Putin

È evidente che la prospettiva strategica di Kiev, che è dietro alla sostanza di queste richieste, è quella non solo di liberare i territori occupati, dal Donbass alla striscia costiera che lo unisce alla Crimea ma anche la Crimea stessa, com’è dichiarato apertamente dai dirigenti di Kiev con l’avallo, giorni fa, di un portavoce del Dipartimento di Stato americano. In realtà si mette in conto l’avvio di una escalation al culmine della quale dal punto di vista occidentale non può che esserci la sconfitta definitiva dei russi e, come inevitabile conseguenza, la liquidazione, politica o fisica, di Vladimir Putin.

Qui veniamo a un’altra considerazione, ancora più generale, che la svolta rappresentata dalla decisione tedesca sui Leopard evoca: quale idea strategica guida la politica della NATO nei confronti della Russia? Considerarla una minaccia in sé, a prescindere dalla deriva su cui l’ha collocata Putin con la sua criminale aggressione all’Ucraina e i massacri che il suo regime continua a perpetrare contro la popolazione civile? Il nazionalismo russo, l’assurda pretesa che ovunque ci siano dei russi sia Russia, nella memoria imperiale degli zar e dell’Unione Sovietica, dev’essere considerato un dato fissato per l’eternità? Eppure ci sono stati passaggi della storia europea in cui un altro rapporto della Russia con l’Europa fu ritenuto possibile. La “comune casa europea” proposta da Gorbaciov, la stessa impostazione dei rapporti con l’occidente del regime di Eltsin, pur con gli errori e le nequizie importate in Russia dal peggior capitalismo. Perfino Putin fu coinvolto in anni lontani in un disegno comune di “fine della guerra fredda” di cui ancor oggi continua a farsi autisticamente vanto il suo “grande amico” Berlusconi…

Purtroppo l’impressione è che il problema dei rapporti futuri con la Russia una volta che sia finita, in un modo o nell’altro, l’avventura ucraina di Putin sia all’ordine del giorno della NATO solo nelle vesti del pericolo contro il quale armarsi. Come se un domani non esistesse, come se non si considerasse che un eventuale successore dell’attuale autocrate del Cremlino, magari più democratico e meno ostile all’occidente, si troverebbe inevitabilmente anche lui a fare i conti con gli stessi problemi cui Putin ha risposto con criminale aggressività. La logica che domina questa fase della politica dell’alleanza occidentale è solo quella del riarmo. Come se l’occidente dovesse mettere nel conto la terza guerra mondiale, eventualità di fronte alla quale il vecchio concetto della deterrenza avrebbe perso del tutto il proprio valore.

Se ne è avuta una testimonianza anche da noi, nell’audizione del nostro ministro della Difesa alle commissioni riunite di Camera e Senato. Secondo Guido Crosetto sarebbe necessario che l’Italia si battesse per l’estrapolazione degli investimenti per le armi dal computo del Patto di Stabilità europeo (sul modello di quello che i governi in passato chiedevano per gli investimenti “pacifici”) in modo da poter produrre più sistemi d’arma e munizioni, le cui scorte cominciano a scarseggiare a causa delle massicce forniture all’Ucraina. “Nessun paese europeo è in grado di tagliare gli investimenti sulla difesa”, dice il ministro, e meno che mai l’Italia, la quale deve riconvertire l’assetto delle sue forze militari dalla capacità di condurre operazioni di peace keeping e di stabilizzazione internazionale privilegiata in passato ad apparato pronto a condurre guerre tradizionali, di fronte alle minacce convenzionali e nucleari. Con tutte le armi che servono. Costino quel che costino.

Dal via libera alla escalation in Ucraina alla ripresa della corsa al riarmo. L’impressione è che l’esponente del governo italiano interpreti pienamente lo spirito dei tempi. Brutti tempi.