Ucraina, sul piano di pace cinese aperture di Kiev e Mosca
La notizia che ha acceso qualche speranza, per ora, è tutta in una dichiarazione di Dmytro Kuleba. Il ministro degli Esteri ucraino ha letto una bozza del fantomatico piano di pace cinese in dodici (o quattordici) capitoli del quale si parla da giorni sulla base di pochissime indiscrezioni e di molte supposizioni e non lo ha respinto pregiudizialmente, come forse ci si poteva con qualche ragione aspettare. Ho condiviso con Wang Yi, l’inviato di Pechino, i punti essenziali e ora – ha detto – aspettiamo il testo integrale per analizzarlo in tutti i dettagli. Sulla base dalle poche, e anche contraddittorie, indiscrezioni che circolano sulla proposta cinese che Xi Jinping renderà pubblica ufficialmente venerdì in un discorso sul primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, ci si deve chiedere a questo punto che cosa abbia reso agli occhi del governo di Kiev almeno accettabile l’approfondimento su un’iniziativa di mediazione che invece gli americani respingono in linea di principio e alla quale hanno opposto, dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco in poi, un nutrito fuoco di sbarramento.

L’inviolabilità delle frontiere esistenti
La risposta potrebbe essere nel primo dei tre princìpi generali sui quali il piano si baserebbe, ovvero la riaffermazione della inviolabilità delle frontiere esistenti e del rispetto della sovranità degli stati. Non si tratta di una novità assoluta: anche dopo l’aggressione russa all’Ucraina i dirigenti di Pechino hanno sempre tenuto fermo questo principio, pure se era in plateale contraddizione con la benevola neutralità (per così dire) del loro atteggiamento verso Mosca e l’attitudine a considerare fondamentalmente colpa degli Stati Uniti e della NATO il precipitare della crisi. Ma riaffermarlo in questa fase, in cui i russi starebbero per scatenare una nuova offensiva per occupare altri territori e proclamano che quelli già occupati sono parte integrante della Federazione russa avrebbe un significato ben più cogente che in passato. Eppure, per quanto è dato sapere, neppure a Mosca, dove Wang Yi ha avuto un lungo colloquio con Putin, il piano sarebbe stato bocciato a priori. Resta tutto da vedere, ovviamente, le conseguenze pratiche dell’affermazione sul rispetto di confini e sovranità. Ovvero, da dove i russi si dovrebbero ritirare, se anche dal Donbass e dalla Crimea o soltanto dai territori strappati al controllo degli ucraini nel sud del paese e sul Mar Nero. Non si tratta certo di un dettaglio…
Il secondo principio generale sarebbe la creazione di condizioni che garantiscano la sicurezza di tutte le parti. Da quanto è dato capire, il piano prevedrebbe che questa esigenza venisse soddisfatta con la rinuncia dell’Ucraina a entrare nella NATO e comunque ad ospitare sistemi d’arma immediatamente pericolosi per la Russia. Si tratta di una opzione che, come si ricorderà, prima dell’inizio del conflitto e subito dopo l’invasione gli ucraini avevano considerato e che è uscita dal loro orizzonte, poi, con il progressivo inasprimento della guerra e l’aumento della dipendenza di Kiev dalle armi e dall’intelligence dei paesi NATO e in primo luogo degli Stati Uniti. Bisognerebbe vedere se la rinuncia dovrebbe riguardare anche l’eventuale entrata dell’Ucraina nell’Unione europea, circostanza sulla quale pesa la deplorevole tendenza di parte dell’occidente a legare insieme, fin quasi all’identificazione, gli obiettivi strategici dell’Unione e della NATO. Tendenza che si è fortemente accentuata con le più recenti prese di posizione politiche degli attuali dirigenti di Bruxelles.
Il terzo principio generale consisterebbe nella rinuncia formale all’uso di armi di distruzione di massa, non solo nucleari ma anche chimiche o di altra natura, nonché intanto la messa in sicurezza delle centrali atomiche in vista di un provvisorio cessate-il-fuoco propedeutico a veri e propri negoziati di pace.

Il no dell’amministrazione Usa
Fin qui i probabili contenuti generali del piano che – ripetiamolo – sono desunti non da atti o dichiarazioni ufficiali ma da indiscrezioni che sono circolate anche all’ONU, dove è in preparazione una bozza di risoluzione sulla crisi ucraina che dovrebbe arrivare oggi al voto dell’Assemblea generale. Sarà interessante osservare se l’iniziativa cinese giocherà un ruolo nella discussione sulla bozza che finora ribadisce negli stessi termini di quelle già approvate in passato non solo la condanna dell’aggressione voluta da Putin ma anche la necessità che alla Russia siano addebitati i crimini di guerra commessi dal 24 febbraio dell’anno scorso.
Come si diceva, l’atteggiamento dell’amministrazione di Washington è risolutamente contrario non solo ai contenuti (possibili) del piano, ma al fatto stesso che la Cina si proponga come paese mediatore nella crisi. Come si è visto alla Conferenza di Monaco e nelle prese di posizione successive, nel fuoco della piccola crisi dei palloni-spia, sia la casa Bianca che il Dipartimento di Stato giudicano la posizione di Pechino molto sbilanciata a favore di Mosca, al punto da sentirsi in dovere di rivolgere perentori avvertimenti di ritorsione se i cinesi si azzardassero a fornire all’esercito di Putin “armi letali”. Intenzione che Pechino ha negato con forza e in tutti i modi. Preoccupa però Washington e le cancellerie della NATO la rinnovata intesa che si starebbe determinando tra Putin e Xi Jinping, di una visita del quale a Mosca si comincia a parlare per aprile o maggio, sui dossier più delicati sui quali la Cina è sotto accusa in occidente: in primo luogo Taiwan, ma anche Hong Kong, il Tibet e la repressione degli Uiguri nello Xinjiang.
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