Ucraina: confronto Xi – Putin sul piano cinese, coinvolto anche Zelensky

Certe volte le apparenze non ingannano e la forma è sostanza. La pompa, il profluvio di retorica e le affettazioni d’amicizia con cui Xi Jinping è stato ricevuto a Mosca sono uno spettacolo inscenato per il resto del mondo e soprattutto per gli spettatori americani. D’altra parte tanto Vladimir Putin che il vecchionuovo presidente cinese il messaggio lo hanno recitato nel modo più esplicito: il “profondo rapporto” che lega i due paesi è, nelle loro intenzioni, non un’alleanza strategica né una comunanza di ideologie o di valori ma una convergenza di convenienze in base all’antichissimo principio per cui sono amici tra loro tutti quelli che hanno lo stesso nemico.  Il comune interesse è, nelle dichiarate intenzioni dei capi di Mosca e di Pechino, il baricentro di un nuovo equilibrio di un mondo rivendicato come “multipolare” e in cui gli Stati Uniti non dànno più le carte agli altri attori sulla scena del pianeta. Un “partenariato mondiale” ispirato ai princìpi delle Nazioni Unite: così, almeno, nelle dichiarazioni dei portavoce evidentemente dimentichi dell’uso spregiudicato dei veti che Pechino e soprattutto Mosca non lesinano certo nel Consiglio di Sicurezza.

Fin qui la propaganda, abbastanza scontata. Ma Xi Jinping a Mosca ha portato anche qualcosa che, se lo si prende sul serio, è ben più concreto e più immediato: il famoso “piano” (le virgolette sono ispirate dalla prudenza con cui è stato presentato dagli stessi cinesi) in dodici punti per arrivare almeno a una tregua nella guerra in Ucraina. E qui cominciano i dubbi. Intanto il primo, fondamentale: si tratta di un vero tentativo di mediazione oppure di una commedia messa in scena solo per creare difficoltà a Washington e alla NATO, lucrando magari sulle divisioni all’interno dell’alleanza?  L’atteggiamento del Dipartimento di Stato americano e di alcune cancellerie europee (anche Roma?) è stato, almeno all’inizio, molto sospettoso nei confronti di quello che si pensava potesse essere solo uno specchietto per le allodole per sviare l’attenzione dagli aiuti militari che, si diceva, Pechino si preparerebbe a fornire a Putin (dei quali comunque non c’è mai stata traccia alcuna, come ha ammesso sinceramente l’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell’Unione europea Josep Borrell) o per capitalizzare simpatie nel vasto mondo dei non schierati in vista di future iniziative aggressive verso Taiwan.

Segnale di apertura

In modo abbastanza sorprendente, però, un segnale di apertura è venuto proprio da chi ci si poteva aspettare che fosse il più chiuso: prima il ministero degli Esteri di Kiev e poi lo stesso Volodymyr Zelensky in persona hanno fatto sapere che il piano può rappresentare una prima base di discussione.

L’interrogativo di queste ore non è più se ci sarà un contatto diretto (ovviamente a distanza) tra il leader cinese e il presidente ucraino ma, a quanto pare, quando e come sarà. Ovvero se Xi parlerà al telefono con Zelensky da Mosca oppure per farlo aspetterà di tornare a Pechino. Nel primo caso si tratterebbe di una svolta clamorosa anche per quanto riguarda l’atteggiamento del capo del Cremlino, che si adatterebbe al ruolo di testimone passivo di un dialogo che lo riguarda in prima persona. Ma anche nel secondo caso il contatto diretto segnerebbe comunque una novità importante. Tanto più che la sua prospettiva è stata accompagnata da una disinvolta piroetta dell’amministrazione americana, testimoniata da una dichiarazione, sorprendente alla luce dei precedenti, del portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale John Kirby: “Se vai a Mosca – ha detto riferendosi a Xi –  ti siedi per tre giorni al tavolo con Putin e ascolti il suo punto di vista su una guerra che ha iniziato e che potrebbe finire oggi dovresti quanto meno prendere il telefono e parlare con Zelensky per avere il suo punto di vista”.

La svolta è stata resa possibile da due aspetti del piano che hanno evidentemente indotto i dirigenti ucraini a considerare praticabile un approccio negoziale (più di questo non si può dire) sull’andamento della guerra. Il più importante è il contenuto del primo dei dodici punti cinesi: il no di principio alle violazioni della sovranità degli stati, che suona musica alle orecchie di chi ha visto invadere il proprio territorio con l’obiettivo dichiarato di tenersi le regioni prese con la forza. I critici-critici dell’iniziativa cinese hanno avanzato il sospetto che in realtà si tratti di un principio buttato lì per mettere le mani avanti su possibili attacchi a Taiwan, che Pechino considera com’è noto una “questione interna della Repubblica Popolare, ma anche se così fosse, nulla toglierebbe al valore dell’affermazione di principio.

Divieto delle armi nucleari

La seconda circostanza che dovrebbe aver alimentato la volontà ucraina di andare a vedere le carte è il fatto che il piano prevede il divieto assoluto dell’uso di ordigni nucleari, nonché garanzie sul fatto che non si creino incidenti nelle centrali civili, pericolo ben presente, come si sa, per gli impianti di Zaporizhzhya. L’impegno formale a non usare armi nucleari ha due conseguenze che gli ucraini non possono non apprezzare: intanto toglierebbe credibilità al principio della deterrenza strategica minacciata dai russi e poi, cosa forse ancora più importante, toglierebbe dal tavolo l’ipotesi del ricorso sul terreno di battaglia ad armi nucleari tattiche, una prospettiva molto inquietante e non solo per gli ucraini.

Il confronto sul piano dovrebbe avvenire nei colloqui ufficiali a delegazioni piene che sono previsti per oggi, anche se c’è da pensare che se ne sia quanto meno accennato nel lungo tête-à-tête di quasi quattro ore tra i due leader ieri, oppure essere demandato a una commissione mista di esperti. Eventualità, quest’ultima, che rappresenterebbe una prima, almeno informale, aderenza dei russi alle proposte.

C’è qualche ragione per essere ottimisti? In base all’atteggiamento di cui Putin ha fatto sfoggio nelle ultime ore, c’è qualche seria ragione per dubitarne. Proprio alla vigilia dell’arrivo dell’ospite cinese il leader del Cremlino ha fatto una demagogica passerella tra i russi “liberati” a Mariupol, la città martoriata simbolo della guerra di conquista territoriale scatenata contro gli ucraini. Putin che si compiaceva delle “belle case” costruite sulle macerie della città bombardata per mesi non aveva propriamente l’aria di uno disposto a riconoscere che la sua presenza laggiù fosse il frutto di un’azione illecita alla quale si debba porre rimedio.

Passerella demagogica

D’altra parte, il giorno prima era stato in Crimea, alla guida lui stesso di un’auto (chissà perché ai dittatori piace tanto guidare di persona) dove a Sebastopoli aveva inaugurato una struttura assistenziale per i bambini. Chiara risposta alla incriminazione da parte della Corte Penale Internazionale che proprio dai maltrattamenti inflitti ai minori ucraini con il loro trasferimento forzato in Russia ha iniziato la trafila delle indagini sui crimini di guerra di cui moltissime denunce gli attribuiscono la responsabilità.

La delegazione cinese ha fatto sapere ufficialmente che per il governo di Pechino, che non aderisce al Trattato di Roma istitutivo della CPI, l’incriminazione di Putin è “ininfluente”, ma è evidente che l’iniziativa dei giudici dell’Aia ha reso più complicata la prospettiva, per ora in ogni caso lontana anni luce, di un negoziato al massimo livello. Anche se da ambienti della stessa Corte ieri veniva fatta trapelare l’ipotesi di possibili viaggi dell’imputato in paesi che, come l’India o la Turchia, non ne riconoscono l’autorità o dell’applicazione di una clausola di immunità temporanea concedibile ai capi di stato.