Tutto quello che non sappiamo di Draghi e la corsa di B al Quirinale
A conclusione del suo saluto di fine anno, il Presidente Sergio Mattarella ha indicato due esigenze avvertite da “ciascun Presidente “all’atto della sua elezione”: “spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno. E poi salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che – esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato – deve trasmettere integri al suo successore”.
La seconda esigenza è coerente con la democrazia parlamentare; la prima appartiene alla persona del Presidente, che Mattarella descrive in relazione alle appartenenze politiche rispetto alle quali deve distanziarsi per curarsi solo e soltanto dell’interesse generale. Espresso da una parte del Parlamento ed esito di un compromesso tra partiti, il Presidente deve fare uno sforzo per “spogliarsi” della partigianeria. Dove è chiaro che per spogliarsene occorre averne una. Mattarella ha previsto appartenenze partitiche quando ha indicato nello sforzo per spogliarsene una virtù desiderabile.
Draghi, questo sconosciuto
Generalmente gli italiani e le italiane sanno come vota un presidente – lo hanno sempre saputo per tutti i presidenti che si sono succeduti, anche quelli meno espressamente di parte come Carlo Azeglio Ciampi, che proveniva dalle file del Partito d’Azione nella parte repubblicana e faceva parte dello schieramento di centro-sinistra.
Se Mario Draghi diventasse Presidente, non varrebbe nel suo caso l’esigenza illustrata da Mattarella, essendo egli libero da o non identificato con alcuna “precedente appartenenza”. Di lui come politico non si sa nulla forse perché non vi è nulla da sapere. Nel caso della presidenza della Repubblica questo non è una virtù.
Nell’expertise di Draghi non vi è (non deve esserci) alcuna identità ideale di parte – egli non è né di destra né di sinistra, oppure è sia di destra che di sinistra. Se non ha appartenenze politiche è perché nel suo mondo questi sono pregiudizi da correggere. Egli non ha nulla di che limitarsi. Può questo soddisfare una collettività democratica?
Noi cittadini e cittadine non sappiamo che cosa pensa su tante cose che eccedono le sue competenze tecniche ma non le idee etico-politiche. Quale idea di società, quale concezione della democrazia, che cosa è per lui l’eguaglianza, pensa che sia preferibile una democrazia parlamentare oppure una presidenziale, pensa che sia utile un sistema elettorale proporzionale o invece maggioritario, vuole un’Europa federale o confederale, ha una visione della società fondata sul conflitto o invece sulla integrazione corporata? Queste non sono idee peregrine né pregiudizi, certamente non sono “oggettive” o indifferenti o imparziali. Sono espressioni di quelle visioni di parte delle quali un Presidente deve riuscire a spogliarsi.
Un’alternativa costruita ad arte
La Repubblica non è come la Banca Centrale, nazionale o europea, e men che mai una multinazionale finanziaria come Goldman Sachs di cui Draghi fu vicepresidente e membro del management committee (cioè dell’organo di governo). Il mondo della finanza ha assunti e obbiettivi chiari, regole che per una democrazia non sono neutre e spesso sono oggetto di contestazione, perché indifferenti al valore delle singole persone e ostacoli al principio di eguaglianza. Che cosa pensa Draghi di tutto questo?

A tutt’oggi non lo sappiamo, eppure ci troviamo in una situazione di questo tipo: o Silvio Berlusconi o Mario Draghi. Non vi è chi non veda che si tratta di un’alternativa costruita ad arte per poter ancora una volta concludere con il Draghi salvatore della patria. Draghi necessario, Draghi emergenziale – ieri la pandemia oggi un candidato impresentabile. Meglio il tecnico impolitico che un patrimonialista fattosi politico. E’ ovvio che di fronte a questa alternativa non c’è altra soluzione. Ma non è una buona soluzione, come non lo sono le soluzioni imposte per mancanza di alternative.
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