Trump e il populismo eversivo
ultimo atto: assalto
alla democrazia americana

“Questo è un tentativo di colpo di stato”. Adam Kinzinger, senatore repubblicano dell’Illinois, riassume in un tweet quello che le telecamere stanno mostrando all’America e al mondo. I manifestanti pro-Trump si arrampicano sui tetti di Capitol Hill, irrompono nelle sale del palazzo dove si sta celebrando l’ultimo passaggio – solitamente solo cerimoniale – della proclamazione di Biden a presidente. Il vicepresidente Pence è scortato fuori dalla polizia, le immagini mostrano persone sdraiate a terra per tenersi al riparo e uomini armati, nella sala dell’assemblea. Una donna, una manifestante, viene ferita da un colpo di pistola, più tardi si saprà che è morta e con lei altre tre persone.  “Questo è quello che avete ottenuto ragazzi- urla il senatore Mitt Romney, repubblicano, ai colleghi di partito che hanno seguito il presidente sulla sua china pericolosa -. Questo è quello che ha provocato Trump oggi, un’insurrezione“. In una Washington sotto coprifuoco, ore dopo, il Congresso riprenderà la procedura e ratificherà l’elezione di Biden, mentre ci si cominciava a chiedere come impedire al presidente uscente di fare altri danni.

E’ l’esito terribile ma prevedibile del rifiuto di Trump di riconoscere la sua sconfitta gridando al complotto e a brogli elettorali mai provati, respinti in una sessantina di ricorsi legali dalle Corti americane. “Andremo al Campidoglio. Non riprenderai mai il paese con la debolezza, devi mostrare forza e devi essere forte “, aveva detto Trump poche ore prima alla folla dei suoi sostenitori radunati a Washington, incitandoli a fare esattamente quello che poi hanno fatto: bloccare le procedure di ratifica dell’elezione di Biden, costringere in un angolo anche quei repubblicani che come lo stesso Pence, o Romney o il leader della maggioranza uscente al Senato Mitch McConnell invitavano a chiuderla lì. “Gli elettori, i tribunali e gli Stati hanno parlato. Se lo ignorassimo, la Repubblica sarebbe danneggiata per sempre”, aveva detto McConnell a quanti tra i repubblicani stavano ritardando ad arte la ratifica dell’esito delle presidenziali.

Un appello tardivo

Un appello tardivo. Il partito repubblicano ha perso la sua anima, i silenzi di fronte alla pretesa infondata di Trump di sovvertire il voto di novembre sono stati troppi e troppo profondi. Chi ha pensato di lucrare sull’eredità politica del trumpismo, magari pensando già a future candidature nel 2024, non si è curato del rischio mortale che la continua delegittimazione del processo elettorale e dell’avversario – e di chiunque provasse a contrastare le ambizioni di Trump – avrebbe rappresentato per la democrazia Usa. Quel continuo tirare la corda sempre sul filo del politicamente scorretto, quella capacità di superare ogni limite e decenza politica, la macchina della propaganda sempre con i motori accesi a macinare menzogne e presunti complotti costruiti a tavolino, tutto ha tirato fino a sfibrare le maglie della convivenza e del sistema democratico. E oggi 7 elettori repubblicani su 10 sono convinti che le presidenziali sono state truccate e che se i ricorsi legali sono stati respinti è perché le Corti sono politicamente orientate.

“Assalto alla democrazia”, titola la Cnn, mentre tra incredulità e amarezza i commentatori provano a definire quello che si dipana sotto ai loro occhi. “Insurrezione, rivolta, rischio di guerra civile”. Ci vogliono quaranta minuti di assedio e violenze davanti alle telecamere piazzate a Capitol Hill prima che il presidente Trump affidi ad un tweet un appello a “restare pacifici” rivolto ai manifestanti. Biden gli chiede di intervenire in tv per difendere la Costituzione. “Le elezioni sono state rubate. Tornate a casa. Vi amiamo”, dice Trump in un video via Twitter, quando ormai lo sfregio si è consumato e il messaggio della violenza è arrivato a tutto il Paese.

Anche in Georgia, dove la protesta contagia Atlanta e la folla dei pro-Trump chiede di annullare il voto per gli ultimi due seggi per il Senato degli Stati Uniti, appena concluso. Prima ancora che lo scrutinio fosse completato, mentre l’ago della bilancia pendeva verso i candidati democratici, Trump lo aveva già bollato come un voto fraudolento e disonesto. E’ il giorno del tutto per tutto, tentativo estremo di fare a pezzi il sistema politico per imporre quella verità alternativa che questa presidenza va proclamando dal suo insediamento, che nessuno allora definì rubato nonostante Hillary Clinton avesse vinto il voto popolare e nonostante il continuo ritagliare i collegi elettorali su misura del Gop e le leggi elettorali fatte a posta per scoraggiare il voto di neri e ispanici.

La vittoria democratica in Georgia

Quanto lontane dai proclami fiammeggianti di Trump suonano oggi le parole del neo-eletto senatore dem Raphael Warnock, pastore della Ebenezer Baptist Church di Atlanta, la stessa che fu di Martin Luther King. Primo senatore nero della Georgia, ultimo di una famiglia di 12 figli, cresciuto nelle case popolari. Accoglie il risultato ricordando le mani di sua madre, quelle mani che tanti anni fa raccoglievano cotone per un padrone e che ora sono servite a votare per eleggere il figlio più piccolo al Senato Usa. “Questa è l’America”, dice Warnock. Anche Jon Ossoff, giovane candidato dem, che secondo la Cnn è riuscito a strappare il seggio all’avversario repubblicano, regalando a Biden la maggioranza al Senato e un Congresso amico alla futura amministrazione, promette di lavorare per tutti, per chi lo ha votato e chi no. Perché il paese ha bisogno di unire le forze.

E’ una vittoria storica, quella della Georgia. Trump insiste sui brogli ma l’unico che ha tramato contro un diverso esito del voto sembra essere proprio lui. Tra i repubblicani qualcuno comincia a dirlo ad alta voce e punta il dito sul presidente: a forza di parlare di voto truccato ha finito per scoraggiare gli elettori più fedeli, l’affluenza è stata più bassa proprio nelle contee che nel novembre scorso avevano mostrato maggiore lealtà a Trump.

Ci sarà tempo per pentirsi, ce n’è già,  di non aver mostrato maggiore resistenza al populismo trumpiano, oggi che la sua indole eversiva è emersa con forza. Per i repubblicani è arrivato il momento di recidere il tumore che si è lasciato crescere con troppa noncuranza, sempre che non sia troppo tardi. Ma o le strade si separano in modo netto, tra quel che resta dei conservatori moderati e i populisti, o si annunciano tempi bui. Certe ferite, come quella di Capitol Hill, non si rimarginano facilmente.