Adesso, son lì che riflettono sul rammarico di molti loro parlamentari: mancanza di comunicazione tra livelli, autoritarismo nella scelta dei temi e dei candidati, sistema informativo – la vecchia “perla” – inadeguato a reggere il confronto. Lamentano pressappoco così, compresi di sicuro anche alcuni che hanno votato, inutilmente, il decreto della vergogna, quello sulla sicurezza. Sommo sacrificio.
La triste fine dei “rivoluzionari con l’apriscatole”
Ecco, non è vero che staranno pensando a quella nota di critiche, non ne hanno il tempo, e non gliene frega nulla ai vertici veri del partito ora in crisi. Loro sanno cose che gli altri, i militanti e moltissimi eletti non sanno. Per cui, ciò che sta accadendo ai Cinque stelle, e sta accadendo una tragedia vera, si presta ad una doppia lettura: da un lato, c’è lo sguardo di una opinione pubblica, in cui contare anche votanti e simpatizzanti, che ha fiducia nelle cose che vede e segue, e cerca di arguire quale sia la loro pendenza.
Così che ci si possa meravigliare del fatto che un esercito di rivoluzionari con l’apriscatole si sia rapidamente perduto nel mare grande, tradendo percorsi, fini e ideali che da qualche parte potevano anche sembrare roba non disprezzabile. Fino a collaborare al taglieggiamento di Stato ai danni dell’accoglienza nei confronti dei migranti. Con entusiasmo. Pronti ad accettare la Tav come male notevole ma non il peggiore. Disposti a mettere maldestramente le mani sulla Costituzione spingendo con decisione il paese verso una destra da tea party, alla Bannon.
Travolti da una magnifica duttilità
Han ragione di dire che questo governo ha fatto molto, è vero, ha prodotto molto ma nella direzione del suo affossamento democratico ed economico. Stavolta, avevano mostrato qualche imbarazzo, alcuni con grande serietà, altri meno, insomma, si era capito che ai Cinque stelle quel voto sul decreto Sicurezza è complessivamente costato. Conviene sempre mettersi nei panni degli interpreti di questa scena politica, forse aiuta a capire: parlamentari M5S raccontano infatti che il provvedimento non piaceva proprio a moltissimi, ma che di fronte al bisogno – di governo – si poteva fare, stare al gioco.
Magnifica duttilità, è pur sempre una dote. Hanno votato anche loro che Ruby era la nipote di Mubarak, per fermarsi alla dinamica generale dell’ipocrisia più spudorata. Per niente: hanno fatto seppuku per nulla, perché il loro alleato di governo, Salvini, il giorno dopo ha fatto sapere che si era rotto le balle di quella relazione, saluti ai Cinque stelle e al voto invocando più poteri per sé, che non se ne può più di questa impotenza.
Quei balbetii sul mandato zero
Come si saranno sentiti di fronte a una liquidazione tanto sbrigativa e infastidita quei poveracci che solo poche ore prima avevano accettato un enorme prelievo di sangue politico, sull’altare dei sacrifici di governo? Sono esperienze formative, sapendole interpretare. Quindi, ecco la tragedia umana e politica che si intreccia, sulle ali di un destino sempre abbastanza chiaro e in fondo benevolo con i figli del grande Grillo.
Ma son cose da uomini, vista così, la vicenda non è altro che il bisogno estremo dell’umanità di poter raccontare a se stessa un apprezzabile romanzo, con la sua andatura emotiva classica, alti-bassi. Epico il riflusso, la caduta elettorale, il precipizio di credibilità, i balbettii penosi di Di Maio sul mandato “zero”, roba da annali della comicità involontaria, delle balle più incredibili e scoperte. Il ritorno di Di Battista con quello stile da imbonitore in una casa di riposo piena di anziani col Viagra. Di Battista “la riscossa”, Di Maio capo politico ma nel suo angolo, che il sole lo ha visto a iosa ma è rimasto sempre grigio.
E’ il momento di arrabattarsi, perché “non sapete né il luogo né l’ora”. Tutto si sgretola. Un mondo intero sta decomponendosi, se si vota adesso, dicono i sondaggi, è oro colato se tengono il diciassette per cento. Venti punti sotto la Lega. Le fessure nei gruppi parlamentari iniziano a vedersi bene, ed è solo l’inizio, moltissimi di loro torneranno a casa per sempre, il che fa venire un’enorme voglia di sfogarsi un po’, almeno con l’ultimo vaffanculo, dedicato questa volta ai loro creatori, formatori, liquidatori.
L’epica noiosa di Grillo e Casaleggio
Epica noiosa anche in questa umanissima circolarità dei destini. Poi, ci son gli dei, che stan sopra gli uomini e ne gestiscono dolori e fortune, a loro piacimento. C’è certamente Grillo, c’è Casaleggio, magari qualcuno che ancora non conosciamo e che conosceremo. Eccoli gli dei, quelli sanno se sei un eroe oppure uno stronzetto qualunque spinto in alto dalla fortuna, e cioè da loro. I proprietari del marchio, i titolari di ogni comunicazione di rilievo, quelli che sanzionano, attaccano, espellono, sempre loro. Grillo per un certo tempo ha finto di crederci all’avventura, ma poi ha preso paura della sua creatura, e si è allontanato mentre iniziava a imbrunire, per ritornare in queste ore a balbettare un accordo anche con il Pd contro i “barbari” con i quali ha fatto il governo un anno fa.
Casaleggio invece è tenace, e può stilare un rendiconto non pubblico di buona soddisfazione, mentre gli uomini piangono. Il M5S – stando alle sue traiettorie – aveva tre obiettivi: sbaraccare la sinistra storica e prenderne eventualmente il posto almeno un tot di tempo nell’immaginario babbeo che si voleva instaurare. Frenare l’Europa, far da ponte ad una nuova estrema destra in grado di macellare le Costituzioni post belliche in tutto il continente. Obiettivi arbitrari? Mica tanto: hanno dimostrato ciò che sono senza sotterfugi quando hanno volentieri combattuto per fare un governo con Salvini.
Un bravo democratico non lo avrebbe mai fatto. Casaleggio ha portato a casa dei bei punti, anche se gli è andato fin qui male il primo target del programma: la distruzione della sinistra grazie alla polverizzazione del Pd. Infine, nessuno può negare, limitandosi ad un banale esame obiettivo delle cose, che il ponte messo a disposizione dai Cinque stelle a Salvini per entrare al governo e prenderne possesso sia stato un capolavoro di ingegneria politica. Casaleggio può pensare bene di sé, meno della sua creatura, ormai malconcia, spazzata da mille contraddizioni, in confusione, a caccia di una identità mitologica che non è mai esistita, ansiosa di un ritorno alle origini, ma alle origini sue c’era niente altro che Casaleggio in un interessante laboratorio di condizionamento di massa.
Il “babbo” forse sa che è venuto il momento di chiudere con destrezza la partita, di togliere le tende, perché il più sembra fatto. E la commessa era questa…
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