Tornare sulla luna: riparte la corsa
50 anni dopo Armstrong

Il 20 luglio 1969 alle ore 20:17:40 del tempo coordinato universale UTC, il LEM, il modulo lunare della missione Apollo, toccò il suolo della Luna. Aveva uomini a bordo. Per la prima volta Homo sapiens aveva raggiunto un corpo celeste diverso dalla Terra. Erano sapiens americani, diversamente da quanto la storia, peraltro recentissima dell’esplorazione spaziale, avrebbe lasciato credere. Erano stati infatti i sovietici a battere tutti i record in precedenza: con il lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik, nel 1957; con la messa in orbita del primo mammifero, la cagnetta Laika, il 3 novembre di quel medesimo anno; con il Lunik III che due anni dopo, nel 1959, invia sulla Terra la prima immagine della faccia nascosta della Luna; con il primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin, nel 1961; con la prima donna nello spazio, Valentina Tereskova, nel 1963; con la prima passeggiata nello spazio da parte di Alexey Leonov, nel 1965.

Quella allo spazio fu una corsa. Una gara tra due superpotenze mondiali, due modi diversi di vedere il mondo e due modi diversi di produrre innovazione. E sì che di capacità di innovazione ce n’era bisogno in quegli anni che inauguravano l’era dell’astronautica.

I sovietici sembravano in netto vantaggio in questa inedita corsa, grazie anche a un geniale ingegnere, Sergej Korolev che, sopravvissuto alle purghe staliniane, guidava il progetto spaziale dell’URSS. Ma nel 1961 il presidente degli Stati Uniti, John Kennedy, annunciò in televisione: «Abbiamo deciso di andare sulla Luna». Qualcuno considerò un azzardo, quella dichiarazione. E lo era davvero. Si calcola che otto anni dopo la possibilità che il LEM, in quel 20 luglio 1969, toccasse con successo il suolo lunare e che poi riportasse sani e salvi sulla navicella Apollo i primi due uomini che hanno impresso la loro orma sul satellite naturale della Terra era appena del cinquanta per cento. Ma Kennedy gettò il cuore oltre l’ostacolo e, purtroppo, non ebbe modo di vedere che il suo atto di coraggio era stato premiato. «Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità», disse con giusto orgoglio Neil Armstrong quando scese dal modulo lunare e mise letteralmente piede sulla Luna. Erano le 2:56 del 21 luglio 1969. Quasi sei ore dopo l’allunaggio del LEM e 19 minuti prima che a imprimere le sue orme sul suolo lunare fosse l’altro compagno d’avventura, Buzz Aldrin.

Gli americani riuscirono a sbarcare per primi (e, finora, per unici) sulla Luna dopo che per una dozzina d’anni erano arrivati sempre secondi è difficile da dire. Certo la superiorità tecnologica e il genio di Wernher von Braun hanno avuto il loro peso. Ma anche le risorse a disposizione della NASA non sono state affatto un fattore marginale. Così come il senso della sfida di un paese giovane e abituato a misurarsi con le frontiere.

Tuttavia c’è un fattore che spiega il grande impulso che ebbe nella sfida lunare la competizione militare. La corsa verso la Luna fu anche un modo di combattere la guerra fredda. Lo spazio era percepito, appunto, come un luogo dove combatterlo quel conflitto incruento ma durissimo.

Se l’avventura lunare si esaurì subito – l’ultima missione fu quella dell’Apollo 17 nel dicembre 1972; 12 in tutto gli astronauti che hanno calpestato il suolo del nostro satellite naturale – c’è anche un motivo militare.

A torto o a ragione, lo spazio profondo aveva perso il suo valore strategico.

Le prime pagine sullo sbarco sulla Luna

È anche per questo che, negli ultimi 47 anni, nessuno ha più messo piede sulla Luna. Perché investire montagne di soldi in progetti che certo fanno avanzare le conoscenze scientifiche e persino sviluppare nuove tecnologie da immettere sul mercato, ma non promettono, appunto, di dare alcun vantaggio strategico?

Questa domanda retorica – duole dirlo – ha dominato la politica dello spazio nell’ultimo mezzo secolo e spiega non solo perché l’uomo non è ritornato sulla Luna, ma anche perché non ha ancora tentato di andare seriamente su Marte.

Le cose stanno cambiando – duole dirlo – perché ora la domanda sta diventando meno retorica. Sta rinascendo dalle ceneri la competizione, anche militare, nello spazio. In queste ultime settimane Donald Trump ha annunciato la costituzione di una nuova forza armata degli Stati Uniti, oltre le tradizionali Marina, Aviazione ed Esercito. Per l’Amministrazione americana lo spazio ha riacquistato un valore strategico, convinta com’è che è lì che si combatteranno battaglie decisivo nel caso di una guerra con la Russia e soprattutto con la Cina.

Non è stata estranea a questa decisione la presa d’atto che proprio la Cina, nei mesi scorsi, è riuscita in un’impresa tecnologica senza precedenti: l’allunaggio riuscito di una sonda sulla faccia nascosta della Luna, grazie alla precisa regia di un satellite in orbita lunare in contatto con la Terra. In pratica, un satellite specchio.

È anche per questo che “The Donald” ha cercato di imitare Kennedy e ha chiesto alla NASA di riportare un americano sulla Luna entro il 2024, fra cinque anni. Non vale dire che il progetto potrebbe fallire, non tanto perché in questo momento gli USA non hanno le tecnologie per realizzarlo (ma potrebbero metterle a punto in un lustro), quanto perché non c’è un consenso unanime del paese e, quindi, del Congresso. Difficilmente la NASA otterrà i soldi (tanti) necessari per far sbarcare di nuovo un americano sulla Luna.

E tuttavia la competizione è in atto. Pechino si sta muovendo con passo lento ma sicuro e ha in progetto di far sbarcare sul nostro satellite naturale un cinese entro la metà degli anni ’30. È molto probabile che ci riesca. La domanda, magari un po’ rozza ma di sostanza è: possono gli americani lasciare la Luna ai cinesi?

Che lo spazio sia un settore strategico sembra ormai un’idea diffusa. Pochi giorni fa anche il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato per il prossimo settembre la costituzione di un comando militare dello spazio in seno all’aviazione, che diventerà una forza «dell’aria e dello spazio».

Sono mosse che annunciano una nuova fase della militarizzazione dello spazio. E così – duole davvero dirlo – il ritorno della Luna e lo sbarco su Marte diventano più probabili.

C’è alternativa alla competizione, anche militare, fuori dalla Terra? Certo che sì. La individuò anche John Kennedy prima di essere ucciso a Dallas il 22 novembre 1963: la cooperazione. Il giovane presidente americano propose più volte all’URSS di Nikita Krusciov di provare ad andare insieme, americani e sovietici, sulla Luna. La proposta restò inevasa. Ma oggi orbita in cielo la Stazione Internazionale che, per dirla con le parole di Michael Gorbaciov, è la casa comune nello spazio. Una casa comune cui è stato negato l’accesso ai cinesi, che una stazione orbitante se la costruiranno da soli.

Forse si potrebbe pensare a una collaborazione internazionale che, comprendendo la Cina, riporti l’uomo sulla Luna e lo lanci verso Marte. Servirebbe non solo a raggiungere obiettivi scientifici e tecnologici di grande importanza, ma a limitare se non a impedire una nuova e pericolosissima guerra fredda combattuta nell’alto dei cieli.