“The good mothers”: quando le giovani donne di ‘ndrangheta si ribellano

Una ragazza aspirante scardinatrice del potere della ‘Ndrangheta dopo che il padre le ha ucciso la mamma ribelle, due giovani donne prigioniere del potere delle loro “famigghie” ‘ndranghetiste, una Pubblico ministero che cambia paradigma nella lotta alla ‘Ndrangheta e, anziché puntare alla cupola, si insinua nell’anello debole delle mogli dei boss e madri di figli che vorrebbero far cresce lontano dall’ambiente malavitoso.

È tutta al femminile la bella serie in sei puntate prodotta da Disney+ per la tivù. Intreccia storie diverse che hanno il comun denominatore del potere della ‘Ndrangheta e del funzionamento dei clan.

The good mothers (Le buone madri) prende le mosse dalla storia dell’omicidio di Lea Garofalo, uccisa dal marito Carlo Cosco il 24 novembre 2009, e si ispira all’omonimo bestseller del giornalista Alex Perry adattato per lo schermo da Stephen Butchard per la regia di Julian Jarrold e Elisa Amoruso.

Il cast di “The good mothers”

Una storia basata su fatti veri

C’è tanto di vero nella serie, che si annuncia un successo planetario, presentata in concorso nella sezione “Berlinale Series” al Festival Internazionale del Cinema di Berlino. C’è così tanto di vero che una delle due protagoniste di punta, l’esistente Giuseppina Pesce (l’altra è Denise Cosco, figlia di Lea e del boss Carlo), testimone di giustizia dal 2011 che vive insieme ai figli in una località segreta nel completo anonimato, ha chiesto a Disney+ di interrompere la messa in onda della serie. Analoga richiesta è stata fatta dalla sorella di Lea Garofalo, Marisa, che sostiene di essere stata rappresentata nel film in modo distorto e ambiguo.

In effetti per Giuseppina Pesce, ma anche per la stessa Denise Cosco, la ripresa di interesse sulle loro relativamente lontane storie potrebbe esporle a nuovi rischi perché la ‘Ndrangheta non dimentica e non perdona mai. Ci sarà molto lavoro per gli avvocati delle parti.

L’opera è realizzata con cura, la recitazione è di livello eccellente, la produzione non ha badato a spese.

Gaia Girace (la Lila Cerullo de L’amica geniale) è una intensa e perfetta Denise Cosco; Valentina Bellè interpreta in modo magistrale il ruolo difficilissimo di Giuseppina Pesce, ragazza nemmeno trentenne con tre figli che riscuote i proventi del pizzo e dello spaccio di droga per conto del potentissimo clan della sua famiglia di Rosarno; Simona Distefano dà il volto a Maria Concetta Cacciola, la più vulnerabile delle donne di ‘Ndrangheta, che si suiciderà (o verrà “suicidata”) dopo non avere retto il ruolo di testimone di giustizia; la Pm Anna Colace, fredda e calcolatrice ma capace di slanci affettuosi soprattutto verso i bambini, è interpretata da Barbara Chichiarelli.

Nel film compare nella prima delle sei puntate Micaela Ramazzotti nei panni di Lea Garofalo che nel resto della serie entrerà attraverso i flashback della figlia.

La storia, come detto, è assolutamente realistica. Descrive ogni dettaglio dell’ambiente delle cosche, i rapporti di forza tra le famiglie, i ruoli riservati alle donne con l’incombente preoccupazione che le giovani, soprattutto quelle lontane dai mariti in carcere, possano fare colpi di testa e alle quali viene al massimo lasciato lo spazio per qualche avventura extraconiugale. La ‘Ndrangheta non sarà contenta per questa messa a nudo che ne svela i punti deboli.

Il conflitto fra giustizialismo e garantismo

Entra in scena anche il conflitto tra giustizialismo e garantismo quando Giuseppina Pesce rinuncia a fare la collaboratrice di giustizia e, pressata della famiglia, scrive sotto dettatura dell’avvocato una lettera nella quale accusa la Pm di averla manipolata. Prontamente un giornalista di Calabria Ora, a quel tempo diretto da Piero Sansonetti, chiede alla Pm se i suoi metodi di indagine, caratterizzati da pressioni psicologiche e confessioni estorte, siano da considerarsi legittimi. Per la cronaca, Valentina Pesce ritratterà la ritrattazione e questo sicuramente le salverà la vita.

L’epilogo della storia di Lea Garofalo, in passato già oggetto di un libro Marika Demaria (La scelta di Lea – La ribellione di una donna della ‘ndrangheta con prefazione di Nando Dalla Chiesa) e di un film di Marco Tullio Giordana (Lea, 2015), è noto: Il 28 maggio 2013 la Corte d’assise d’appello di Milano (l’omicidio di Lea Garofalo avvenne a Monza) e poi la Cassazione confermano 4 dei 6 ergastoli inflitti in primo grado. Ergastolo per i fratelli Carlo e Vito Cosco, ergastolo per gli altri due partecipanti all’omicidio e alla distruzione del cadavere Rosario Curcio e Massimo Sabatino; 25 anni di reclusione per Carmine Venturino (il fidanzato di Denise) e assoluzione per non aver commesso il fatto per il terzo dei fratelli Cosco. Giuseppe. La testimonianza di Denise Cosco, che da allora vive in una località segreta e sotto un’altra identità, è stata fondamentale per inchiodare la famiglia.

Grazie al ruolo di testimone di giustizia assunto da Giuseppina Pesce la strategia della Pm e della procura di Reggio Calabria, allora diretta da Giuseppe Pignatone, si rivelerà efficace per la disarticolazione del clan Pesce, anche se il processo non è ancora terminato.