Thanks for the dance, l’ultima magia
Esce il disco postumo di Leonard Cohen
Magico Leonard Cohen. A tre anni dalla morte del grande cantautore canadese ecco apparire un magnifico disco postumo, l’ultimo in assoluto della sua lunga e significativa storia. E conoscendo la sua integrità e coerenza e di conseguenza quella del figlio Adam, curatore di questo lavoro, ci si può fidare.
“Thanks for the dance” raccoglie le ultime canzoni scritte da Cohen, non comprese nel precedente lavoro. C’è la voce calda, profonda, quieta, amica. C’è quel suo modo di cantare che in realtà è raccontare, conversare, abbracciare. Ci sono musicisti importanti e pronti a collaborare ad un’opera che chiude idealmente una parabola luminosa, alla fine della quale Leonard ringrazia per la danza (della vita) uno dei suoi numerosi splendidi e fuggitivi amori a simboleggiare l’avventura stessa della vita terrena.
E per chi, come me, ha avuto la fortuna di assistere a qualcuno dei suoi ultimi bellissimi concerti in Italia, la mente non può fare a meno di tornare a quel palco ed a quell’uomo elegante e suadente circondato dai suoi eccellenti musicisti, desideroso e generoso nel dispensare le sue canzoni, che raccontano la vita ed esplorano l’animo.
La mostra a New York
Ed ancor di più il vivido ricordo di una emozionante mostra presentata al Jewish Museum di New York l’anno scorso, dal folgorante titolo “A crack in everything”. Da un verso di una sua canzone: “c’è una breccia in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce”, summa del pensiero di Cohen come tanti altri versi sparsi nelle sue creazioni.

Una esperienza davvero unica, quella mostra, perché girando per le sale, da straniero amante della sua poetica, non si poteva non notare quanto l’eterogeneo pubblico di visitatori newyorkesi fosse compreso, partecipe, silenzioso e coinvolto nei vari aspetti della poetica di Cohen lì fulgidamente rappresentati. E l’emozione prendeva tutti, fortemente, guardando i video dei suoi concerti nel passare degli anni, le sue profetiche canzoni e le sue confidenziali interviste in cui, fra l’altro, racconta in chiave quasi comica l’incontro con Janis Joplin al Chelsea Hotel; o nella sala in cui, da tanti piccoli schermi, diciotto persone qualunque di ogni età ed estrazione sociale cantano la adorata “I’m your man”, contemporaneamente, ognuno alla sua maniera e con la sua voce bella o stonata.
Una bella mostra, che chissà se un giorno potremo vedere qui, ispirata da un poeta dei nostri tempi a cavallo di due secoli. Uno che ci ha accompagnati nell’interpretazione del nostro mondo, nel modo giusto di affrontare le sue brutture, nelle conquiste del vivere da uguale fra gli uguali, nel giusto approccio al discorso amoroso. Senza pontificare, senza ergersi a modello, proponendosi come uno fra gli altri ma partendo poi verso l’alto, come una cometa che brilla e segna il cammino. E questo ultimo tenero, delicato, intimo lascito musicale e poetico diventa così davvero impagabile.
Grazie per la splendida danza, Mr Cohen.
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