«Terrorismo politico mafioso»: la lotta democratica di Berlinguer a Cosa Nostra
Lotta alla mafia e questione morale sono contigui nella riflessione e nell’azione politica di Enrico Berlinguer. Abbiamo intervistato il senatore Pietro Grasso, già presidente del Senato della Repubblica nella XVII Legislatura (2013-2018), sulle posizioni assunte da Berlinguer sul fenomeno mafioso e le connessioni con la questione morale e la riforma della politica. Pietro Grasso è stato uno dei protagonisti dello scontro fra Stato e mafia (…).
Come possiamo sinteticamente descrivere la realtà della mafia nel periodo in cui Berlinguer è stato segretario del PCI?
Per meglio comprendere la strategia politica di Berlinguer in relazione al fenomeno mafioso appare necessaria una premessa che consenta di inquadrare il periodo storico in cui la sua azione si concretizza e di tratteggiare le peculiari caratteristiche della mafia come fenomeno non solo criminale, ma anche sociale, economico e politico. Gli anni a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta rappresentano un passaggio decisivo della strategia di Cosa Nostra nei suoi rapporti con la politica e lo Stato. Negli stessi anni giungeva a conclusione uno scontro interno alla mafia, con l’affermazione di una nuova generazione di capi che trasformavano Cosa Nostra in una complessa e più moderna organizzazione criminale, unitaria e verticistica. Sono anche gli anni in cui Enrico Berlinguer svolge un’analisi nuova sul fenomeno mafioso e impegna il PCI in una battaglia diretta e politica sul campo (…).
Ma quale fu il ruolo del PCI e di Berlinguer in questo contesto, avendo come riferimento temporale gli anni 1982-1984?
Il discorso di Enrico Berlinguer ai funerali di Pio La Torre e di Rosario Di Salvo è la pietra miliare di questa nuova fase dell’impegno del PCI contro la mafia. In questa occasione il segretario del PCI mostra piena consapevolezza di come fossero cambiati i termini dello scontro in Sicilia e pur nell’occasione particolare, che forse in altra fase non si sarebbe prestata a una analisi politica approfondita, Berlinguer ne pone chiaramente le basi. Prima di tutto colloca la lotta alla mafia in un contesto nazionale e anche internazionale. Chi nei nostri tempi «liquidi» è uso irridere a questo stile comunista di partire dalla situazione internazionale per inscrivervi quella italiana e poi anche le situazioni locali, rifletta come forse proprio sul tema della mafia questo fosse metodo corretto e il considerarlo come circoscritto a un fenomeno territoriale sia stato per lunghi anni una delle armi più forti della mafia per mantenere il controllo sul Meridione, per poi infiltrarsi in aree del Centro-Nord Italia e infine consolidarsi come grande organizzazione criminale moderna e internazionale. Nell’evocare l’impegno di Pio La Torre dirigente comunista in Sicilia, Berlinguer afferma che la lotta alla mafia è parte integrante di un disegno geopolitico caratterizzato dall’impegno per la pace e la risoluzione dei conflitti nel Mediterraneo:
La lotta per la pace, la distensione, il disarmo, per la cooperazione dell’Italia con l’Africa settentrionale e con il mondo arabo, per una giusta soluzione della tragica questione mediorientale, minacciosa ed esplosiva. Per fare del Mediterraneo un mare di pace, perché la Sicilia faccia da ponte tra due sponde, nel segno della pace, della cooperazione, della cultura e della civiltà, nella linea della sua migliore tradizione e storica funzione. […] Per quanto riguarda noi comunisti ci siamo battuti e ci battiamo come il compagno La Torre aveva chiaramente precisato perché si sospendano i lavori di approntamento delle basi per i missili a Comiso, in vista della ripresa e degli auspicati progressi del negoziato Est-Ovest, con l’obiettivo della sicurezza di tutti e dell’equilibrio a livello più basso.
La mafia sta cambiando pelle, si sta velocemente ed efficacemente adattando al mondo in cambiamento. «Terrorismo politico mafioso» definisce Berlinguer con perfetta sintesi la nuova strategia di Cosa Nostra. E ne coglie il suo tratto di novità: la violenza mafiosa «fattasi sempre più barbara, caratterizzata dai modi nuovi, odierni, della speculazione, dello sfruttamento, della seminazione di distruzione e di morte, al primo posto la droga. Caratterizzata dal dilagare degli assassini più feroci e caratterizzata da un tratto nuovo, di estrema gravità: l’aggressione diretta, l’eliminazione fisica, feroce, di uomini investiti di pubbliche funzioni e di uomini politici che dimostrano coerente fermezza nell’adempimento dei loro doveri e nel perseguire seriamente e concretamente un disegno di risanamento e rinnovamento politico, sociale, civile».
Il tema della mafia è inestricabilmente connesso con la politica, non solo quella collusa con l’organizzazione criminale ma anche quella che non riesce a dare risposte all’altezza delle nuove esigenze sociali e di giustizia del Paese: «Ciò spiega come ogni uomo che dimostri di voler perseguire un rinnovamento e di avere capacità e rigore è considerato da queste forze un nemico, che si deve fare fuori. Questo è accaduto per uomini fra loro molto diversi, come Pier Santi Mattarella e Pio La Torre, come Cesare Terranova e Lenin Mancuso, come Gaetano Costa, Emanuele Basile, Boris Giuliano e molti altri alla cui memoria noi ci inchiniamo». Pio La Torre era stato l’interprete politico di questa nuova stagione di lotta alla mafia, perché «ne conosceva le forme nuove di attività, i metodi, le connivenze, le interferenze e convergenze con settori e punti determinati della vita politica e amministrativa» (…).
Berlinguer non poteva non fare riferimento, nell’occasione dei funerali di Pio La Torre, ai temi di fondo che aveva evocato e analizzato nella sua politica sulla questione morale, per la quale aveva chiamato a raccolta anche a livello nazionale tutte le forze politiche e sociali impegnate nel risanamento politico e morale del paese. La madre di tutte le battaglie contro la mafia, dice al microfono in Piazza Politeama, è «la costruzione di una nuova unità del popolo siciliano, attraverso collaborazioni e intese di tutte le sue forze popolari, dei comunisti, dei socialisti, delle forze democratiche più avanzate, di tutte le sue forze oneste, sane, che aspirano alla pace e al progresso, che vogliono un rinnovamento” (…).
Altre due diverse ma convergenti occasioni lo dimostrano: il discorso alla Camera dell’agosto 1983 sulla fiducia al governo Craxi e un articolo su «Rinascita» del 1984. Nel discorso sulla fiducia al Governo Craxi, Berlinguer individua nella mancanza di un riferimento specifico alla lotta alla mafia e alla camorra il punto più grave. «Nel potere mafioso sembra essersi costituita una vera e propria struttura centrale di comando, che è criminale, finanziaria, ma anche politica». Berlinguer mostra qui, di nuovo, la sua capacità di analisi profonda dei fatti sociali e politici italiani e, soprattutto, di un’analisi moderna del fenomeno mafioso.
«Contro la mafia e contro la camorra, – prosegue Berlinguer – come contro il terrorismo, occorre suscitare una grande e nazionale mobilitazione di massa, rinsaldare il rapporto tra popolo e istituzioni, per dare fiducia e sostegno agli uomini che proprio in questo momento si stanno battendo con tenacia e coraggio nonostante la grave carenza di mezzi, e perché soprattutto non sia reso vano il sacrificio di coloro che hanno perso la vita in questa lotta: da Mattarella a Dalla Chiesa, a Rocco Chinnici, al nostro compagno Pio La Torre (assassinato nel 1982), a tanti e tanti altri».
Berlinguer riprende qui alcuni dei contenuti della «questione morale», che è appunto commistione e condizionamento del potere pubblico, delle istituzioni, dei partiti e dunque necessità di ricongiungere la vita dei partiti politici, il loro ruolo costituzionale, con la vita del Paese, del popolo. La crisi istituzionale che stava attraversando l’Italia, che proprio con il governo Craxi iniziava la sua parabola per arrivare fino e oltre l’esaurimento della «prima Repubblica», era per Berlinguer essenzialmente crisi dei partiti. Cioè non tanto (o non solo) la questione della corruzione nella Pubblica Amministrazione o nella politica, bensì soprattutto il ruolo che i partiti politici avrebbero dovuto assumere nella crisi della democrazia rappresentativa che l’Italia stava attraversando. Divennero, i partiti, proprio quello che Berlinguer non voleva, autoreferenziali, organizzati intorno alla gestione del potere personale (che stava sempre di più concentrandosi nelle mani di pochi), che cessavano di svolgere quella funzione che l’art. 49 della Costituzione (sebbene non avesse mai trovato, fino ancora ad oggi, una sua traduzione in norme e leggi attuative) aveva immaginato per loro nel funzionamento della democrazia italiana.
Berlinguer torna a questo concetto nell’articolo di Rinascita del 1984 dove il collegamento tra questione morale e mafia è esplicito: «Anche la irrisolta questione morale ha dato luogo non solo a quella che, con un eufemismo non privo di ipocrisia, viene chiamata la Costituzione materiale, cioè quel complesso di usi e di abusi che contraddicono la Costituzione scritta, ma ha aperto anche la strada al formarsi e al dilagare di poteri occulti eversivi (la mafia, la camorra, la P2) che hanno inquinato e condizionano tuttora i poteri costituiti e legittimi fino a minare concretamente l’esistenza stessa della nostra Repubblica» (…).
La lotta alla mafia del PCI di Berlinguer presenta elementi di innovazione o resta nel solco della tradizione comunista?
Nell’archivio Berlinguer della Fondazione Gramsci di Roma c’è una nota su Valarioti manoscritta per il segretario; eccone alcuni passi: «Con lui si è voluto colpire il partito che più coerentemente ha lottato contro la mafia e tutto ciò che di nuovo è maturato in Calabria: quelle aggregazioni democratiche dell’economia e della cultura, delle quali la mafia è nemica. È stato dunque un salto di qualità nell’azione mafiosa contro lo sviluppo della vita democratica in Calabria […]. E non è un caso che abbia colpito […] [dove] si è avviato un processo di crescita culturale delle nuove generazioni verso le quali la mafia punta a esercitare la propria egemonia» (…).
Berlinguer, dunque, percepisce il salto di qualità della strategia mafiosa che si rivolge contro il PCI (…).
A conferma che la mafia calabrese aveva dichiarato guerra ai comunisti, nel giro di pochi giorni cadde anche Losardo a Cetraro. Il PCI reagì poderosamente: per le esequie la delegazione nazionale era guidata dal segretario, Berlinguer, e composta da Occhetto e Pio La Torre, palermitano, che aveva ben compreso la pericolosità e la forza della ’ndrangheta. Berlinguer a Cetraro pronunciò un discorso vibrante. «l’Unità», il giorno dopo, titolerà così il resoconto: «Berlinguer; la mafia non ci fermerà. Come contro il terrorismo, rigore e unità». Un passo su tutti è illuminante:
I problemi di fondo di questa regione sono divenuti sempre più gravi. I cedimenti, i lassismi, le tolleranze, le connivenze verso le cosche mafiose hanno origine da qui. Negli ultimi anni in Calabria si è fatto di tutto per indebolire e scoraggiare il movimento democratico forte e combattivo che, con caratteristiche di vera e propria lotta di massa, si batteva contro la mafia, per mettere in crisi il sistema di potere clientelare, per aprire concrete prospettive di lavoro e di sviluppo. Si è fatto di tutto per fare arretrare l’azione di amministratori onesti e democratici. Si sono fatte cadere giunte popolari che si erano impegnate fortemente per risanare. La mafia vorrebbe impadronirsi di tutto, comandare su tutto e tutti, sulle attività economiche, sui fondi dello Stato, sulle assunzioni al lavoro, sui diritti e sulla dignità di individui e famiglie.
Una concezione moderna dell’antimafia, si direbbe.
Sono riconoscibili tre temi cari all’antimafia moderna. Primo: poiché la mafia non è un fenomeno criminale qualsiasi, il ruolo delle amministrazioni locali, il loro convinto rifiuto a spalleggiare e farsi spalleggiare dalle cosche è determinante. Secondo: la pervasività del metodo mafioso, alla ricerca del profitto e del potere, mira a sostituirsi allo Stato democratico, a fornire proprie risposte ai bisogni dei cittadini, talché i diritti diventano concessioni del boss, della famiglia, del sistema criminale: Terzo: la lotta alla mafia non può essere condotta in modo isolato e affidandosi soltanto all’intervento repressivo, ma deve assumere caratteristiche di priorità politica, sociale ed economica, di coinvolgimento popolare, di «lotta di massa», come afferma Berlinguer «La lotta alla mafia […] non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che tutti abitui a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità». Sono parole famose di Paolo Borsellino; Berlinguer le aveva anticipate con il linguaggio politico che gli era proprio, fino a ripeterle, chiarissime, in Parlamento nel 1983:
Contro la mafia e contro la camorra, come con«tro il terrorismo, occorre suscitare una grande e nazionale mobilitazione di massa, rinsaldare il rapporto tra popolo e istituzioni, per dare fiducia e sostegno agli uomini che proprio in questo momento si stanno battendo con tenacia e coraggio nonostante la grave carenza di mezzi, e perché soprattutto non sia reso vano il sacrificio di coloro che hanno perso la vita in questa lotta: da Mattarella a Dalla Chiesa, a Rocco Chinnici, al nostro compagno Pio La Torre, a tanti e tanti altri (…).
È innegabile che in tema di lotta alla criminalità organizzata l’azione politica di Berlinguer fu lungimirante nonostante all’epoca fosse bollata interessatamente solo e soltanto come polemica di opposizione. La sua proposta di soluzione mantiene ancora tutta la sua efficacia e, purtroppo, la sua attualità: questione morale e lotta democratica di massa per la conquista dei diritti di libertà, eguaglianza e giustizia, misconosciuti e soffocati dal sistema mafioso.
Estratto da “Berlinguer. Vita trascorsa, vita vivente” di Susanna Cressati e Simone Siliani, Castelvecchi editore.
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