Terrorismo e violenza, la memoria selettiva di Giorgia Meloni

È una memoria selettiva quella di Giorgia Meloni. Era ancora in Etiopia, dove a proposito di memoria non ha fatto alcun riferimento al passato coloniale italiano e men che meno alle stragi ordinate dal generale Rodolfo Graziani (un mito per Fratelli d’Italia), quando ha inviato il messaggio per ricordare il cinquantesimo anniversario della strage di Primavalle dove il 16 aprile 1973 un attentato incendiario alla casa del segretario di una sezione del MSI uccise i fratelli Virgilio e Stefano Mattei di 22 e 8 anni.

Il rogo venne provocato da tre militanti di Potere Operaio, condannati ma fuggiti all’estero e rimasti impuniti. Fu facile e vigliacco dare fuoco alla casa dei Mattei. Si trattò di un fatto orribile, ignobile, una tragedia che poteva avere conseguenze ancora più gravi (in casa c’erano i sei fratelli Mattei, il padre e la madre) collegato ad una strategia terroristica che da alcuni anni vedeva tanti soggetti muoversi all’attacco di una democrazia italiana fragile e in bilico.

Il rogo di Primavalle

Il rogo di Primavalle nel quale morirono i fratelli Virgilio e Stefano Mattei

Quel fatto, ma non solo quello, accompagnò una lunga stagione di terrorismo nella quale gli “opposti estremismi” avrebbero causato centinaia di morti, a volte scontrandosi tra di loro ma più spesso scegliendo altri obiettivi: chi colpendo nel mucchio, con le stragi tutte di destra sotto la precisa regia degli ambienti che ruotavo attorno al Msi; e  chi, nei gruppi con una matrice di sinistra (ma anche in alcune azioni di destra), “selezionando” le vittime per funzione e incarico.

Ha detto Meloni da Addis Abeba che “Il 16 aprile di cinquant’anni fa l’Italia e Roma hanno vissuto una delle pagine più buie della storia nazionale”. E ha aggiunto: “Il popolo italiano ha saputo superare quegli anni così duri. Non possiamo restituire la vita ai troppi giovani che l’hanno sacrificata ad un’ingiusta violenza. Quello che possiamo fare oggi è tenere viva la memoria di quanto accaduto, per evitare il pericolo di ricadute e condurre l’Italia e il nostro popolo verso una piena e vera pacificazione nazionale“.

Fausto e Iaio (Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci)
Fausto e Iaio (Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci)

I tanti episodi che hanno costellato la strategia della tensione

È un messaggio adatto? Riferito alla circostanza della rievocazione del fatto specifico, sì certamente lo è. Riferito ai due decenni che vanno dal Sessantotto alla fine degli anni Ottanta, no non lo è. Meloni mette ogni cosa dentro un unico calderone e da lì estrae quello che più le fa comodo a livello identitario per la sua storia di destra.

In primo luogo, non si capisce come mai la presidente del Consiglio “selezioni” i fatti di terrorismo meritevoli delle sue attenzioni.

Benedetto Petrone

Ad esempio, il 18 marzo scorso cadeva il 45° anniversario dell’uccisione di “Fausto e Iaio” (Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci), due giovani militanti di sinistra che frequentavano a Milano il centro sociale Leoncavallo.

Una lunga inchiesta giudiziaria non è arrivata a conclusioni ed è stata archiviata nonostante forti sospetti ricadessero su Massimo Carminati, neofascista, affiliato alla Banda della Magliana, Mario Corsi, ex militante dei Nuclei Armati Rivoluzionari e Claudio Bracci, neofascista, vicino agli ambienti della criminalità organizzata. Il decreto che ha messo la parola fine all’inchiesta è del 6 dicembre 2000.

Il Gup del Tribunale di Milano, Clementina Forleo, ha archiviato l’inchiesta perché “pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva ed in particolare degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi”.

Per le due vittime si è mossa la sottosegretaria Paola Frassinetti di Fratelli d’Italia che dopo avere deposto dei fiori in una scuola dove venne ucciso il militante di destra Sergio Ramelli, si è recata anche nel liceo di Brera frequentato da Iaio ed ha pronunciato parole imbarazzanti: “Oggi il Governo è qui a commemorare questo ragazzo del Leoncavallo che è stato ucciso. Prendiamo questo spunto come uno spunto positivo, invece di andare a cercare sempre cose che dividono”. Un colpo al cerchio, un colpo alla botte, Ramelli da una parte, Fausto e Iaio dall’altra e pari siamo.

Ancora: lo scorso 28 novembre cadeva il 46° anniversario dell’omicidio del militante della FGCI Benedetto Petrone, ucciso a coltellate a Bari da una squadra di missini. Il coltello che servì per l’omicidio e per ferire gravemente un altro militante comunista venne ritrovato nella federazione del MSI. Non risultano messaggi e interventi della presidente del Consiglio.

Tra i tanti anniversari più o meno dimenticati dei morti per violenza politica presto cadrà quello di Luigi Di Rosa, militante comunista di 21 anni. Venne ucciso il 28 maggio 1976 a Sezze Romano (Latina), durante un comizio di Sandro Saccucci, all’epoca importante parlamentare del Msi che sparò, imitato da altri camerati, a dei contestatori e poi imboccò la strada della latitanza. Sarebbe bello se Meloni trovasse tempo e modo per rievocare quel fatto.

Che farà il governo il 2 agosto, anniversario della strage di Bologna?

Ma la vera prova attende Meloni tra tre mesi e mezzo a Bologna, il 2 agosto, 43° anniversario della strage alla stazione che fece 85 morti e oltre 200 feriti. La strage ha esecutori nell’ambiente neo fascista e mandanti nella P2.

I condannati all’ergastolo in via definitiva sono i Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini e, in primo grado, Paolo Bellini di Avanguardia Nazionale. Luigi Ciavardini, anch’egli Nar all’epoca dei fatti minorenne, è stato condannato a trent’anni.

Tra i condannati per depistaggio vi sono Licio Gelli, gli ufficiali del SISMI Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, e il faccendiere Francesco Pazienza, collaboratore del SISMI.

Tutti gli esecutori, compresi Mambro e Fioravanti che portano il peso rispettivamente di nove e otto ergastoli, sono in libertà da molti anni mentre i depistatori sono morti.

Vedremo come si comporterà Giorgia Meloni nelle prossime ricorrenze. Certo è che la pacificazione nazionale invocata dalla presidente del consiglio non pare la principale preoccupazione di tutta la destra, almeno a sentire il ministro Sangiuliano secondo il quale i fratelli Mattei “furono uccisi dalla violenza comunista”.

Vedremo anche se in questa settimana che ci conduce al 25 Aprile Meloni troverà la chiave politica e storica per celebrare la festa della ritrovata libertà dal fascismo e se saprà tenere a bada le parole in libertà dei suoi.