Poca prevenzione e troppi armamenti. Turchia e Siria in ginocchio per un sisma devastante

Che altro si può fare dopo un terremoto di magnitudo 7,9 gradi Richter che ha massacrato  la Turchia e parte dei confinanti Siria e Libano nella notte tra il 5 e il 6 febbraio? Che altro si può fare dopo le continue scosse di “assestamento “  solo poco meno violente, con magnitudo tra 5 e 6,7? I morti accertati a meno di 24 ore dalla prima scossa sono almeno duemila oltre la metà dei quali in Turchia. Almeno tremila sono gli edifici crollati nella sola Turchia.

Che si può fare? La risposta sembra essere una sola: piangere i morti, condividere la disperazione dei “superstiti” che hanno perso tutto, esprimere partecipazione e promettere aiuti. Lo hanno fatto subito, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Russia, l’Ucraina.

Ma non è solo questo. Non deve essere solo questo. Perché l’area colpita è notoriamente violentemente sismica. È la faglia Est Anatolica che quando decide di farsi ricordare lo fa in modo simile a questo. È proprio qui, rende noto il sismologo Alessandro Amato dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia , che è avvenuto il terremoto: “nel punto triplo nel quale convergono il blocco anatolico, quello arabico e quello africano”.

Pericolosità sismica enorme e ripetitiva

Tragedia in Turchia, Terremoto al confine con la Siria
Tragedia in Turchia, Terremoto al confine con la Siria, Malatya 02-06-23, Depo Photos/ABACA / ipa-agency.net

Si tratta di una pericolosità sismica di enorme portata. Con una ripetitività nel tempo di circa un secolo. L’ultima scossa di queste dimensioni risale al 1939, ad Erzincan con 33.000 morti. Cui sono seguiti i 18.000 morti del terremoto di Izmit del 1999 di magnitudo 7,6. Complessivamente nei soli anni Novanta si sono registrati ben cinque terremoti tutti superiori alla magnitudo 6.

Dunque la Turchia è una regione ad alto rischio sismico i cui effetti, come avviene in moltissime altre parti della Terra, sono amplificati dalla scarsa qualità del patrimonio edilizio.

I sismologi sono soliti dire che non è il terremoto che fa vittime, ma la casa che crolla.  E la casa può non crollare se costruita secondo i dettami dell’ingegneria antisismica. E così è. E vale per tutti i Paesi nei quali, ancorché sismici,  la prevenzione delle conseguenze dei terremoti è scarsamente praticata. E nei quali, magari, una elevata percentuale di spese viene riservata agli armamenti piuttosto che ad investimenti di edilizia antisismica.

Oltre sei milioni di edifici a rischio

La mia documentazione a questo riguardo è ferma al 2018 quando (14 marzo) gli ingegneri Anıl Dindar e Cüneyt Tüzün dell’Università di Gebze tennero a Roma, presso l’INGV,  un seminario di studi sul piano di rinnovamento edilizio e urbanistico, varato dal Governo turco con la legge 6306 del 2012. Piano che prevedeva l’adeguamento antisismico o la ricostruzione ex novo per quasi 6.5 milioni di edifici a rischio (di cui quasi 100mila già demoliti a quella data e in parte ricostruiti) per un investimento complessivo per l’intero paese di quasi 410 miliardi di euro, nei successivi dieci o quindici anni.

Non so se sia partito quel piano e a che punto sia la realizzazione oggi dopo cinque anni.

Foto di Angelo Giordano da Pixabay

Credo, però, con maggiore certezza di poter dire che l’esercito turco è uno dei più forti, meglio addestrati e armati della Terra. Certamente della Nato.  E che un risultato del genere non si raggiunge gratis, ma con investimenti economici di ampia portata.

Che c’entra tutto questo col terremoto? C’entra perché molti dei soldi “ investiti” in armamenti se spesi -questi sì investiti- in interventi di ingegneria antisismica contribuirebbero a dare un senso positivo all’affermazione secondo la quale anche con i terremoti si può convivere. Come insegnano California e Giappone.
E oggi non si starebbe a scavare tra le macerie di palazzi mal costruiti caduti come fuscelli. Ma in seguito ad una serie di scosse, diciamolo, di inaudita violenza. Per rendersene conto si pensi al terremoto che ha raso al suolo Amatrice il 24 agosto 2016.  Ebbene, riferisce l’INGV,  questo è stato di una violenza mille volte superiore. Malgrado ciò molti molti morti potevano essere risparmiati e molte molte distruzioni evitate in un territorio che, consapevole della sua “naturale” esposizione al rischio, fosse adeguatamente predisposto a sopportare l’evento. Evento, peraltro, assolutamente imprevedibile sul quando si possa manifestare, ma assolutamente prevedibile nella possibilità  della sua manifestazione.

Perché come dicevano i latini certus an, incertus quando. È su quel “an”, cioè  sulla certezza che, prima o poi, vi possano essere scuotimenti di elevata magnitudo che è doveroso attrezzarsi.