Echi di editto bulgaro
L'ombra di Salvini
sul Fazio dimezzato

Risuona l’eco dell’editto bulgaro. Che brutta sensazione. Sono trascorsi più di diciassette anni da quando l’allora premier Silvio Berlusconi in visita di Stato a Sofia decise di dare il benservito a Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, colpevoli di non assecondarlo, anzi di criticarlo ognuno a suo modo. E lui non era abituato. Ora ci troviamo davanti a un altro politico, Matteo Salvini, non abituato anche lui alle critiche che della ingerenza nei palinsesti Rai ne ha fatto un punto d’onore. Fabio Fazio andava punito. Basta con le interviste a personaggi scomodi come Saviano. Basta con i servizi sui migranti. Basta…Visto che combattere contro i fischi, gli striscioni contrari, i selfie trabocchetto e i baci lesbici sta diventando un’impresa, meglio far pressione dove c’è più ascolto.


Matteo Salvini per mesi ha puntato a ridimensionare il conduttore che andava almeno dimezzato dato che chi gli è intorno gli ha spiegato che il mandarlo via sarebbe costato alle casse della Rai troppi soldi. E quindi ecco arrivare all’improvviso la comunicazione che le ultime tre puntate di Che fuori tempo che fa, l’edizione del lunedì della trasmissione madre che va in onda la domenica, sono state soppresse come ha annunciato lo stesso Fazio in apertura di trasmissione e poi, preferendo “alleggerire” nonostante le sollecitazioni di Maurizio Crozza non è più tornato sull’argomento. Due trasmissioni annullate in nome della presunta necessità di dedicare gli inizio settimana al prima e dopo le elezioni europee, affidati al più rassicurante Bruno Vespa e, quindi, via anche la terza non ritenendo opportuno l’azienda di tenere in sospeso un’ultima trasmissione da mandare in onda dopo due settimane di sospensione.
Sorpresa, si vota per le europee. Questa la giustificazione poco credibile tenendo presente che la confezione dei palinsesti Rai avviene a scadenze prevedibili già certe. E il voto era ampiamente in calendario. Quello che non era stato previsto è il crescente fastidio del ministro degli Interni, vicepremier e leader leghista oltre che addetto a tante altre funzioni a seconda dell’abbigliamento, nei confronti di un professionista moderato (e questo deve fare più male) che ha assunto posizioni nette e motivate su argomenti scomodi, certamente per la parte più rumorosa del governo del cambiamento.

E già, non può essere che questa ostilità politica l’unica giustificazione dello strappo che l’azienda ha compiuto attraverso la direttrice di RaiUno, Teresa De Santis, nominata in quota leghista, che, pare abbia agito in totale autonomia rispetto ai vertici aziendali. Tanto da far infuriare l’amministratore delegato, Fabrizio Salini descritto come palesemente “irritato” che ora attende da lei e dal direttore del coordinamento dei palinsesti, Marcello Ciannamea, molte spiegazioni. E credibili oltre quelle che gli sono state fornite dalla direttrice con una lettera.
Ma qualche differenza tra il comportamento dell’ex cavaliere e del capitano c’è. L’ormai vecchio leader allora la responsabilità di un atto reazionario, inopportuno, sbagliato se l’assunse in prima persona. Lo disse lui davanti a duecento giornalisti. Matteo Salvini ha attaccato il conduttore per settimane sventolando davanti agli italiani in difficoltà un contratto milionario e, secondo lui, ingiusto anche se nel conteggio dei costi e dei ricavi alla fine la Rai ci guadagna. E poi ha lasciato ad altri, pur legalmente responsabili, l’onere di dare il ben servito a metà a Fabio Fazio.

In verità in questa stagione lo stesso trattamento è già stato riservato a Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu e Mia Ceran cui è stato tolto il preserale di Rai2 dal direttore di rete, Carlo Freccero, in nome di un ascolto insufficiente mai dimostrato. In cambio c’è l’allineato Tg2Post.
Ora meno male che Fazio andrà regolarmente in onda la domenica fino a scadenza e che gli altri tre bravi e impegnati conduttori la domenica Quelli che il calcio la presentano ancora con ripresa anche la sera. Ma che dire. Almeno questo in un Rai sempre più povera di proposte. Ma queste decisioni monche trasmettono più la sensazione dell’avvertimento che della capacità decisionale.  Della "censura", come ha detto Nicola Zingaretti. E non è un bel sentire.


Il commissario Montalbano, che fa paura ai leghisti. E fa il pieno di ascolti

Eccole di nuovo al lavoro le agguerrite falangi social razziste di povera cultura. Nel giro di un paio di giorni hanno trovato ancora pane per i loro denti aguzzi e il piccolo cervello. Dopo la polemica sanremese sulla vittoria imprevista di Alessandro Mahamood, ragazzo italianissimo che ha tolto il primo posto ad un Ultimo che voleva arrivare primo, ecco gli accaniti della rete andare all’attacco di un’altra ammiraglia dell’intrattenimento Rai, le inchieste di Salvo Montalbano figlio dell’arte di Andrea Camilleri. Per ingraziarsi il capo (che ha troppi capelli per travestirsi da collega di Vigata che peraltro la divisa non la porta), per mostrare un celodurismo d’annata, per esibire la improvvisa libertà di poter esprimere una opinione su tutto in nome di un via libera politico imbarazzante. Che spesso gli apostrofi siano sbagliati, i congiuntivi pure e le h appaiano a sorpresa, preferibilmente quando non ci vogliono, sono questioni di poco conto.

Era apparso subito chiaro che il ritorno di Andrea Camilleri e del suo commissario sugli schermi tv fosse foriero di tensioni legate agli avvenimenti della puntata che segnava i vent’anni di un rapporto intenso con gli spettatori di tutto il mondo dato che le avventure, gli amori, la sagacia e l’impegno sociale di Salvo Montalbano sono stati visti ovunque, in ogni pezzetto della terra, da un miliardo e duecentomila persone (per ora). Fosse solo perchè il direttore di RaiUno, Teresa De Santis e il presidente Marcello Foa, entrambi riconducibili all’area leghista, avevano avuto la bella idea di sospendere la trasmissione del (per loro) troppo autonomo Fabio Fazio e mandare in onda uno speciale del più tranquillizzante Bruno Vespa, che altro non è stato che un monologo di Matteo Salvini.

Ma perché tutto questo? Perché la prima parte dello sceneggiato affrontava, nel modo e nelle parole di un grande come Andrea Camilleri e dei suoi personaggi, il dramma di un naufragio. Di profughi recuperati in mare con l’umanità di quanti nella realtà ogni giorno portano aiuto a chi vive il dramma del distacco dalla propria terra alla ricerca di una vita migliore. La tragedia della violenza che si consuma in mezzo al mare su donne, spesso ancora bambine. La disperazione di chi è privo “anche di quel poco che sarebbe necessario”. Il medico tunisino laureato a Londra che sta lì sul molo ad accogliere con gli uomini del commissario. E il flautista che il suo strumento non lo ha abbandonato neanche in mezzo alle onde. Ma è la scena in cui il commissario recupera in mare il corpo di un ragazzo, lo porta sulla spiaggia di peso, lo copre con un telo, con il rispetto dovuto e sentito “…sono cose terribili che non dovrebbero accadere”, che ha toccato il culmine degli ascolti. “Ancora con questa storia dei terroristi che arrivano con i barconi dei migranti” dice il commissario liquidando un suo collega vittima della propaganda. E tanto basta.

Apriti cielo. Anche Camilleri si mette a difendere gli invasori neri. Addio Montalbano, non ti guarderemo più. E questo presidente Foa cosa fa, subisce e non provvede? E che è stato messo a fare lì? Breve sintesi degli scritti social cominciati a dilagare davanti al commissario in prima linea con i suoi e con un Catarella in lacrime per la morte di un bimbo di colore appena nato.

Ma l’assenza degli spettatori razzisti in fuga non si è avvertita. Alla fine a vedere “L’altro capo del filo”, davanti alla tv sono stati 11 milioni e 108mila persone con uno share del 44,9 per cento, secondo solo ad un episodio di un anno fa, “ La giostra degli scambi”. Quindi secondo dei trentaquattro episodi andati in onda in questi vent’anni.

Gli ingredienti ci sono stati tutti. Come sempre. Amore e morte, il colpo di scena, i sentimenti, la solidarietà. Una macchina perfetta. Sotto la regia di Alberto Sironi gli attori (e quindi i personaggi) sono rientrati nelle nostre case come se non fossero mai andati via. Questa volta anche una testimone d’eccezione dell’omicidio, la gatta Angelica.

Ai preoccupati razzisti vale la pena di ricordare che il libro da cui è tratto il nuovo episodio è stato pubblicato nel 2016. Quindi molto prima di questi tempi in cui l’immigrazione è diventata un argomento di contrasto politico al limite della disumanità. D’altra parte a tornare indietro il personaggio di Montalbano è sempre stato impegnato in prima linea nelle battaglie sociali e politiche. Basterebbe ricordare il piccolo François del “Ladro di merendine”, orfano tunisino che Livia, la fidanzata del commissario, finirà per adottare. Era il 1996. Ma anche il commissario in crisi, pronto alle dimissioni, dopo i fatti del G8 di Genova. Era il 2003 e il romanzo si chiamava “Il giro di boa”.

Pochi riferimenti che ai contestatori razzisti scivoleranno addosso. Per loro i libri sono solo un elemento d’arredo, quando qualcuno glielo consiglia. Purtroppo il nostro è un Paese che non legge. Almeno il 60 per cento degli italiani, dati Istat, non ha letto un libro nell’ultimo anno. E forse si merita una sottosegretaria alla Cultura, Lucia Bergonzoni, che non ne apre uno da tre anni.

Sperando in un futuro migliore, Camilleri e il suo Montalbano vincono lo stesso.