Il libro di Camusso "Facciamo pace" e l'impegno per una società di speranze diverse

“Facciamo pace” è una riflessione bella e molto utile che Susanna Camusso ci propone nel suo libro scritto con Altero Frigerio e Roberta Lisi, pubblicato da Strisciarossa. La riflessione prende le mosse dalla tragica guerra in Ucraina, esprime in merito un netto punto di vista: è doveroso stare dalla parte di chi è aggredito, aiutarlo nella grave crisi umanitaria ed anche a rispondere all’aggredito con la necessaria forza delle armi.

Al contempo bisogna lavorare perché si apra un negoziato tra le parti, perché si realizzi il cessate il fuoco e si assumano serie iniziative di pace. Questo, secondo l’autrice avrebbe dovuto vedere un ruolo propulsore da parte dell’Europa che invece non c’è stato.

O non ha avuto la forza necessaria anche perché non c’è stata la forza dell’Unione Europea. Cosa è oggi l’Europa? Quanto si è realizzato del progetto originario dell’Unione Europea: il disarmo tra le superpotenze e la costruzione del multipolarismo, attraverso il dialogo e relazioni di cooperazione con tutti i paesi del mondo?

“La realtà dei nostri giorni descrive plasticamente un mondo ben diverso da quello delle passate generazioni, un pianeta in guerra, dominato dallo scontro tra i più diversi interessi, personali, nazionali, militari, tecnologici ed economici. Anziché cogliere le straordinarie opportunità offerte dalla fine della guerra fredda e dalla caduta del muro di Berlino si è scelto di inseguire il disegno di un ordine mondiale gerarchico, fondato sulla legge del più forte ,sulla deregulation istituzionale ed economica e sulla competizione selvaggia. L'aggressione russa all'Ucraina è figlia di questo schema di guerra globale che ora ci minaccia sempre più da vicino.” scrivono nella loro introduzione Altero Frigerio e Roberta Lisi.

La guerra in Ucraina ci sollecita a guardare al mondo nel suo insieme. Ci rendiamo conto allora che sono 150 i conflitti e le aree di crisi, dalla Siria, allo Yemen, dalla Libia all’Afganistan, dall’Etiopia alla Palestina, dal Sudan al Congo, nel Centro America o nel Sud Est Asiatico, spesso in regioni cruciali per gli equilibri dell’Italia e dell’Europa in atto. Ci rendiamo conto che la democrazia ha perso terreno a favore di regimi autoritari. Negli ultimi sedici anni la percentuale della popolazione mondiale che vive in paesi democratici è scesa dal 46 al 20% .Se guardiamo al mondo nel suo insieme ci rendiamo conto che la pace non può essere intesa solo come l’assenza di conflitti armati ma richiede la capacità di vedere ed aggredire le cause che la provocano.

Senza un'idea di pace

Foto di Alice Donovan Rouse su Unsplash

Difronte a questa responsabilità , secondo l’autrice, l’Europa oggi non ha un idea di pace .“ Per me l'idea di pace sta nel costruire le basi per dimostrare come nella pace si stia meglio e si possano fare cose migliori che attraverso la guerra, vivendo in sicurezza e non sull'equilibrio degli armamenti. Ritengo che questo assunto comporti di ripensare gli insediamenti industriali, riconsiderare la produzione delle armi ,ridefinire il quadro complessivo del commercio mondiale. Insomma lavorare per la pace significa essere consapevoli di dover e voler cambiare anche gli assetti economici”.

Le cause delle guerre sono il conflitto sulla proprietà e l’uso delle fonti energetiche, la proprietà e l’utilizzo delle nuove tecnologie, le radicate resistenze verso le energie rinnovabili, come nella messa in sicurezza del territorio, la scarsità dell’acqua. Siccità e carestia, inondazioni ed eventi climatici estremi colpiscono ampie fasce di popolazione specie nelle aree più povere del pianeta. Il conflitto in Ucraina ci ha ricordato, inoltre, quanto il mondo abbia fame e quanto possa essere ulteriormente affamato. Dunque fare la pace significa costruire una politica di cooperazione e relazione tra i popoli per armonizzare i reciproci interessi al fine di salvaguardare il clima, le terre e le acque del nostro pianeta, affermare l’inderogabile diritto di ciascuna persona al cibo, promuovere uno sviluppo che garantisca i diritti umani fondamentali in ogni parte del pianeta.

Ci sono state stagioni in cui la sinistra europea ha ragionato in questi termini avanzando un approccio fortemente innovativo.

La Carta della pace e dello sviluppo

Penso alla Carta della Pace e dello Sviluppo approvata dal Comitato Centrale del PCI nell’ottobre del 1981 su proposta di Enrico Berlinguer, in sintonia con la elaborazione di alcuni leader della socialdemocrazia Europea come Olof Palme e Willy Brandt. In essa si poneva l’obiettivo di una Europa Unita che lavorasse per il disarmo e per la costruzioni di relazioni multipolari e di cooperazione tra tutti i popoli del mondo, per promuovere lo sviluppo e la democrazia, puntando in particolare al riscatto dei paesi del Sud del Mondo a partire dall’Africa. Tale approccio è tanto più necessario oggi. Il tema è quello di un nuovo modello di sviluppo e di democrazia che metta al centro il paradigma della cura della vita..

Susanna Camusso fa sua l’espressione del Papa, Pace e Bene ,e la scandisce nella promozione dei diritti umani fondamentali, nella economia della cura. Sottolineando che questo significa centralità dei beni comuni, riconoscimento della dimensione pubblica, e centralità del ruolo della politica.

Sono convinta che “Fare la Pace” assumendo come paradigma la Cura della Vita richieda una visione, un idea di società. Un ideale luminoso, quello di un Nuovo Umanesimo che realizzi l’eguale dignità delle persone. Un Nuovo Umanesimo basato sulla concezione della persona quale soggetto relazionale, interdipendente nel suo rapporto con l’altro, la cui libertà è nella libertà dell’altro, il benessere individuale risiede nella costruzione di relazioni umane significative, risiede nella comunità.

Le guerre mettono in discussione un modello di sviluppo ed una idea di società: il neoliberismo, basato sulla finanziarizzazione dell’economia, sulla svalorizzazione e lo sfruttamento del lavoro, sulla mortificazione dell’ambiente naturale, sulla riduzione del Welfare pubblico, sulla esaltazione dei consumi privati. Ma, per essere efficace deve mettere in discussione anche uno degli aspetti troppo sottovalutati, anche a sinistra, del neoliberismo, che è la sua esaltazione ed al contempo la banalizzazione della libertà individuale.

L'ipertrofia dell'io e la politica

Il culto della “ipertrofia dell’io” che ha penetrato fortemente la nostra società, i suoi stili di vita, ed ha modificato profondamente la politica. Interprete di questo mutamento antropologico in Italia è stato soprattutto il Berlusconismo (poi ampliato dai populismi). La libertà come fare da sé, come competizione, come riduzione della socialità, come mito dell’arricchimento individuale, riducendo la persona umana a individuo consumatore. La politica è diventata la politica del Leader, dell’apparire, in cui il popolo non è un soggetto attivo da ascoltare e rendere protagonista dei suoi destini, ma un popolo indistinto da interpretare nei suoi umori per trovare il messaggio più efficace con cui blandirlo, abbandonandolo poi nella sua solitudine, nella fatica dei problemi della sua vita e nella sua passività.

Questa “ipertrofia dell’io” che, ripeto è penetrata profondamente nella nostra società e nel nostro modo di vedere la persona umana e la vita, è stata radicalmente messa in discussione dal dramma del Covid19. Che ci ha immerso nella esperienza della fragilità. Ci siamo scoperti soggetti fragili, interconnessi gli uni agli altri, immersi in un mondo globale dove ogni parte del mondo condiziona la nostra vita. Abbiamo scoperto che “vivere” è “convivere”, abbiamo scoperto che potevamo risalire la china solo adottando come guida del nostro pensare ed operare il paradigma della “cura della vita”.

La cura della vita e e le priorità

Abbiamo detto che non si poteva tornare come prima. Che bisognava costruire una nuova idea di società a partire dalla assunzione della persona umana come soggetto fragile, interconnesso, globale. Archiviare dunque quella cultura individualista e consumista, cambiare il modello di sviluppo e la qualità della democrazia che lo ha originato. Il paradigma della “cura della vita” comporta la scelta di priorità molto nette.

Uno sviluppo economico e sociale che investa politiche pubbliche nei fondamentali beni comuni: lavoro, salute, istruzione, tutela dell’ambiente, welfare sociale. In cui il soggetto pubblico costruisce un patto con le imprese, sollecitandole, attraverso il dialogo sociale, a partire dai sindacati, ad investire nel capitale umano, nella responsabilità sociale, partendo dal presupposto che l’inclusione sociale, la cura della vita, sono una risorsa stessa dello sviluppo, che tutti gli attori economici e sociali devono avere la lungimiranza di promuovere. Che metta al centro la dignità del lavoro e dei lavori per tutte le persone, a partire da quelle più fragili. Un tempo di lavoro tutelato nei suoi diritti, nella sua qualità e che possa mescolarsi con gli altri tempi della vita. Tempo di lavoro, tempo della cura, tempo della formazione, tempo per sé: non è giunto il momento di indicare anche questo aspetto nella strategia della dignità del lavoro?

Riconsiderare il tema della riduzione dell’orario di lavoro, della sua redistribuzione, chiedendo in cambio un impegno nel tempo sociale della cura delle persone. Quello che potrebbe essere chiamato il “diritto alle pluri-attività”. Proprio a partire dalle modificazioni che il tempo di lavoro ha conosciuto. Una delle grandi diseguaglianze del tempo moderno, è infatti, tra chi, pur di avere un lavoro è costretto a subordinare ad esso tutti gli altri tempi di vita e chi, invece, può esercitare una padronanza sul tempo di lavoro e mescolarlo con gli altri tempi di vita.

Foto di Massimo Virgilio su Unsplash

Ciò significa, prima di tutto, riconoscere in modo adeguato, il valore umano, economico e sociale di quella grande e multiforme quantità di lavoro di cura delle persone, quasi interamente svolto dalle donne. Come ci ricorda l’articolo 3 della nostra Costituzione, c’è un nesso tra il superamento delle discriminazioni, l’inclusione sociale e la qualità della democrazia. Non si combattono le diseguaglianze senza una democrazia inclusiva che va incontro alle persone, sollecita la partecipazione attiva anche di quelle che vivono le ferite sociali, sentono lontana ed insignificante la politica. Ed allora diventa essenziale una democrazia che si fonda su una pratica politica che si prende cura delle persone, ingrediente della cittadinanza e capace di sollecitare ciascuna persona a tirare fuori le proprie capacità.

Una “democrazia deliberativa”, con partiti ed istituzioni che prendono le loro decisioni sollecitando dibattiti pubblici in cui le persone mettono a servizio le proprie competenze, esprimono i propri punti di vista ed esercitano la capacità di monitoraggio e di valutazione dei risultati conseguiti dalle politiche che sono state attivate.

Su questo le donne possono esercitare una leadership autorevole e diffusa alternativa alla destra, perché animata dalla politica del “noi” e dalla ambizione di rendere umana ed efficace la politica medesima. Una leadership plurale che valorizzi la differenza di genere , costruisca una solidarietà tra le generazioni, valorizzi le competenze per selezionare una classe dirigente all’altezza dei compiti e capace di rappresentare le molte realtà personali collettive che nel paese vivono le sfide della modernità e del cambiamento.

Ricostruire il legame tra persone e politica

Ricostruire il legame tra la vita delle persone e le istituzioni della politica, ricostruire il senso della rappresentanza politica, reinventare una politica popolare, ricostruire partiti popolari: da qui può rinascere la sinistra. Così si costruisce la pace. Insieme al progetto di una democrazia Europea, che sia capace di costruire finalmente una cittadinanza plurale, una società della convivenza basata sulla mescolanza di popoli, di culture e religioni, sulla partecipazione politica dei “nuovi italiani”.

La società della Convivenza, l’unica, come insegnano le esperienze realizzate in tanti luoghi del nostro Paese ed in Europa, che può garantire sicurezza e sviluppo sostenibile. Che richiede istituzioni globali, capaci di far vivere la cooperazione ed il dialogo tra i popoli, costruire la pace e promuovere i diritti umani fondamentali in ogni parte del mondo. I grandi progetti hanno bisogno di visione ma anche di fatti concreti costruiti giorno per giorno. Come quelli indicati da Monsignor Zuppi, Presidente della Cei il 5 novembre 2022. “ Chiedi quindi la pace e con essa la giustizia. L'umanità del pianeta devono liberarsi dalla guerra. Chiediamo al Segretario generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti che combattano le povertà. Chiediamo all'Italia di ratificare il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari non solo per impedire la logica del riarmo ma perché siano consapevoli che l'umanità può essere distrutta.”

Livia Turco è presidente della Fondazione Nilde Iotti