Letta e la "base" Pd
si parlano, ora
serve un giornale

La notizia è stata pubblicata per primo dal Corriere della Sera, domenica scorsa a pagina 14, a una colonna. Corretta nel suo contenuto e nel titolo “PD, risposte da 3 mila circoli alla campagna di Letta”. Verrebbe da osservare: se l’iniziativa del PD e di Letta fossero risultato un flop la notizia sarebbe finita con ben altro rilievo, sicuramente in prima pagina, magari commentata da un qualche Matteo.

Il giorno dopo non uscivano i giornali. Martedì La Repubblica ha rimediato il “buco”, con un titolo vistoso, un servizio di Giovanna Vitale, a pagina 8, dopo le pagine iniziali dedicate al covid. L’attacco dell’articolo: “Nessuno si aspettava una ondata di piena così…”

Entrambi i giornali ricordano, naturalmente, il discorso-programma di Letta e l’annuncio di un questionario inviato ai circoli con possibilità di aggiunte o suggerimenti. Dunque, le risposte: sono esattamente 2.910 i circoli che hanno discusso i dossier, 1.938 quelli che hanno fatto osservazioni, 39 mila gli iscritti “virtuali” che hanno partecipato alle discussioni. Due le richieste che si impongono sulle altre: più sanità e lavoro al Sud.

Un successo. Non c’è che dire. “Strabiliante” lo definisce Vaccari, responsabile dell’organizzazione. E il segretario Letta avrebbe aggiunto “non è che l’inizio” accennando alla possibilità di un ricorso continuo agli iscritti, con votazioni online.

E, martedì sera, ospite in Tv da Floris, ha annunciato una trasmissione radio da “Immaginaria”, nella quale ogni lunedì’ risponderà agli iscritti e agli elettori.

Tutto bene. Ma, ci si chiede, se una notizia di questo “risveglio” dei circoli PD, della massiccia risposta alla iniziativa di Letta, debba finire affogata in esclusiva in una notizia a una colonna a pagina 14. E di fatto “bruciata”. Perché non è stata comunicata ufficialmente dal Partito a tutti i giornali e alla tv. Ma ci chiede ancora: esiste nel PD un ufficio e un responsabile con questo incarico? Una volta si chiamava di “stampa e propaganda”, e nel Pci, era sempre diretto da dirigenti di primo piano.

E una volta c’era anche un giornale. Si chiama l’Unità. Chissà se nelle risposte dei circoli esisteva anche la proposta su un futuro giornale. Indispensabile per un partito che non vuole chiudersi in se stesso.


Nobel agli scienziati che hanno tolto
il "freno" alla lotta anticancro

Il premio Nobel per la medicina 2018 va a due immunologi: James Allison and Tasuku Honjo. Il primo è americano, il secondo giapponese e sono stati premiati perché hanno trovato il modo di sfruttare il sistema immunitario per attaccare le cellule tumorali.
Il nostro sistema immunitario normalmente scova e distrugge tutto quello che riconosce come non appartenente all’organismo, quindi virus, batteri e anche cellule mutate, ma le cellule del cancro trovano modi sofisticati per nascondersi così da resistere agli attacchi e crescere in modo indisturbato. Uno di questi modi è quello di utilizzare il sistema frenante che serve normalmente a tenere sotto controllo il sistema immunitario. Allison e Honjo hanno studiato proprio questo freno del sistema immunitario trovando il modo di sbloccarlo e aprendo la strada a una nuova strategia per la terapia dei tumori.

Per capire di che si tratta bisogna ricordare il ruolo fondamentale di alcuni globuli bianchi, i linfociti T, nel funzionamento del sistema immunitario. Questi linfociti hanno la capacità di legarsi con le strutture riconosciute come altro da sé (come un virus, ad esempio) grazie a dei recettori, ed è questo legame a far partire la risposta immunitaria. Però il lavoro dei linfociti T deve essere aiutato da due tipi di proteine, alcune che funzionano come acceleratori della risposta e altre che funzionano come freni, inibendo l’attivazione della risposta immunitaria. Proprio come nella guida di un’automobile, solo l’equilibrio tra l’accelerazione e il freno permette un controllo preciso del sistema. In questo modo infatti le cellule del nostro organismo attaccano i nemici, ma evitano di distruggere i tessuti e le cellule sani del nostro organismo: si evita in sostanza una risposta autoimmune.

Negli anni Novanta del secolo scorso, Allison nel suo laboratorio dell’Università della California, cominciò a studiare la proteina CTLA-4 che, espressa sulla superficie dei linfociti T, funzionava come un loro freno. L’immunologo sviluppò un anticorpo che si legava a questa proteina bloccandone la funzione e poi cominciò a chiedersi se il blocco di CTLA-4 poteva rimuovere il freno del linfocita T e lasciar libero il sistema immunitario di attaccare le cellule tumorali. Mise così in pedi un esperimento che nel 1994 portò a risultati sorprendenti: i topi malati di cancro guarirono grazie agli anticorpi che sbloccavano la risposta del sistema immunitario contro le cellule tumorali. Le ricerche continuarono portate avanti da diverse équipe di scienziati anche sugli esseri umani, finché nel 2010 uno studio clinico mostrò effetti positivi sui pazienti con melanoma.

Quasi negli stessi anni in cui Allison lavorava su CTLA-4, Honjo, nei laboratori della Tokyo University, scopriva un’altra proteina che si trova sulla superficie dei linfociti T: PD-1. Anche PD-1 funzionava come un freno per il linfocita T, ma con un meccanismo d’azione diverso rispetto alla proteina di Allison. Honjo pensò di utilizzare l’anticorpo che blocca PD-1 come un’arma per combattere il tumore. Anche qui ci vollero anni di esperimenti ripresi da ricercatori di tutto il mondo, finché nel 2012 una sperimentazione clinica dimostrò che il trattamento era efficace in diversi tipi di cancro e portava a una remissione a lungo termine in pazienti con cancro metastatico fino a quel momento considerati non trattabili.
Da questi primi studi, la ricerca clinica ha subito un’accelerazione notevole. Oggi il trattamento con gli inibitori dei checkpoint immunitari ha cambiato radicalmente l’esito di alcuni gruppi di pazienti affetti da cancro avanzato. Risultati positivi sono venuti in particolare dal trattamento di pazienti con cancro dei polmoni, dei reni, linfoma, melanoma. Naturalmente, come altre terapie, anche questa può avere effetti collaterali, in particolare dovuti a una risposta eccessiva del sistema immunitario che porta a reazioni autoimmuni. Ma i ricercatori stanno cercando di far fronte a questi problemi, chiarendo ulteriormente i meccanismi d’azione di queste terapie.
Nuovi studi hanno inoltre mostrato che una combinazione di terapie che hanno come bersaglio sia CTLA-4 che PD-1 potrebbe essere più efficace, così Allison e Honjo, che continuano a fare ricerca, stanno spingendo affinché si mettano insieme strategie diverse per rilasciare i freni del sistema immunitario e permettere all’organismo di combattere da solo il suo nemico.
L’idea di utilizzare il nostro sistema immunitario nella lotta contro il cancro risale a più di 100 anni fa, ma per lungo tempo gli sforzi in questa direzione non ebbero i risultati sperati. Fino a quando i primi risultati dei due Nobel aprirono le porte a una rivoluzione nel modo di pensare a come trattare il cancro.
Quando ha saputo di aver vinto, James Allison ha detto: “Sono onorato di ricevere questo premio prestigioso” e ha aggiunto che a ciò che guida gli scienziati ad andare avanti spesso è “spingere oltre la frontiera delle conoscenze. Io non mi ero ripromesso di studiare il cancro, ma di capire la biologia dei linfociti T, queste cellule incredibili che viaggiano nel nostro corpo e lavorano per proteggerlo”.