La Repubblica
fondata sul lavoro
Lo conoscete il primo articolo della Costituzione? Dài, almeno il primo! “L’Italia è una Repubblica democratica… fondata sul lavoro”.
Il primo articolo fu il risultato di una discussione accesa, estenuante – settant’anni fa esatti. I nonni della patria spaccavano il capello in quattro: bisognava decidere quale fosse il valore fondante della nuova Repubblica. L’America, per esempio, mette al centro la felicità. La Germania, la dignità. Noi, il lavoro. Un valore troppo serio e plumbeo? Forse però, nella parola “lavoro”, c’è di sicuro il senso della dignità, e un’idea di felicità possibile. “Fondata sul lavoro” – in tempo di crisi economica (4 milioni e mezzo di italiani in povertà assoluta), di disoccupazione giovanile al 35%, di precariato strutturale – suona quasi comico, o un po’ inquietante.
Fondata sul lavoro di chi? Su quale lavoro? Su quale idea di lavoro? Appartengo a una generazione che non è stata protagonista di lotte sindacali. Dietro la parola “flessibilità” si è nascosta spesso l’assenza di qualunque garanzia. Abbiamo dato per scontato che fosse normale così. Per molti è stata ed è un’occasione, uno stimolo continuo. Per molti altri, un’ansia permanente. Per quasi tutti, entrambe le cose.
In ogni caso, anche solo parlare di lavoro non ci viene facile. Un diritto? Sì. Un dovere? Anche, forse. Un privilegio? O disoccupati, o workaholic, esauriti per troppo lavoro. O free lance in attesa di pagamento, o pagati poco e sfruttati. O inattivi, o disposti a tutto. In Giappone c’è chi si uccide per troppo lavoro. Nei paesi affacciati sul Mediterraneo c’è chi si uccide perché non ne ha uno. E, in tutto questo, la dignità? E la felicità?
Intanto, ci preoccupiamo di androidi che faranno a meno degli umani, perfezioniamo algoritmi che organizzano il lavoro aziendale. Perfino i nuovi bancomat li abbiamo chiamati “evoluti”. E noi? quanto siamo davvero evoluti? Inutile preoccuparci di chi ci ruberà il lavoro in futuro, se il presente ce lo rubiamo da soli. Siamo, in qualche modo, tutti un po’ schiavi di un dio minore – come dice il titolo di un libro (Lipperini/Arduino, Schiavi di un dio minore) che ha indagato l’altra faccia – quella allarmante – di questi anni di sharing economy, start up ecc. E se alcuni dipendenti di un mega-outlet di Serravalle, provincia di Alessandria, scioperavano qualche mese fa contro le aperture nei giorni festivi, ci si è divisi all’istante. Hanno ragione. No, hanno torto. Segno evidente che sul rapporto lavoro-dignità-felicità siamo lontani da un approdo condiviso. Il supermercato aperto a Natale e a Pasqua corrisponde a un’idea cool di città sempre sveglia? È un mio diritto? E il mio diritto di lavoratore-consumatore in vacanza come si concilia con il diritto del lavoratore che a Natale sta dietro il bancone per 6,38 euro lordi l’ora?