Olimpiadi, tutti sul podio dei vincitori. Alla faccia della coerenza
-“Una grande opportunità per il Paese intero”. Le olimpiadi della cordata Milano-Cortina mettono d’accordo tutti. Ma proprio tutti, perfino i cinquestelle che ora salgono festanti sul podio dei vincitori, con la medaglia d’oro al collo, quando fino a ieri il loro sport preferito era il salto in lungo per fuggire ad ogni “tentativo di speculazione immobiliare”.
Cinquestelle tedofori
All’improvviso, e senza neanche la piena convinzione, si ritrovano con la torcia olimpica in mano, ma il tedoforo non corre verso le colline torinesi, per buona pace della sindaca Appennino, bensì in direzione ostinata e contraria, verso il sentiero rosso-verde Sala-Zaia.
E se Milano ha atteso con trepidazione l’assegnazione di un evento che porterà turismo, lavoro e sviluppo, Roma, dopo aver rifiutato i giochi olimpici del 2024, ha atteso nelle stesse ore un altro evento epocale che cambierà la storia recente dell’Urbe: la riapertura della fermata della metropolitana “Repubblica”. Duecentoquarantasei giorni dopo l’emozione è forte. Tornare a scendere le scale mobili, superare i tornelli, aspettare i fatidici tre/quattro/cinque/sei/sette minuti il convoglio ed entrare come un contorsionista in un vagone senza tempo e né spazio. Noi romani siamo allenati a tutto questo. Abbiamo una predilezione per gli sport estremi.
I "giochi" quotidiani dei romani
Le nostre olimpiadi sono quotidiane. Ampia la scelta delle specialità: salto della corsia preferenziale; slalom gigante tra le buche; canottaggio sotto il nubifragio; tiro al cassonetto pieno; ottocento metri a ostacoli in apnea su un bus affollato (possibilmente in fiamme) e senza aria condizionata; volo d’angelo sul sampietrino con lo scooter. E abbiamo pure un progetto avanzato di funivia tra Casalotti e Battistini che farebbe sciogliere di invidia perfino le vette innevate di Cortina.
Le olimpiadi, quelle vere, invece Roma le ha schifate fin da subito. “Troppo costose e in odor di tangente” è stato per anni il mantra grillino sotto il Cupolone. Ve lo ricordate? “È da irresponsabili dire sì a questa candidatura”. Bastarono otto parole alla neosindaca Raggi per spegnere le residue speranze di vedere la fiamma olimpica svettare sui sette colli. Porte sbattute in faccia a tutti, compreso al presidente del Coni Giovanni Malagò che ora gongola e tira fuori macigni dalle scarpe. Ma il diniego finale non fu una decisione facile ed estemporanea. Fu il frutto di discussioni, studi, approfondimenti. La leggenda narra di un selezionatissimo gruppo di esperti. Anonimi e insospettabili. Come il posto in cui si svolse la riunione della svolta: l’officina di Massimo, il meccanico di Alessandro Di Battista.
Il concistoro dal meccanico di Dibba
È lo stesso Dibba a raccontarci i dettagli di questo concistoro nel suo memorabile libro “Meglio liberi”. La decisione era importante, i dubbi troppi. “Io ero estremamente contrario, ma non ero sicuro che i romani la pensassero come me. In quei giorni mi domandavo se fare un referendum cittadino e proporlo durante le due settimane precedenti il ballottaggio non fosse una soluzione più morbida rispetto a un ‘no’ secco. Decisi di telefonare a Massimo, il mio meccanico e gli chiesi di radunare un po’ di amici perché, gli dissi scherzando (ma neppure troppo), ‘dovevamo prendere una decisione politica’”. Detto fatto, il comitato olimpico de’ noantri era così composto: il noto meccanico, un paio di parenti dello stesso, un fruttivendolo e un pensionato. E fu da quel patto della brucola, nell’officina di Massimo, che Roma fece definitivamente rotolare i cinque cerchi verso altri lidi. “Ma quali Olimpiadi con 15 miliardi di debiti? Ma siete matti? Abbiamo altre priorità. Come no? E a chi le facciamo fare? A Montezemolo, Malagò e Caltagirone?”. Sentenziò l’esimia Corte.
Quando Salvini gridava allo scandalo
Ma a quel tempo a gridare allo scandalo era anche il nostro attuale ministro degli Interni. Allora il “semplice” segretario della Lega, con percentuali ad una sola cifra, cinguettava col suo solito aplomb: “Renzi propone le OLIMPIADI A ROMA nel 2024. Per me è una FOLLIA, sarebbe l’Olimpiade dello Spreco. Sarebbe utile che il fenomeno di Firenze pensasse alle migliaia di società sportive dilettantistiche italiane, che fanno fare sport a tantissimi bambini e che rischiano di chiudere per colpa dello Stato, invece di fantasticare su improbabili Olimpiadi. Senza contare tutti i debiti e gli sprechi del passato e del presente. Tirino fuori i soldi per sistemare strade, scuole e ospedali”. Giudizio totalmente ribaltato una volta diventato vicepremier e star dei social: “Vince L’ITALIA, vince lo sport! Viva i giochi olimpici e paralimpici del 2026, che significano almeno 20.000 posti di lavoro creati, tanti investimenti e 5 miliardi di euro di valore aggiunto per l’Italia”.
La coerenza, si sa, non è mai stata una disciplina olimpica. E neanche una specialità della politica nostrana. E se Pierre de Coubertin fosse nostro contemporaneo anche lui oggi voterebbe Lega. Perché l’importante non è vincere ma propagandare.
Stefano Milani, RadioArticolo1