La nipote di Krusciov: "Dalla piazza no a Putin ma Navalny non è l'alternativa"

A Mosca, dove sta passando un anno sabbatico, Nina Khrushcheva ha un osservatorio privilegiato sugli sviluppi recenti della politica russa sia come analista che protagonista. C’era anche lei per strada sabato, dice, “a far sentire la sua voce”. Nina è docente di politica internazionale alla New School, a New York, dove anch’io insegno, ma più che collega mi sento una sua fan. Analista della politica russa, Nina è anche un’esperta di comunicazione e una osservatrice attenta ed ironica di quella che chiama la “dick-tatorship.” Non traducibile esattamente in dittatura, la dick-tatorship è la performance dispotica-kitsch di leaders sia autoritari che democratici, e la parola stessa gioca sul doppio significato di “dick” in inglese: il primo è il diminutivo di Richard (Dick) Cheney, despota democratico, e il secondo è il termine volgare per pene, metaforicamente, “bastardo”. Nel 2015 Nina curò a New York la mostra Romancing True Power: D20 (Corteggiando il Vero Potere: D20), dove D20 è una sorta di G20 di “dick” leaders.

Quando suo figlio Leonid scomparve in un incidente aereo durante le seconda guerra mondiale, Nikita Khruschchov adottò legalmente la figlia infante di Leonid, Julia. Per questo Nina, figlia di Julia e Lev Petrov, ha sempre chiamato il bisnonno Nikita “nonno,” ed è stata molto vicina al leader sovietico. Non è una kremlinologa, ma conosce molto bene la cultura dei vertici politici russi.

Il suo background durante l’intervista via zoom è una parete coperta di ceramiche ognuna delle quali rappresenta una città italiana. La madre di Nina sposò in seconde nozze Carlo Benedetti, che fu corrispondente da Mosca per l’Unità, e l’Italia è molto presente nell’appartamento moscovita di Nina.

Saluti da una Roma primaverile, come ve la cavate voi manifestanti col freddo polare di Mosca?

Questa è una delle tante cose non vere che si sono dette. Facevano tre gradi il giorno della manifestazione, non proprio freddo per noi. Ho pensato di correggere questa disinformazione, ma erano tante le cose da correggere… Si è parlato di una polizia estremamente violenta contro i dimostranti, per esempio. La polizia è rimasta ferma per due ore, si è mossa solo quando la gente si è stancata di star lì a gridare Libero Navalny! Putin ladro! e ha cominciato a spingere contro i cordoni della polizia. È la solita dinamica delle manifestazioni, io me ne vado sempre prima che cominci il casino. Il problema è che l’occidente usa con la Russia non dico il doppio standard, ma il terzo e il quadruplo. In Olanda nello stesso giorno ci sono state proteste contro le misure restrittive per il Covid e la polizia è stata molto più violenta che in Russia, ma il tema della protesta era differente, il paese democratico, e nessuno ha commentato.

Stiamo sbagliando anche a pensare che la Russia sia ad una svolta, come suggerisce l’analista Janusz Bugajski, il quale dice che la Russia sta per implodere?

Bugajski ed altri commentatori occidentali ripetono la stessa storia da 25 anni: la Russia esplode, la Russia implode… È la promessa del ’91: la Russia diventerà democratica. La Russia ha molte colpe, ma il modo in cui l’occidente e specialmente gli USA parlano della Russia e si pongono nei suoi confronti non fa altro che dare più potere a Putin e al Putinismo.
Non è una svolta quello che sta succedendo. Non è una primavera di Praga, non c’è nessun Havel, non siamo in Cecoslovacchia. La Russia è un enorme territorio che include 11 fasce orarie come ho scritto in un libro uscito l’anno scorso (Con Jeffrey Tayler, In Putin's Footsteps: Searching for the Soul of an Empire Across Russia's Eleven Time Zones. St. Martin’s Press.) In Russia ci sono sempre due possibilità, il disgelo e il congelamento, non sia sa mai quale delle due vinca finché una non si impone sull’altra.

Cosa sta accadendo allora? Come leggere il fatto che il video di Navalny sul palazzo stravagantemente ricco di Putin sia stato visto da 90 milioni di persone?

Il video è importante ma la storia della corruzione ai vertici è vecchia per i russi. Tutti sanno che i leader hanno grandi palazzi, vedono in Tv i ricevimenti di Putin al Cremlino, il fasto, gli ori, anche i sovietici usavano i palazzi dello zar. Il video non ha sorpreso nessuno, non è stato uno shock. La gente ha guardato il video perché è uno spettacolo diretto dal famoso Navalny ed è anche ridicolo allo stesso modo in cui Gogol usava il ridicolo nei suoi lavori.

Ma in tanti sono scesi per strada a sostegno di Navalny. Come interpretare allora le manifestazioni?

Alle proteste non c’erano sostenitori di Navalny, certo alcuni lo saranno stati, ma la gente era per strada per protestare contro il modo in cui Navalny è stato trattato. Navalny in questo senso è un simbolo, ha rivelato come sia ridicolo lo stato russo, che gli cambia aeroporto, lo arresta, svolge la prima udienza non in tribunale ma nella stazione di polizia… Insomma, davvero imbarazzante. Non menzionano neanche il nome, come se facendo così, come per magia, scomparisse. Si comportano come se fossero terrorizzati da lui e infatti per il sistema russo sarebbe meglio che rimanesse in esilio, così potrebbero dire, vedete è scappato. Navalny ha capito invece che doveva tornare.

E tornando ha trovato un maggiore consenso.

Non è chiaro. La gente non ama Navalny, lo ritiene un megalomane. Tutti i politici sono megalomani ma il problema è che con Navalny il gap tra il suo messaggio e come viene percepito è troppo forte. Mi spiego. Ho parlato con alcuni manifestanti. Non è stato facile, la gente è venuta a gruppi e si è limitata a parlare con quelli del proprio gruppo, ma ho chiacchierato con tre quattro persone, gente sui 30-40 anni. Uno mi ha detto: è la prima protesta alla quale partecipo, sono qui perché il trattamento subito da Navalny alla stazione di polizia è incomprensibile, lo trovo inaccettabile. È questo sentimento, più che la causa contro la corruzione, a muovere i dimostranti. Diciamo che la gente vede Navalny non come uno che lotta contro la corruzione, ma come uno che lotta per un posto al sole nel sistema politico russo, per essere importante come Putin. Per tornare al gap di cui parlavo prima: Navalny dice “sono contro Putin” e la gente capisce “come osate non considerarmi importante come Putin”?

Tra gli slogan in piazza hai detto che c’era anche “Putin ladro”! Come valutare il consenso a Putin in questo momento?

Anche se molti considerano Navalny un megalomane, quello che funziona in suo favore è che la gente è stanca di Putin, che è stato al potere più a lungo di Brezhnev. E noi che pensavamo Brezhnev non andasse mai via! Mia nipote, che ha venti anni, mi ha detto: “Io conosco solo Putin, non posso immaginare nessun altro al potere”. E pensa che Putin può restare fino al 2037! Non credo che lo farà, ma se lo facesse sarebbe al potere più a lungo di Stalin.
Gli standard di vita erano migliorati sotto Putin per gran parte della popolazione, ma ora stanno peggiorando. La Russia è un sistema ossificato, devi essere essere leale a qualcuno per trovare un lavoro, i superiori ti mettono sempre alla prova… è un sistema bloccato e molto limitante. Putin aveva 47 anni quando è andato al potere, adesso ne ha 70, siamo nel reparto geriatrico, come in America. Navalny sta sfruttando questa situazione.

Chi sta vincendo in questo braccio di ferro tra Putin e Navalny?
Nella guerra globale di pubbliche relazioni in corso ha vinto Navalny per ora. Trattandolo come una non entità ma facendone anche un eroe, un martire, e un simbolo, lo stato ha rivelato la propria stupidità. Lo hanno messo sullo stesso livello di Putin, questa è l’ironia delle azioni del Cremlino. Molto intelligentemente Navalny ha forzato la mano di Putin.

E' Navalny l’alternativa a Putin?
Niente affatto. Navalny non è un tipico democratico. Supponiamo che diventi presidente, un’eventualità praticamente impossibile, ma diciamo che lo diventi: la Russia non diventerebbe democratica all’improvviso come sogna Bugajski e quelli come lui. Non funziona cosí in Russia.
Nella telefonata con Putin, Biden ha detto che difenderà l’interesse nazionale ad ogni costo. Quando la Russia sente questo tipo di discorsi dice: aspetta un po’, allora anche noi difendiamo il nostro interesse nazionale, com’è che se lo facciamo noi è un crimine ma se lo fate voi siete democratici? Se Navalny fosse presidente, e ripeto che non lo sarà mai, ma se fosse un politico ufficiale, anche lui difenderebbe l’interesse nazionale della Russia, non permetterebbe che gli USA calpestassero l’amor proprio della Russia.

Ma se Navalny non rappresenta una vera alternativa e se il suo seguito non è così grande come si pensa, come spieghi la repressione contro di lui che si è inasprita perfino dopo il suo arresto?

Non è vero che la protesta di sabato è stata la più grande protesta mai avvenuta, non è neanche stata la più grande degli ultimi tre anni. È vero però che è avvenuta in 120 città sullo stesso soggetto - Navalny libero! Putin ladro! – è stata la prima protesta nazionale. Quello preoccupa. Il Cremlino aveva la scelta di ridimensionare quello che io chiamo il “Navalny globale” di cui si parla in tutto il mondo e farlo tornare a diventare un Navalny locale. Non lo ha fatto. Ora devono liberarlo, lasciarlo alla sua Fondazione, che è estesa in tutta la Russia e fargli fare le sue inchieste. Devono abbassare la tensione, permettere una parvenza di conversazione locale tra Navalny e lo stato. Non lo stanno facendo, vogliono distruggerlo.

Chi sono questi che dovrebbero prendere queste decisioni e perché non le prendono? Non parliamo di Putin?
Putin è un simbolo del Putinismo, non dico che non è sotto controllo, non è come quando Stalin invecchiò e si parlò di tutte queste cospirazioni su chi veramente lo tenesse sotto controllo. Ma esiste un “Putin collettivo” e Putin il maestro di judo, il brillante tattico, è un po’ rimosso dalle decisioni quotidiane, come Mugabe, ma anche come Merkel, quando sei al potere per tanto tempo succede. Il mio sospetto è che Putin è più interessato ai trattati internazionali, al suo posto sulla scena internazionale, e ha delegato Navalny alle forze della sicurezza, il Putin collettivo. E quelli pensano solo in un modo, non pensano né tatticamente né strategicamente. Pensano che se sei contro chi è al potere non sei un patriota, sei un traditore sostenuto da agenzie spionistiche straniere, e devi essere completamente distrutto. Pensano che la Russia debba essere difesa dal global Navalny. A loro non importa affatto cosa pensi l’occidente. Hanno imparato dai cinesi ad Hong Kong, hanno imparato dalla Bielorussia. Sabato volevo postare delle foto ma non ci sono riuscita, avevano bloccato Internet. Pensano che l’occidente sia debole e non possa fare nulla contro la Russia. Terranno Navalny in prigione fino a quando non decidono cosa farne.

Come pensi che andrà a finire?

Non lo so, risentiamoci in primavera su questo. Altre cose stanno accadendo. Ricordi Medvedev? Non lo ricorda nessuno. All’improvviso è ricomparso per fare un’analisi delle elezioni americane. I cremlinologi si sono agitati. Cosa vuole dire? Putin sta preparando la sua successione? Medvedev ha lasciato il posto di primo ministro all’improvviso di recente, e Putin lo ha fatto suo vice al Consiglio della Sicurezza. In quel posto è una specie di Mini Putin. Io penso che lo abbia messo lì per riportarlo al centro se e quando lo troverà necessario. In fondo è affidabile e piace all’occidente. Lo stesso è successo con Anatoly Chubais, un “eltsinista,” e l’unico degli uomini di Eltsin che non fu mandato a casa. Chubais si è occupato della privatizzazione, e anche lui piace all’occidente. Era andato in pensione, ma adesso è responsabile per la cooperazione economica internazionale, anche se non ufficialmente. Penso che lo abbiamo ripescato per promuovere il vaccino Sputnik commercialmente. Vorrei poterti dare risposte più definitive, ma siamo in Russia.


La parabola di Salvini
che sognava
pieni poteri

Una manciata di parole del vice di Salvini, Lorenzo Fontana, spiega (col suo niente) tutto: “Nel Mezzogiorno dobbiamo puntare a persone nuove”. Le regionali confermano che la Lega annaspa un po’, Fratelli d’Italia ramazza altri consensi, Giorgia Meloni può gonfiare le piume e, anche in virtù di un autogol mixato a un suicidio organizzato dal centrosinistra e dai 5 Stelle per essere sicuri di perdere, porta un suo uomo a governare le Marche. La poltrona di ammiraglio del centrodestra è diventata contendibile, con la Meloni in pole? Un’eventualità poco credibile con una destra che sempre sa far prevalere la forza centripeta, ma gli equilibri stanno mutando. E Salvini ci ha messo del suo. Del resto se si sceglie la sovraesposizione mediatica per mietere consenso, se si punta alla Trump ad alzare la posta della provocazione in un contesto in cui quelli come Trump un po’ fanno paura, è il minimo che possa capitare. Hai voluto il partito “personale”? Adesso pedala. Senza dimenticare che pure in politica il perseverare è diabolico e che l’Italia è un Paese ferocemente moderato.

Lieta bisboccia

Era l’agosto dell’anno scorso e il caudillo della Lega, comiziando a Pescara (perché, sia al governo o sia all’opposizione, il populismo ha da essere costituzionalmente survoltato e per propagarsi deve continuamente sparare a raffica sul Nemico e se il Nemico non c’è lo si inventa) se ne uscì con una frase che sarebbe caduta a pennello tra i virgolettati raccolti in “M” da Antonio Scurati: “Chiedo agli italiani se hanno la voglia di darmi pieni poteri per poter fare quello che abbiamo promesso senza palle al piede». Qualcuno, in altissima sede, arricciò il naso, molti altri ricorsero alla toccata apotropaica: ma che cos’ha in testa Matteo? Sarà una coincidenza, però da quel momento i sondaggi hanno cominciato a puntare all’ingiù.

E che ti combina Salvini un anno dopo quando arrestano i revisori dei conti della Lega al Senato e alla Camera e, per buon peso, anche il commercialista dove aveva domicilio la “Lega per Salvini premier”? Oscilla tra “è gente mai vista, né conosciuta” e “conto che si risolverà in nulla”. Un magic touch all’incontrario. Report pubblica lestamente sui social del programma di Raitre una foto del gennaio 2015 scattata in un locale milanese con Salvini in lieta bisboccia al fianco di Alberto Di Rubba (quello del Senato) e Andrea Manzoni (quello della Camera). E il carico di accuse, sempre più circostanziate e corredate di intercettazioni, aumenta di giorno in giorno. Non essendo ancora, con tutta evidenza, l’Italia pronta a una riedizione del “Me ne frego”, si preparano tempi duri.

Ma dalla politica “economica” e tralasciando Strasburgo, dove i parlamentari leghisti, a differenza della stragrande maggioranza dei colleghi europei, non se la sono sentita di condannare apertamente l’amico Putin per l’avvelenamento di Navalny e il bielorusso Lukashenko per la serie di cortesie riservate agli oppositori, ripuntiamo sulla politica domestica. Nel gennaio scorso Salvini, dopo averle dato formale unzione, accompagna con una certa baldanza al patibolo delle regionali emiliano-romagnole la “sua” candidata, Lucia Borgonzoni, una gaffeuse improponibile. Passano alcuni mesi e il Capo compie un’altra personalissima scelta: sarà Susanna Ceccardi a correre per la conquista della Toscana. Combattiva e orgogliosamente priva di quelle sfumature e prudenze che delineano la figura dei politici più attrezzati, l’ex sindaco di Cascina, in provincia di Pisa, ed europarlamentare, prometteva molto, tanto che nel 2014, durante una trasmissione su La7, aveva così analizzato con sagacia la questione dei migranti: “Chi mi accusa di tenere più alla vita di un chihuahua che alla vita di un immigrato, non capisce che i chihuahua non sbarcano a migliaia sulle nostre coste”. Prometteva Susanna Ceccardi, non ha mantenuto: un umanissimo istinto di conservazione ha suggerito a tantissimi toscani di rivolgersi all’usato sicuro, Eugenio Giani.

La Lega non ha subìto tracolli, qualcosa comunque scricchiola.


Putin "zar" fino al 2024
ma già inquieta il dopo

La sola incognita nelle urne russe rischiava di essere la disaffezione al voto. Non tanto per un calo di popolarità del presidente Putin, quanto piuttosto per l'esito scontato delle elezioni: quarto mandato, dopo la stagione 2000-2008, i quattro anni da premier in staffetta con Medvedev giusto il tempo di emendare la Costituzione e tornare al solito posto nel 2012, stavolta per sei anni rinnovabili. Putin è stato prevedibilmente rieletto ieri in una consultazione dove era affiancato da sette comparse, nessuna in grado di scalfire il suo consolidatissimo potere, quando pure non esente dal sospetto di essere lì solo per accreditare la democraticità del sistema.

Fuori dalle scene il solo vero antagonista, Alexei Navalny, costretto ai margini da una condanna per appropriazione indebita politicamente sospetta. Non avrebbe comunque potuto insidiare la rielezione di Putin, puntando il dito come suo consueto sulla corruzione dilagante. Il suo appello al boicottaggio del voto non è bastato a togliere al quarto mandato dell'eterno presidente il sapore di un'incoronazione: Putin ha raccolto oltre il 76% dei voti, la percentuale più alta di sempre, dodici punti in più che sei anni fa. Anche se l'affluenza alle urne è stata più bassa che nel 2012, meno di quanto avrebbe desiderato il presidente, ci sono margini più che sufficienti perché parli di un trionfo. Le denunce per brogli (urne piene di schede prima ancora di aprire i seggi, osservatori esclusi, telecamere oscurate) restano sullo sfondo.

L'opposizione zittita, il controllo sui media e sulle periferie attraverso governatori di nomina. Gli oligarchi pasciuti nell'era Eltsin ridimensionati o addomesticati, la lunga stagione di vacche grasse alimentata dal prezzo del gas, stagione ora tramontata ma non del tutto dimenticata. Il braccio di ferro con l'Occidente, in Crimea, in Siria, l'annuncio di una nuova corsa nucleare, nel segno di un ruolo da superpotenza che il presidente russo ha difeso con tutte le sue forze di fronte a chi relegava l'erede dell'Urss ad una dimensione solo regionale e la insidiava alle porte di casa.

Le leve del potere di Putin sono – e sono state – molteplici. Non ultima la capacità di restituire ai russi una qualche stabilità dopo il crollo sovietico e l'orgoglio di appartenere ad un Paese con una voce, forte, in capitolo. Nei modi e con politiche zariste, sempre più centralizzate ed estranee a valori democratici occidentali. Ma non impopolari in un Paese che non ha mai attraversato una vera epoca democratica.

Putin ha fatto a stento una campagna elettorale preferendo sollecitare anche con qualche coercizione l'affluenza ai seggi, puntando ad un'aritmetica elettorale che gli consegnasse comunque la maggioranza  del Paese: il consenso di oltre il 50% dei russi, non solo degli elettori. Avrebbe ottenuto invece  il 45% circa in termini assoluti, sotto le sue aspettative.  A che cosa servisse questa investitura straordinaria è quello su cui ci si interroga. Perché se la rielezione di Putin era cosa certa, molto meno è che cosa accadrà nei prossimi sei anni e nel 2024, quando il presidente dovrebbe uscire di scena allo scadere del secondo mandato consecutivo (il quarto in totale).

Una transizione non facile, almeno a guardarla con gli occhi di oggi. Per l'enormità del potere che Putin ha nelle sue mani e per l'effettiva assenza di figure che possano presentarsi come eredi, naturali o meno. “Se c'è Putin, c'è la Russia. Se non c'è Putin, non c'è Russia”, diceva nel 2014 lo speaker della Duma Vyacheslav Volodin.

Scenari che inquietano le elite russe, anche se il dopo Putin appare ancora un argomento tabù, se ne può parlare solo a mezza bocca. Secondo fonti del Cremlino citate dalla stampa, il presidente non avrebbe preso nessuna decisione al riguardo, e se anche lo avesse fatto non lo ha lasciato trapelare. Ma si avvertono movimenti dietro alle quinte.

Per il solo fatto che non si profili un nome sugli altri, sono in tanti a credere di poter avere una parte in commedia. E tanti che proprio per questo sperano che Putin prepari gradualmente la sua uscita dalla scena politica nel 2014. Tenendo conto che allora il presidente avrà 72 anni, non tanti da condannarlo necessariamente alle seconde file.
Si profila dunque una stagione di incertezza. Sempre che il tempo non suggerisca altri percorsi. Kostantin Malofeyev, un finanziere legato al Cremlino sostiene un'organizzazione che invoca il ritorno della monarchia e vede in Putin il possibile nuovo zar. Un'idea meno bizzarra oggi di quanto sarebbe stata solo qualche tempo fa, prima che in Congresso del Popolo in Cina abolisse il limite di due mandati, riconoscendo implicitamente il diritto di Xi Jinping di restare presidente a vita. Putin per ora esclude un passo analogo. Ma l'ipotesi Xi stuzzica persino Trump: “Penso che sia grandioso – ha detto – forse un giorno dovremmo farlo anche noi”.