Ong in prima linea
nella corsa
alla solidarietà
Sono state maliziosamente accusate di essersi defilate di fronte un’emergenza sanitaria senza precedenti, criticate attraverso messaggi in chat e sui social, persino rimproverate da Bruno Vespa che attraverso un video su Facebook si domanda dove siano e le richiama all’ordine: ma le Ong sono sul campo, come sempre. Basta dare uno sguardo al sito di Medici senza Frontiere per capire come l’organizzazione sia già attiva in Lombardia ormai da settimane, collaborando con gli ospedali del territorio.
La collaborazione con la Protezione civile
“Il nostro intervento in Italia in risposta al Coronavirus - si leggeva già il 18 marzo sul sito dell’organizzazione - è partito da una settimana. Con un’epidemia come questa era importante esserci e provare a dare il nostro contributo, all’imponente risposta messa in piedi dalle autorità sanitarie italiane e a tutti gli operatori in prima linea fin dall’inizio dell’epidemia. Negli ospedali tra Lodi e Codogno siamo stati accolti con stupore e sollievo”. Da Emergency a Medici Senza Frontiere, da Action Aid a Samaritan’s Purse, per combattere l’epidemia di Coronavirus in Italia si sono attivate, attraverso supporto sanitario ed aiuto alla popolazione, alcune tra le più importanti organizzazioni non governative che operano nel settore della solidarietà sociale.
Sempre il 18 marzo scriveva sulla propria pagina Facebook Emergency: “È un momento molto difficile per tutta l’Italia: per questo ci siamo messi a disposizione delle autorità sanitarie per affrontare l’emergenza. Tutelare le fasce più deboli della comunità è essenziale per prevenire la diffusione del contagio. Perciò siamo stati autorizzati dalla Protezione civile a intervenire nella risposta all’emergenza e stiamo lavorando per mettere a disposizione del Sistema sanitario nazionale le nostre competenze di gestione dei malati in caso di epidemie, maturate combattendo Ebola in Sierra Leone nel 2014 e 2015. In tutta Italia i nostri ambulatori rimangono aperti: abbiamo adottato un protocollo di triage che permette di individuare pazienti con sintomi compatibili con il virus, di informarli e indirizzarli ai servizi competenti. A Milano, insieme al Comune, abbiamo attivato un servizio per aiutare le persone più a rischio consegnando loro pasti, alimentari, farmaci e beni di prima necessità. Sempre a Milano stiamo lavorando per la prevenzione nelle strutture di accoglienza delle persone senza fissa dimora e dei minori non accompagnati”.
Una testimonianza che resterà
Dall’inizio della crisi ci sono voluti quasi venti giorni, ma finalmente il 23 marzo Emergency ha ottenuto il via libera dalla Regione Lombardia per intervenire con le sue equipe specializzate in epidemie. La Ong di Gino Strada, già da tempo impegnata a Milano nell’assistenza ai senzatetto, opererà con medici e sanitari nell’ospedale da campo di Bergamo e a fornirà supporto didattico e logistico ai medici dell’ospedale di Brescia. “Stiamo mettendo in campo le nostre esperienze apprese in Sierra Leone durante l’epidemia di Ebola - è il commento della presidente Rossella Miccio - Per farlo abbiamo richiamato alcuni dei nostri colleghi che lavoravano all’estero: stiamo cercando di fare la nostra parte in un momento così delicato per l’Italia”.Intanto un ospedale da campo verrà montato presso l’ospedale di Cremona anche grazie all’intervento di una Ong americana, la Samaritan’s Purse, che porterà sul suolo cremonese un contingente di circa 60 persone per offrire un po’ di sollievo ad uno degli ospedali con maggiore sovraffollamento, e piena disponibilità a lavorare in Italia è stata manifestata anche da un gruppo di medici e professori somali dell’Università nazionale di Mogadiscio, disponibili a contribuire in modo concreto e su base volontaria.Aiuti dall'Africa Dall’Africa all’America Latina, dalla prostrata Europa alla convalescente Asia, un coro di solidarietà si è levato verso il nostro paese afflitto dal Coronavirus. Solidarietà materiale e morale che commuove, fa sentire meno soli, dà coraggio. Se c’è una cosa che il Coronavirus ci ha insegnato è che ‘l’altro’ possiamo essere noi in qualsiasi momento e che i confini, i limiti, i muri sono invalicabili solo nelle nostre teste. “Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”, lo sapevamo ieri e lo confermiamo oggi, ringraziando, grati per l’aiuto ricevuto tutti coloro i quali ci hanno dimostrato vicinanza e solidarietà in un momento tanto difficile. Non c’è notte che non veda il giorno e tutto questo, un giorno passerà.
Ma tanto dolore non sarà stato inutile.
Il Coronavirus ci sta modificando giorno per giorno, ci sta trasformando e sta facendo di noi delle persone nuove. Uomini, donne, bambini, giovani e anziani provati ma piùforti, più uniti, solidali, migliori. “Ci hanno aiutato a casa nostra”, non lo dimenticheremo, non lo possiamo dimenticare.
Ocean Viking sostituisce Aquarius. Che ha salvato 30.180 naufraghi
Il 14 settembre la Ocean Viking, la nuova nave di salvataggio per i migranti costruita da SoS Méditerranée, era finalmente riuscita a trasbordare su motovedette della guardia costiera ottantadue profughi al largo di Lampedusa. Dopo settimane di blocco, il nuovo governo aveva dato l’autorizzazione negata da Salvini quando questi era ministro dell’Interno.
Un accordo europeo per distribuire i profughi sembrava cosa fatta, pochi giorni fa, al vertice tra Germania, Francia, Italia e Malta. Ora, con il secondo incontro in Lussemburgo, i termini dell’intesa sembrano meno precisi.
Una ragionevole distribuzione
Resta il fatto positivo che dodici Paesi membri ora sono ufficialmente disponibili all’accoglienza, che sarà decisa in breve tempo all’arrivo nei porti dei migranti. Le quote non vengono stabilite in modo automatico e il commissario europeo Dimistris Avramopoulos ha richiamato tutti a “smetterla con l’indegna altalena di continue telefonate su chi deve ricevere un certo contingente di persone”. Più facile a dirsi che a farsi, anche se l’aria è certamente meno pesante a livello politico, più favorevole a una ragionevole distribuzione.
Aquarius addio, 30.180 salvati
Nel frattempo, la Ocean Viking di SoS Méditerranée, l’associazione no-profit fondata dal tedesco Klaus Vogel e totalmente finanziata dalla generosità dei privati, con sedi in Germania, Italia, Francia e Svizzera, ha sostituito la vecchia Aquarius. Lo scafo si congeda con uno stato di servizio che fa onore ai volontari.
L’imbarcazione in questi anni ha salvato dalla morte in mare trentamila centottanta persone. Da maggio a luglio scorsi, nel cantiere polacco di Szczecin, la Ocean Viking, costruita nel 1989 come nave da supporto per piattaforme petrolifere, lunga sessantanove metri e larga sedici, è stata adattata con moderne tecnologie.
Ora è equipaggiata con quattro speciali barche ad alta velocità per il soccorso e recupero (Rhibs), due radar, due telecamere a infrarossi per la visione notturna, con una clinica allestita in grandi container in cui lavorano i partner di progetto appartenenti a Medici senza frontiere, con rifugi e spazi dedicati ai sopravvissuti e in particolare a madri e bambini. Il costo giornaliero totale è di quattordicimila euro.
Medici senza frontiere, la squadra
La responsabilità di sistemare, curare e proteggere persone che hanno subito così tanto e così a lungo è enorme. La squadra di MSF è formata da un medico, due infermiere, un’ostetrica, un logista, un mediatore culturale, un ufficiale di collegamento esperto in diritto umanitario e del mare, un responsabile della comunicazione e un capo-progetto.
La squadra di SoS Méditerranée che ha in carico la ricerca e il soccorso è formata da tredici persone con un coordinatore. Vi sono poi nove membri dell’equipaggio pagati, dipendenti dell’armatore. Donazioni continuano ad arrivare da tutta Europa con la campagna BackAtSea. La nave è registrata come cargo e batte bandiera norvegese.
Salvati 656 naufraghi
Dopo dieci settimane di servizio con la Ocean Viking gli equipaggi confermano che la situazione nel Mediterraneo centrale resta tragica. Sono state salvate seicentocinquantasei persone, ma la nave ha incrociato, filmato e segnalato innumerevoli gommoni o barche di legno rovesciati, senza ormai più nulla da fare. Al contrario, SoS Méditerranée ha scritto di aver ricevuto pochissime segnalazioni ufficiali di imbarcazioni in pericolo, per cui si affida alle unità civili locali costiere e agli avvistamenti aerei per poter intervenire.
Medici senza frontiere lavora senza tregua e presta i primi soccorsi a chi è scappato dai centri di detenzione e raccolta della Libia. Da tempo l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite ne chiede la chiusura e l’osservatorio sui diritti umani ha ammonito l’Unione Europea: fare accordi con la Libia per tenere lontani i profughi equivale a condannarli a morte. Mancano cibo, acqua, si sta sempre più diffondendo la tubercolosi, i detenuti sono sottoposti a botte, violenze sessuali, torture.
L'infermiera Mary Jo e Omar
Un’infermiera di MSF, la statunitense Mary Jo Frawley, originaria del Vermont e residente in California, sedici anni di servizio con l’organizzazione umanitaria, ha incontrato sulla Ocean Viking un ragazzo di cui si era occupata in Darfour nel 2004, curando all’allora bambino una ferita a una gamba. Dopo quindici anni, ha riabbracciato Omar, che l’aveva avvicinata sulla nave per chiedere notizie di “quell’infermiera Mary Jo”.
La Frawley, in un’altra occasione, sempre dopo un salvataggio in mare sulla Ocean Viking quest’estate, aveva incontrato il figlio di un uomo che durante il conflitto nel Sudan occidentale era riuscito a farla fuggire da una fazione miliziani salvandole la vita. “Lavoravo con un piccolo team chirurgico a Mujaheria, e il padre di Abdurahman è riuscito ad avvisarci del pericolo”. Le immagini degli incontri con i due giovani hanno fatto il giro del mondo.
SoS Méditerranée si dice costernata per la mancanza di un chiaro accordo europeo sulle operazioni di sbarco. Si parla di un progetto pilota per mettere al sicuro nei porti i profughi, dice l’organizzazione, e noi lodiamo i Paesi che si sono dichiarati disponibili. Nessuna concreta modalità operativa è stata specificata.
Contro questa Italia
crudele e persecutrice
la politica civile reagisca
LETTERA A WALTER VELTRONI - Caro Walter, nel consueto spirito di amicizia che conosci da tanto tempo, vorrei fare alcune osservazioni dopo i “cinque punti” che tu hai offerto - in un testo pubblicato da Repubblica - come possibile guida di una politica di sinistra di un futuro finora atteso invano. Ciascun punto era parte di un manifesto di buoni sentimenti, in cui l’ammonimento chiave era di non contrapporre mai il linguaggio dell’odio al linguaggio dell’odio, di non accettare l’insulto e la pratica del disprezzo come risposta allo stato di relazioni barbariche in cui ci siamo trovati a vivere. Ammonimento giusto e condivisibile.
Ma noi, Walter, come vedi anche tu che sai più cose e partecipi a discussioni importanti sul che fare, noi siamo molto al di là della cattiva polemica e degli irrispettosi rapporti che rischiano di inquinarsi a vicenda. Noi siamo nel tempo in cui un Paese abbandonato nei suoi più delicati punti di guida, un Paese che sbanda alla cieca contro ostacoli ciascuno dei quali potrebbe provocare crisi irreversibili, sta inferendo gravi ferite interne che non sapremo come curare. Assistiamo a manifestazioni di crudeltà e a momenti feroci (i porti illegalmente chiusi) che ci separano ogni giorno di più dall’Europa, dall’Occidente di cui credevamo di essere soci fondatori, dalla civiltà democratica sorta dopo la distruzione del fascismo.
Intanto il Mediterraneo è pieno di morti
Mentre noi stiamo scambiandoci idee pretendendo una serenità che non abbiamo, il Mediterraneo è pieno di morti. Mentre scrivo 500 persone salvate da diverse navi volontarie definite “criminali”, aspettano da giorni, alcuni da settimane, sotto il cielo d’agosto e non hanno protezione né il permesso di sbarcare. Ciò viene negato in base a una legge grossolanamente incostituzionale, scritta, discussa, votata, approvata pochi giorni prima, con pene immense a carico di chi salva i profughi dal morire annegati. Posso dirti, Walter, lo scandalo che se ne parli così poco, come se si trattasse di storie tristi e marginali al pari di quelle degli automobilisti che uccidono mentre telefonano? Qui un governo del tutto privo di umanità condanna a morte chi tenta di sfuggire alla morte, e un Paese intero, salvo i suoi volontari e le persone che, anche da sole, non cedono, sembra non avere nulla da dire. Anzi, mostra di approvare con un tripudio di sondaggi che cresce a ogni atto crudele e disumano, forse a causa del silenzio di tutti coloro che dovrebbero dire che non sono e non saranno mai parte di un simile gioco di cattiveria.

Giorni fa il corrispondente in Sicilia di Radio radicale (la sola radio che abbia un monitoraggio permanente del male che accade in mare ogni ora ) ha raccontato di un aereo che aveva avvistato un uomo vivo e uno morto in un punto del mare in cui è impossibile, ha detto, che vi fossero solo due persone. Dunque dall’aereo hanno avvistato ciò che restava di un naufragio di cui nessuno ha saputo o saprà mai nulla.
Il caso Riace
Walter, in Italia un sindaco regolarmente eletto in un piccolo paese già in mano alla mafia, è stato arrestato, è stato esiliato e attende il processo per il reato di accoglienza. Aveva ripopolato il borgo abbandonato e ridato vita sia alla sua terra spopolata sia a persone fuggite da case lontane e distrutte e disperse nel mondo. Ma mentre importanti leader della corruzione a un certo punto tornano a casa per poter scontare più serenamente la pena, al sindaco di Riace è tuttora imposto di stare lontano. Ma noi siamo il Paese che ha dichiarato criminali Ong come Medici Senza Frontiere, che da decenni salva persone (bambini) insalvabili in luoghi del mondo senza salvezza.
L’Italia oggi è un Paese persecutore e crudele e noi ne siamo i cittadini, di cui parlano con stupore i giornali del mondo. Ma siamo anche le voci. Tante voci individuali si alzano nel Paese diffamato dal suo governo e impegnato a diffondere di sé una immagine squallida e cattiva. Come la giovane donna che difende da sola l’immigrato insultato in treno o il quindicenne che tiene testa ai fascisti per difendere i rom.
Dov'è la politica civile, dove le voci di civilità?

Però, dove sarà la politica che non è di esclusione, di rigetto, di filo spinato, di navi affondate (il progetto Meloni) di morte? Se questa politica, civile e normale, non si fa sentire, dove devono andare a raggrupparsi i cittadini contro il forte impegno che si allarga per la distruzione dell’Italia della Resistenza? E’ vero, può anche darsi che il partito della caccia ai migranti del mondo sia al momento il più forte. La storia ha brutti, tristi momenti. Ma se le voci di civiltà, a cominciare dalle grandi voci, si fanno sentire nel vuoto e nel silenzio e non smettono di pretendere umanità, ci saranno più persone che capiranno che questo triste gioco, anche se al momento prevale, non ha vinto, non è l’Italia, e altri cittadini torneranno dal non voto e dalla tristezza della delusione e dell’isolamento.
Ma è sulle cose che accadono, sui fatti, sulle crudeltà quotidiane che dobbiamo parlare, non su concetti e sentimenti. Coloro che sono felici di chiudere i porti per aumentare le sofferenze, sentimenti non ne hanno. E non serve né il linguaggio nobile né quello sprezzante perché il linguaggio non è il loro strumento. Serve esserci, tu, noi, e tutti gli altri che verranno.
- Con questo articolo Furio Colombo inizia la sua collaborazione con strisciarossa
Il governo della ferocia: ruspa e sgomberi, e gli ultimi vanno per strada
L'ultima conseguenza del decreto Salvini è andata in scena all'alba di ieri, sulla via Tiburtina, altezza san Basilio, a Roma. Proprio in occasione del settantesimo anniversario della dichiarazione dei diritti umani, si è deciso di buttare persone povere e deboli in strada.
Lì c'è un vecchio rudere, la prima fabbrica italiana della Penicillina, la Leo, che fu inaugurata nel 1950 alla presenza di Alexander Fleming e aveva, ai tempi d'oro, 1700 dipendenti. Un'altra era. Abbandonato da anni, quello stabilimento ancora ingombro da resti di sostanze chimiche tossiche – e da una notevole quantità di amianto – è diventato il rifugio di chi non ha trovato altro.
In accordo con la sindaca di Roma, il ministero dell'Interno ha avviato una campagna di sgomberi dei luoghi occupati. Dopo il Baobab, dietro la Stazione Tiburtina, ora la colonna di mezzi della polizia si è diretta alla Penicillina per eseguire lo sgombero annunciato in questi giorni. Invece delle settecento persone che vi abitavano appena un mese fa, sono stati trovati una cinquantina di senza casa, stranieri ma anche italiani. Gli altri hanno trovato un altro rifugio precario.
Un posto indegno, certo. “Indegno anche per gli animali – dice un ex occupante – ma adesso non ho neanche quello”. Già, perché il copione si è ripetuto ieri come già in altre occupazione, in via Vannina, in via Costi, al Baobab, in via Vannina sno rimasti in strada anche i bambini, per giorni. Come negli sgomberi precedenti, l'alternativa abitativa non è stata predisposta. Si verranno dunque a formare altri insediamenti in luoghi sempre meno visibili, sempre più nascosti, sempre più inabitabili, sempre più nocivi.
Agli sfrattati dalle occupazioni si aggiungeranno quelli espulsi dalla rete dell'accoglienza Sprar, che ha già mandato in strada senza alternative famiglie e singoli, titolari di permesso umanitario. Gli Sprar, è un'altra conseguenza del decreto Salvini, potranno accogliere solo persone con il permesso di asilo.
Sempre più difficile sarà mantenere o ottenere i documenti: senza residenza non sarà possibile rinnovarli, e molti potrebbero uscire dalla rete dei servizi, la scuola per i bambini, le cure sanitarie, l'iscrizione al collocamento. Senza contare che l'assenza di documenti e la conseguente espulsione – burocratica, visto che i rimpatri costano davvero troppo - spingerà in sacche sempre più marginali persone a cui pure è stato riconosciuto il cui diritto a vivere in Italia.
Gli insediamenti informali – sostengono in un rapporto del febbraio scorso Medici senza frontiere, che assistevano gli abitanti della Penicillina- sono 47 in dodici regioni, e il 55 per cento di queste aree non ha accesso ai servizi. Una cinquantina sono a Roma e ospitano 3.500 persone. Inoltre i siti informali sono edifici abbandonati o occupati (53 per cento), luoghi all’aperto (28 per cento), tende (9 per cento), baracche (4 per cento), casolari (4 per cento), container (2 per cento). Questa situazione è in parte dovuta a un sistema di accoglienza ancora fondato “su strutture di accoglienza straordinaria, con scarsi servizi finalizzati all’inclusione sociale”.
Per Salvini, che si è presentato sulla Tiburtina per i selfie d'occasione, sono tutti da smantellare. Del resto, buttare la gente in strada contribuirà a creare quell'emergenza che in realtà non esiste. Smantellare un esempio di buona accoglienza come Riace è stato il primo passo per il disinvestimento in tutto il sistema Sprar. Un parroco genovese, don Paolo Farinella, ha deciso di chiudere per Natale la chiesa di santa Maria Immacolata e san Torpete in polemica contro il decreto Salvini. Laconica la sua dichiarazione: «Gesù era il migrante dei migranti».

L'emergenza immigrazione non esiste. Quello che esiste, invece, è l'emergenza in mare. Gli sbarchi sono diminuiti, è vero. Ma a che prezzo? Altissimo e ignoto, perché si ha, è vero, qualche notizia di naufragi, in ottobre si contavano 1.700 morti accertati. Ma nel Mediterraneo, non più pattugliato dall'esercito italiano o dalle navi dei volontari, le barche che affondano sono molti di più, nel buio il mare inghiotte uomini e disperazione.
“Dal 2014 ad oggi – dicono i Medici per i diritti umani, che hanno presentano il libro-testimonianza “L’umanità è scomparsa”, a cura di Alberto Barbieri - sono sbarcati in Italia 650mila migranti provenienti per la gran parte dalle rotte che partono dall’Africa occidentale e dal Corno d’Africa; almeno nove su dieci sono sopravvissuti ad un silenzioso olocausto che ha avuto, ed ha, il suo cuore di tenebra nelle terre libiche. Nello stesso periodo hanno perso la vita nell’attraversamento del Mediterraneo centrale almeno 14.744 persone. Nessuno invece conosce il numero reale di coloro che sono periti come prigionieri o schiavi in Libia e quanti ancora ne ha sommerso la sabbia del Sahara”.
Che il decreto Salvini sia incostituzionale non lo dice solo il Csm. Tra qualche tempo lo dirà anche la Corte Costituzionale. Ma intanto la ferocia e la disumanità faranno passi da gigante. Altri bambini saranno lasciati all'addiaccio, come è avvenuto in via Vannina dopo lo sgombero. Altri disperati saranno privati dei loro rifugi. Altri malati resteranno senza cure. Ferocia e persecuzione: come quella riservata ai volontari del Baobab, insediamento sgomberato, a cui si impedisce persino di distribuire te e biscotti a chi ha passato la notte senza riparo. Anche lì i volontari hanno addobbato un abete, appendendo ai suoi rami le parole dimenticate ma indispensabili al Natale: umanità, diritti umani, pace, accoglienza, solidarietà, protezione, unione, amicizia, amore.
Dall'altra parte, la ferocia della cattiveria. Quella che ha lasciato vuota a Marrakesh la sedia destinata all'Italia al Forum delle Nazioni unite sull'immigrazione, il luogo dove discutere, regolare, analizzare il fenomeno delle migrazioni. Al governo dell'Italia discutere non interessa, meglio urlare all'invasione, meglio creare un'emergenza artificiale a suon di sgomberi e ruspe. Agli agenti di commercio della paura e della cattiveria non serve discutere con 164 governi di altri paesi un “approccio cooperativo per ottimizzare i benefici complessivi della migrazione, affrontando i rischi e le sfide per gli individui e le comunità nei paesi di origine, transito e destinazione”. Non sia mai che ci si permetta di ricordare il diritto alla mobilità tra quelli fondamentali per l'uomo.
Tira un vento freddo a Roma e in Italia, in questi giorni, le gelate sono in arrivo. Gli italiani si preparano a festeggiare il Natale, la nascita di un profugo ospitato in una stalla perché tutti gli altri posti gli erano stati negati.
Contro Medici senza frontiere l'arma odiosa della paura
Attenzione. Stavolta l’attacco non è soltanto alla pratica della solidarietà umana e al diritto internazionale, che impone di salvare chiunque e comunque si trovi in pericolo in mare. A questi attacchi ci siamo in qualche modo abituati, anche se non dovremmo, ed essi hanno già prodotto il loro effetto devastante. L’atto giudiziario compiuto dal Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro nei confronti di Medici Senza Frontiere va oltre: getta in pasto all’opinione pubblica una matassa aggrovigliata di sospetti, paure, pregiudizio, irrazionalità. Lo fa toccando corde sensibilissime, timori ancestrali, le insicurezze che rodono l’anima di tutti noi quando ci sentiamo esposti al pericolo delle malattie, del contagio, del male che viene da lontano.
Le navi di MSF hanno scaricato nei porti italiani quintali di materiali infetti che sono stati poi trattati come rifiuti normali: questa è l’accusa. Essa prende la forma giuridica del reato di traffico illegale di rifiuti, ma il sottotesto è: i volontari hanno portato tra noi le malattie, esotiche, orribili, incurabili, vergognose che quelli raccolti in mare portavano con sé dalle loro terre maledette. Come gli untori che diffondevano la peste.
I responsabili dell’organizzazione quando si sono presentati alla stampa erano frastornati: la logica e la scienza sono dalla parte loro e però sono stati messi nella condizione di doversi giustificare come delinquenti presi con le mani nel sacco. Non siamo noi che gestiamo lo smaltimento dei rifiuti nei porti, hanno spiegato, e tutte le nostre operazioni avvengono in modo pubblico, sotto gli occhi delle autorità portuali e della polizia di stato. Ne abbiamo fatte centinaia, in almeno 11 porti italiani diversi. Se qualcosa non fosse stata fatta come si doveva, chi vigilava se ne sarebbe accorto e ce lo avrebbero contestato. Il sequestro dell’Aquarius e dei conti correnti dell’ONG nonché le iscrizioni nel registro degli indagati sono misure assurde e sproporzionate, le accuse non reggeranno.
Ma soprattutto: gli argomenti dell’accusa sono una plateale rappresentazione di ignoranza messa in scena da un ufficio giudiziario cui pure non dovrebbero mancare gli strumenti di cultura e di conoscenza per accertare come stanno le cose. Le malattie citate nel documento della Procura come il pericolo mortale cui gli incoscienti dell’ONG avrebbero esposto l’Italia e gli italiani non si diffondono con il contatto con i vestiti o gli scarti di cibo. E in ogni caso, quando avvengono i salvataggi i profughi affetti da patologie potenzialmente pericolose vengono isolati e portati a terra con gli elicotteri. Non c’è stato finora un solo caso accertato di contagio né sulle navi né nei porti. Nei paesi in cui operano, i medici dell’organizzazione trattano malattie infettive contagiose e pericolosissime, nessuno più di loro sa come ci si deve comportare, come si evitano i rischi. Loro sanno quello che fanno. Loro.
È una bruttissima storia quella che si sta consumando a Catania. Dura da due anni, da quando il procuratore Zuccaro annunciò un’inchiesta su presunte complicità tra le ONG e i trafficanti di uomini libici mirate addirittura a “minare l’economia italiana”. Ispirato dalla stessa geniale intuizione, Luigi Di Maio aveva aggiunto di suo che le navi delle organizzazioni non governative si comportavano come “taxi del mare”. In questi due anni non è uscito uno straccio di prova e sull’inchiesta, a Catania, è stato steso un velo di pietoso silenzio.
Ora l’offensiva ricomincia, su un altro fronte. Medici Senza Frontiere ha subìto molti e gravi danni dall’iniziativa giudiziaria, ma ancora non è stata messa a terra: salvare vite umane non è un reato, comunque lo si presenti negli atti di un ufficio giudiziario dotato di fantasia. E allora l’accusa cambia: non più complicità con i trafficanti, ma complicità con gli untori del ventunesimo secolo che vengono a portarci le loro malattie in casa nostra. Medici Senza Frontiere se non può essere portata in tribunale deve comunque essere distrutta sui giornali, nelle tv, sulla Rete. È un meccanismo che è stato già sperimentato molte volte nella storia. I tedeschi lo chiamano Rufmord, che significa, più o meno, assassinio del buon nome. Il fatto che il concetto sia espresso in tedesco non è un caso: si tratta di una forma di violenza politica che venne esercitata con molta determinazione e molta abilità dai nazisti. Anche i fascisti italiani non la lesinarono. Qui ed ora non si tratta più di attaccare i salvataggi in mare, si tratta di ridurre al silenzio quei “buonisti” irriducibili facendo leva in modo subdolo e indiretto su quanto di irrazionale c’è, e cresce, in una parte dell’opinione del nostro paese. Il Ministro della Paura ha trovato il suo giudice.
Scheletrici, feriti, malati. Così i 27 ragazzi sbarcati dalla Diciotti. Sulla nave continua l'assurda prigionia
Qualcuno dovrà pagare per questo. Arrivano, da diverse fonti, testimonianze sconvolgenti sulle condizioni dei minori che sono stati sbarcati dalla nave Diciotti, sulla quale sono restati ora soltanto gli adulti, 150, ancora ostaggi della criminale ostinazione del ministro dell’Interno. (qui l'articolo del 23/8/2018).
Criminale è una parola forte, ma non la usiamo a caso: almeno due Procure della Repubblica stanno indagando su quanto è accaduto in questi giorni e continua ad accadere in queste ore a bordo di una nave della Guardia Costiera, cioè su un pezzo di Italia, che è stata anch’essa fatta prigioniera, compreso il suo equipaggio, dalla demagogia, dalla miopìa politica, dall’insensibilità morale e dalla incapacità gestionale dell’attuale governo italiano.

Ieri sulla Diciotti è salita una delegazione dell’Ufficio del garante per i detenuti per accertare quello che era stato anticipato già dai deputati della Repubblica che erano stati a bordo prima di loro. I profughi ospitati sulla nave sono quasi tutti eritrei o comunque provenienti dal Corno d’Africa, da regioni cioè ai cui abitanti è riconosciuto in tutto il mondo civile (meno che a Roma, evidentemente) il diritto di chiedere e ricevere asilo. Altro che “irregolari”, “illegali” e “clandestini” come li ha definiti, ancora poche ore fa, la truffaldina logorrea di Matteo Salvini. Non fosse che per questo, appaiono più che appropriate le ipotesi di reato – sequestro di persona o trattenimento illegale – su cui indagano i sostituti procuratori siciliani. E su cui, sulla base di una raffica di denunce, indagherà ora la Corte europea per la tutela dei Diritti dell’Uomo (CEDU), mentre la Corte di Giustizia dell’Unione Europea dovrebbe, quanto meno, aprire una procedura contro il governo italiano per aver violato le direttive che proibiscono i respingimenti in blocco.
Vedremo. Le questioni legali verranno dopo e si può prevedere che occuperanno molte pagine di cronaca. Per il momento ci si deve concentrare sui 27 minori, 25 ragazzi eritrei e due ragazze somale, che la rivolta delle persone civili e un ordine della Procura dei minori di Catania, al quale l’intrepido Salvini si è piegato di malavoglia solo per evitare una denuncia immediata, hanno strappato alla galera che è diventata la nave Diciotti.

Non ci sono buone notizie. Le testimonianze di chi ha assistito allo sbarco, gli operatori di Medici senza frontiere e di altre organizzazioni di volontari, i responsabili dei centri d’accoglienza, i tanti privati venuti a manifestare la loro solidarietà sono molto preoccupanti. I ragazzi sono molto provati fisicamente, sono magri come chiodi, molti non ce la fanno neppure a camminare. Abbiamo accolto 27 scheletrini, ha commentato un’operatrice di Terre des hommes in una testimonianza raccolta dal “Redattore Sociale”. I 14 che sono stati portati in una struttura della rete FAMI autorizzata dal ministero dell’Interno (ma interamente finanziata dall’Unione europea: tranquillo Salvini) hanno raccontato tutti di avere trascorso lunghi periodi, anche mesi, nei centri di detenzione in Libia, dove venivano trattati come schiavi e non ricevevano cibo a sufficienza. Tutti sono affetti da scabbia e quasi tutti hanno problemi agli occhi, che non riescono a sostenere la forte luce del sole dopo settimane e mesi trascorsi al buio. Un ragazzo, d’età apparente di 14-15 anni ha una ferita d’arma da fuoco alla spalla (forse il proiettile è ancora dentro) e una mano maciullata. I responsabili del centro di accoglienza hanno disposto analisi mediche più approfondite e i sanitari di MSF stanno facendo prelievi del sangue a tutti.
Soltanto in una occasione abbiamo visto arrivare minori in condizioni così pesanti, dice a “Strisciarossa” uno degli operatori della struttura d’accoglienza: è stato quando arrivarono a Catania i superstiti di un naufragio che aveva provocato più di cento morti. Ma in quel caso c’era stato il trauma del mare che ingoiava tutto, qui il trauma è stata l’assurda prigionia, cominciata proprio quando i profughi pensavano di essere in sicurezza. Non c’è alcun ragionevole dubbio sul fatto che queste tremende sofferenze siano state acuite dalla prigionia sulla Diciotti.
È l’opinione anche della delegazione dell’Ufficio del Garante per i Detenuti che ieri, guidata da Daniela De Robert, ha compiuto una lunga ispezione sulla nave della vergogna. I profughi – dice – sono sottoposti da otto giorni a un trattamento inumano, in una situazione di grande disagio, su una nave non attrezzata ad ospitare tante persone, e nonostante l’impegno generoso del personale di bordo. Che ha toccato il fondo del suo spirito di sopportazione. Ieri si è saputo che anche il comandante della Diciotti si è unito ai tanti che in questi giorni hanno presentato esposti contro il ministero dell’Interno accusandolo di sequestro di persone.
Si tratta – ha chiarito De Robert - di una situazione che viola diverse leggi e norme, a cominciare dall’articolo 3 della CEDU. Nelle prossime ore l’Ufficio del Garante invierà i suoi rapporti alle due Procure che hanno aperto un’indagine. La prospettiva dell’incriminazione formale del ministro Salvini, e forse di altri esponenti del governo, non è più fantascienza. Lo sa anche lui che ieri, nel suo stile, ha contrattaccato minacciando le dimissioni e la crisi di governo se il presidente del Consiglio o il presidente della Repubblica dovessero scavalcarlo e forzare lo sbarco dei profughi.
E mentre le agenzie dell’ONU scendono in campo anch’esse a chiedere a Salvini la liberazione dei profughi, si appalesa nel suo tipico stile l’altro dioscuro del governo. “Se l’Unione europea si ostina con questo atteggiamento – tuona Di Maio - se domani dalla riunione della Commissione europea non esce nulla e non decidono nulla sulla nave Diciotti e sulla redistribuzione dei migranti, io e tutto il Movimento 5 stelle non siamo più disposti a dare 20 miliardi all’ Unione europea”. Bravo. Peccato che, come è stato detto e ripetuto fino allo sfinimento, la Commissione europea non possa decidere alcunché sulla nave Diciotti e sulla redistribuzione dei migranti che proprio i sovranisti d’ogni latitudine e longitudine europee hanno preteso restassero competenza dei governi nazionali. Pure del nostro. Se dalle parti di palazzo Chigi c’è qualche funzionario capace di far capire questo elementare dato di fatto perfino a Di Maio si faccia avanti. Avrà la riconoscenza della Nazione. Intanto, cari signori del governo, smettete di pensare a Bruxelles e occupatevi del porto di Catania, dove si consumano le vostre infamie.
Tutte le flotte che salvano i migranti
E’ tutta di privati del Nord Europa la flotta che sta cercando di salvare il maggior numero di persone in fuga dall’Africa, in balia del Mediterraneo e dei trafficanti che li stanno trasportando. La Sea-Eye è stata fondata nel 2015 da Michael Buschheuer, imprenditore, padre di due bambini di 5 e 3 anni, che vive a Ratisbona, in Baviera, con la moglie Hannelore. Volontari a terra ed equipaggi di Sea-Eye si pagano tutto, dal volo a Malta, porto dipartenza, alle vaccinazioni. Le prime imbarcazioni del giovane tedesco, la Sea Watch 1 e Sea Watch 2, vecchi ma affidabili pescherecci riadattati, sono state dismesse perché ormai piccole e antiquate. Ora sono attive la Sea Watch3 e la Seefuchs, che hanno salvato 14.378 profughi.
E’ tedesca, con sede a Dresda, la Mission Lifeline. Anche in questo caso a bordo vi sono volontari che si autofinanziano del tutto: marinai esperti, medici, meccanici. I giornalisti che lo richiedono sono sempre bene accetti, purché interamente a loro spese, per documentare e testimoniare l’attività svolta. Il capo-missione è Simon Lewis, 33 anni, laurea in marketing e comunicazione, australiano, di professione sovrintendente e responsabile del salvataggio di St Kilda, la più affollata spiaggia di Melbourne. La Lifeline può accogliere, se necessario, fino a 500 migranti.
Le imbarcazioni di cui abbiamo finora parlato battono bandiera olandese e non hanno per legge obbligo di registrazione speciale nei Paesi Bassi dato l’uso e le caratteristiche tecniche. SOS Méditerranée è un’organizzazione franco-tedesca, con sedi a Marsiglia, Berlino, Ginevra e Palermo, anch’essa attiva nella ricerca e salvataggio, in stretta collaborazione con Medici senza frontiere. E’ stata fondata nel maggio 2015 dal tedesco Klaus Vogel, capitano di navi mercantili, sposato con Karin, quattro figli, e co-fondata dalla francese Sophie Beau, antropologa e sociologa. Sophie Beau ha lavorato per Medici senza frontiere e in progetti contro l’esclusione sociale. La nave di SOS Méditerranée, la Aquarius, dalla fine di febbraio 2016, ha salvato dall’annegamento 30.000 vite. Vogel è stato insignito dalla sindaca di Parigi Anne Hidalgo della Grand Vermeil Medal, la massima onorificenza concessa dalla capitale francese. Con Sophie Beau ha ricevuto il Premio Unesco per la pace 2017.
E’ olandese, con sede a Utrecht, la Boat Refugee Foundation, fondata nel 2015 da Annerieke Berge-de Borg, 44 anni, originaria di Amersfoort (Paesi Bassi) ma residente a Zeewolde, sull’isola di Flevopolder, quattro figli e un nipotino. L’organizzazione è impegnata nella ricerca e salvataggio, nell’assistenza medica e nel sostegno ai profughi in attesa di destinazion. Ora la Boat Refugee Foundation sta lavorando nel centro di registrazione e identificazione di Moria, sull’isola di Lesbo (Grecia). Un centro ideato per 2000 persone ma in cui ve ne sono 5.500, con problemi igienici, di spazi per dormire, con pesanti patologie mentali e sofferenza tra i minori.
La Jugend Rettet è stata fondata da 13 berlinesi tra i 20 e i 29 anni. Fino al 2017 hanno operato nella ricerca e salvataggio con la nave Iuventa. Nel 2017 l’imbarcazione è stata sequestrata, dopo un anno di inchiesta, dalla procura di Trapani. La magistratura ha acquisito testimonianze, foto, video e tracce audio dimostrando che i ragazzi della Iuventa hanno imbarcato profughi su barconi con mare calmo. La Jugend Rettet è stata quindi accusata di complicità con i trafficanti di esseri umani. E’ l’incubo di tutti i soccorritori. Per essere salvati bisogna essere avvistati. E’ poi tassativo far partire l’SOS all’IMRCC, il centro italiano di coordinamento soccorsi, con sede a Roma che può incaricare l’imbarcazione segnalatrice o un’altra vicina di affiancare lo scafo in attesa dei soccorsi ufficiali. Le flotte private del Nord sanno che è necessario pattugliare il mare, mandare un SOS per rendere a quel punto obbligatori i soccorsi e non azzardarsi ad andare oltre, se non nei casi previsti dalla legge.
Spiega Michael Buschheuer di Sea-Eye: “Dopo l’SOS che costringe al soccorso, assicuriamo la sopravvivenza delle persone che stanno affondando fino all’arrivo della Guardia Costiera. In genere la procedura è questa: l’equipaggio parte da Malta, si ferma immediatamente fuori dallo spazio costiero del Nord Africa. A quel punto – continua il fondatore di Sea-Eye - c’è una lunga attesa. Si fa su e giù osservando con i binocoli. Può richiedere un giorno o dieci giorni. Appare una barca di migranti. La nostra nave principale se ne resta dov’è, per non allarmare le persone. Caliamo una scialuppa con a bordo tre persone e una montagna di giubbotti di salvataggio e ci assicuriamo che tutti li indossino. A quel punto ci siamo. Perché nessuno può più annegare. Solo in circostanze straordinarie e col permesso delle autorità possiamo prendere profughi a bordo”. E’ il motivo per cui l’anno scorso Simon Lewis, capo-missione di Lifeline, ha dovuto lasciare un neonato in braccio alla madre in un barcone, con la donna che lo supplicava di prenderlo. Non c’erano autorizzazioni, lo scafo non stava affondando e Lewis sarebbe stato accusato di colludere con i trafficanti.
S’intitola “Tous sont vivant”, sono tutti vivi, il libro di Klaus Vogel di SOS Méditerranée. L’ufficiale tedesco, che ora ha 63 anni, è tornato a fare il comandante nelle navi mercantili “perché servono soldi all’organizzazione e all’Aquarius”, di cui resta fondatore e presidente. “Sono tutti vivi” era la scritta tracciata con un gesso dalle autorità sulla porta della casa di suo padre ad Amburgo, nel 1943, dopo il bombardamento. “E’ una bella cosa da scrivere e da comunicare” ha detto intervistato da France24. Klaus Vogel ha detto nel suo discorso all’Unesco che l’Aquarius è per lui “una parentesi di umanità. La prova concreta di ciò che noi, cittadini, possiamo realizzare quando il nostro orizzonte di pensiero si apre”.