Elezioni e primarie, così il centrosinistra può tornare in gioco

Sui manifesti elettorali per le elezioni regionali sarde di domenica 24 febbraio, il candidato sardista del centrodestra (poveri sardisti…), Christian Solinas, non ci mette la faccia: preferisce quella di Matteo Salvini. Non c'è da stupirsi: Salvini è ormai il Re Mida della politica italiana. Il voto abruzzese di domenica scorsa lo ha ampiamente confermato, sulla scia (ma ancor più clamorosamente) dei precedenti successi amministrativi, dal Friuli Venezia Giulia al Molise. Del resto, manifesti o no, lo stesso  neopresidente eletto in Abruzzo, Marco  Marsilio, ha goduto in modo schiacciante dell'effetto Salvini: di suo, Marsilio non ha trainato un voto e anche il risultato del suo partito di provenienza, Fratelli d’Italia, è modesto, anche se la leader Giorgia Meloni si affanna a dire il contrario in tutte le interviste tv.

La verità è che tanto più in questa occasione le motivazioni locali del voto amministrativo sembrano passare in secondo piano.  Le urne dell’Abruzzo dicono che la luna di miele di una delle due componenti di governo con gli elettori procede spedita. Ma per l’altra componente, quella grillina, è l’esatto opposto: dal 4 marzo i voti dei 5 Stelle si sono dimezzati. E in un’ottica nazionale la coalizione giallo-verde ha perso in quella regione sei punti ed è al di sotto della maggioranza assoluta e tanto più da quel 60 per cento che da tempo è diventato il refrain di molti commentatori e sondaggisti, quasi a segnalare l’invincibilità dell’asse xenofobo-populista.

Può apparire una magra consolazione per il centrosinistra, che a fatica sta tentando di invertire la rotta: ma la distanza con i vincitori del centrodestra è ancora troppo netta per coltivare delle illusioni. Certo l’aver superato la soglia del 30 per cento, scavalcando e distanziando nettamente i 5 Stelle, può avere un aspetto psicologico positivo: è il centrosinistra, nella sua composizione assai articolata, ad assumere il ruolo dell’alternativa a Salvini e alla Lega, con buona pace di chi prefigurava una scena dominata per il prossimo decennio dai due populismi, quello leghista , a destra, e quello grillino a sinistra(?).

La strada è lunga, ma non c’è tempo da perdere. Già fra dieci giorni il voto sardo potrà chiarire ulteriormente il quadro: il centrosinistra si presenta anche lì con una coalizione larga a sostegno del candidato Massimo Zedda, e con qualche carta in più di quelle che ha potuto giocare Giovanni Legnini in Abruzzo. Poi, finalmente, le primarie del Partito Democratico, dopo la lunga eclissi seguita alla sconfitta del 4 marzo. Riportare iscritti ed elettori in massa ai gazebo è la condizione minima per tornare in gioco e riacquistare una centralità nella sfida per l’alternativa. Poi, chiunque vinca dovrà mettere la faccia su scelte e programmi chiari da lanciare subito nel Paese. A cominciare dai temi della povertà e delle diseguaglianze, lasciati colpevolmente per troppo tempo alla propaganda grillina. A differenza di quei manifesti sardi, non ci sono opzioni né facce di riserva.


La lezione abruzzese:
il centrosinistra perde ma è vivo

A rivederlo tre giorni dopo, all’indomani del voto regionale d’Abruzzo, l’abbraccio vicentino tra Di Maio e Salvini, condito persino da un fugace bacetto, mi ha fatto venire in mente La cattura di Cristo del Caravaggio, dove il bacio e l’abbraccio tra un Gesù umanissimo nella sua sgomenta e rassegnata ritrosia, ed un Giuda rubizzo e arrembante, è nient’altro che il prologo all’arresto dell’uno all’esito del tradimento dell’altro.

Per carità, nessun possibile parallelo tra la grandezza tragica del Cristo e il “sedicente vicepremier cretino millenario” (copyright Giuliano Ferrara, Il Foglio, 11 febbraio 2019), solo che viene da chiedersi se quel bacio e quell’abbraccio sarebbero possibili oggi, appena tre giorni dopo, ad urne abruzzesi ormai vuotate e con i risultati davanti agli occhi. Lo vedremo alla luce di cosa accadrà in Parlamento sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei riguardi di Salvini, il quale per parte sua – giustamente - si sbraccia a rassicurare gli amici dei 5 stelle sul fatto che non è successo niente.

Confrontando il dato odierno rispetto al dato regionale del 2014 (politicamente un secolo fa: per intenderci alle politiche del 2013 la Lega era al 4%) si potrebbe essere tentati di dire che in fondo ai 5Stelle non è successo davvero niente. Centrodestra e centrosinistra si sono malauguratamente scambiati i voti e le parti, e ai 5Stelle è rimasto in pancia il 20% delle precedenti regionali. Ma è un confronto che, come tutti sanno, non ha senso. 

Il confronto con le politiche di appena undici mesi fa, se si assume come pietra di paragone il risultato della Regione Abruzzo al Senato, racconta tutta un’altra storia. Il centrodestra complessivamente inteso passa dal 36% al 48% (+12). Il centrosinistra complessivamente inteso passa dal 22% al 31% (+9) e i 5Stelle passano dal 40% al 20% (-20). Ora, per quanto le dinamiche e gli spostamenti dell’elettorato non siano mai perfettamente unidirezionali, e occorra sempre fare i conti con travasi e flussi incrociati, è difficile sfuggire alla logica stringente dell’aritmetica, e la logica dell’aritmetica ci dice fondamentalmente tre cose:

1. Piaccia o non piaccia, la Lega sta completando con successo la sua OPA sul centrodestra e la sua riconfigurazione di partito nazionale di destra dai tratti sovranisti e antieuropei. Tutto questo avviene sull’onda di un ritorno di egemonia elettorale del centrodestra rispetto al centrosinistra, e di una sua più forte capacità di presa, ossia di lettura e interpretazione dello spirito del tempo e delle sue mitologie più deteriori, a cominciare dalla sicurezza sbandierata come emergenza in un paese in cui secondo i dati del Ministero dell’interno, tutti i reati di maggiore allarme sociale (scippi, rapine, omicidi) sono in calo da anni (si veda in particolare pag. 86 e 87 della Relazione 2017 del Ministero dell’interno al Parlamento, con prefazione del ministro Salvini che potete leggere  QUI )

2. I 5 stelle, al primo test elettorale dopo la sbornia di un anno fa, dimezzano i consensi. Ora, per quanto l’Italia sia un paese incanaglito e impoverito, e per quanto l’italiano medio non legga, vada poco a teatro e abbia un grado di alfabetizzazione e cultura digitale (che non è avere lo smartphone in tasca) da ultimo della classe in Europa, anche quell’italiano medio due conti se li sa fare. Ed allora, sentirsi dire dal balcone “abbiamo abolito la povertà”, può fare effetto per due giorni; poi, inevitabilmente, la gente torna a fare i conti con la propria vita reale. E la realtà racconta un’altra storia: la produzione industriale che cala, la disoccupazione giovanile che non deflette, la recessione alle porte, le perduranti restrizioni al credito, e il reddito di cittadinanza che appare sempre più un rebus inestricabile, foriero di nuove ingiustizie e diseguaglianze. Certo, il birignao delle élite non è il meglio della vita, e la vulgata dell’anticasta ha il suo appeal, però – non smettiamo mai di ricordarlo a noi stessi - non è che si possa pensare di governare un paese con una pletora improvvisata di ragionieri di provincia, ex addetti alla sicurezza da stadio, insegnanti di ginnastica e commessi viaggiatori. Con tutto il rispetto per i lavori di tutti, e con buona pace di Lenin e della sua cuoca, governare – persino governare male, come pure si è fatto molte volte in questo paese - richiede competenze, esperienza, specialismi. Il personale politico dei 5 stelle, a cominciare dal suo leader, è composto prevalentemente da gente inesperta, tecnicamente ignorante, con pochi studi e nessuno specialismo. Il Salvini di un tempo, quello che insultava i meridionali, direbbe…”non dura minga”. 

3. Il centro sinistra perde la Regione con un distacco di 17 punti percentuali dal centrodestra, è vero, ma dimostra di essere vivo. Sconfitto, minoranza rispetto al centrodestra, ma vivo. Questa è di per sé una notizia incoraggiante. Ma la vera novità delle elezioni abruzzesi da questo punto di vista è che, per la prima volta, il PD è parte largamente minoritaria del centro sinistra. E’ un fenomeno inedito, che investe il percorso verso le primarie, e che, ad esempio, dà torto a Giachetti e ragione a Zingaretti quando ci si pone di fronte al dilemma continuità/discontinuità. Il 31% abruzzese alle liste del centrosinistra è in sintonia con Piazza San Giovanni a Roma e con la folla straordinaria della prima grande manifestazione unitaria dei sindacati da sei anni a questa parte. Quel 31% (col PD al 12) ci ricorda che il PD, la sua tradizione, la sua cultura politica, la sua filosofia, sono stati prima snaturati e poi devastati dal renzismo arrembante (quello, per intenderci, della rottamazione, della polemica antisindacale a oltranza, della mitologia della disintermediazione, dell’attacco alla Banca d’Italia oggi tanto di moda: il PD apprendista stregone, insomma…) e che lì fuori c’è un mucchio di gente (che non vota più, o che vota 5 stelle) che aspetta un segnale di ricostruzione della sinistra in forte discontinuità col più recente passato, e che ora manda qualche primo segnale interessante.

Di fronte a chi vince raccontando un paese che non esiste (l’emergenza migranti e l’emergenza sicurezza, in primis); a chi vince rivendicando pubblicamente gesti che rivelano baratri di miseria umana (come fa il vicesindaco di Trieste che getta nella spazzatura la coperta e gli stracci di un senzatetto o come hanno provato a fare a Lodi impedendo ai bambini stranieri l’accesso alla mensa scolastica); a chi vince sulla pelle dei più poveri e dei più disperati della terra; verrebbe di rispondere con le parole immortali di Melville e del suo scrivano Bartleby: “…preferirei di no”, l’enigmatico ed irredimibile rifiuto di fare i conti con il senso comune e l’ovvio, con l’odierno spirito del tempo (no all’Europa, prima gli italiani, abbiamo abolito la povertà, è tutta colpa dell’euro, è finita la pacchia, i porti resteranno chiusi…ecc.) che, perdurando ancora qualche tempo, ci porterà al disastro.

Poi però senti le parole appassionate del Presidente Mattarella: ho ancora nelle orecchie quel suo augurio così denso di passione civile e di valore politico (“Auguro buon anno ai cinque milioni di immigrati che vivono, lavorano, vanno a scuola, praticano sport, nel nostro Paese”) e scopri che il Presidente del Consiglio di Stato rilascia una intervista al quotidiano La Stampa per dire che il “populismo legislativo” frutto della “estemporaneità” dell’azione di governo “rende impossibile garantire la certezza del diritto”, e capisci che non ci si può fermare a Bartleby e che tocca sporcarsi le mani (vero Zingaretti?), rimuovere le macerie e ricostruire.

Per farlo, nei mesi a seguire, serviranno tante cose: avere forza di persuasione, abbandonare ogni snobismo da elite, rispondere a muso duro tutte le volte che serve, ma anche far ridere, per esempio del Salvini-Fregoli, che chissà, complice il Carnevale, vedremo in tv vestito da Mazinga o da Ufo robot e del Toninelli stralunato che va in tv e parla del nuovo Ponte Morandi, un viadotto autostradale, “come luogo di incontro dove le persone possono vivere, giocare e mangiare”. Perché anche questo ci è toccato sentire. E anche ricordare a quei milioni di italiani di buonsenso che votano centrodestra - che se ne fottono delle invettive buoniste dei vescovi e delle inchieste indignate dei “giornaloni di sinistra”, ma sanno farsi due conti in tasca - che erigere muri, chiudere porti, ipotizzare blocchi navali, costruire sicurezza senza emergenza, costa un sacco di soldi e alla fine fa finire in gabbia tutti noi, gabbie fisiche e mentali, tutti impegnati ad alzare barriere culturali e recinti fisici nelle nostre città, nei nostri quartieri, nei nostri condomini, e poi alla fine dentro casa, una vera vita di merda, con tutte le comodità e tutte le ossessioni del caso. I muri non hanno mai portato bene a nessuno nella storia dell’uomo.

Mandiamoli a casa questi signori che non sanno letteralmente dove mettere le mani e dispensano improvvisazione e dilettantismo da un lato e livida ideologia e odio sistematico dall’altro. Ci vorrà tempo, ma mandiamoli a casa. Non è detto che in Abruzzo sia poi andata così male. Ripartiamo da quel 30%.