Così ricordo Michel Petrucciani
un genio umano e sovrumano
Un libro illustrato su Michel Petrucciani? All’inizio ero perplesso ma poi ho riflettuto e ho pensato che fosse giusto nonché necessario. Perché Michel non è stato solo il grande pianista che tutti conosciamo ma un uomo, come pochi, che ha accompagnato perfettamente la sua Arte con la sua vita. Vita non facile ma, proprio per questo, vissuta con il trasporto e la passione di chi sa che è breve e che va addentata bramosamente come fosse una lucida mela.
Quel conflitto con se stesso
Perché se la sua difficoltà fisica l’ha spronato a dare il massimo nella musica facendone uno dei musicisti più dotati, originali e creativi degli ultimi decenni, è nel quotidiano che ha dovuto affrontare il conflitto con se stesso e con il proprio corpo. Sapevo di Michel dai dischi ma soprattutto dai racconti di chi ha condiviso il palco con lui e gli è stato amico. Aldo Romano in primis e poi J. F. Jenny-Clark, Furio di Castri, Manhu Roche, Geneviève Peyregne e tutta la famiglia Marcotulli nella cui casa Petruche si rifugiava di tanto in tanto e dove conobbe la moglie e pianista Gilda Buttà. Oltre a loro il produttore discografico Jean-Jeacques Pussiau che lo aveva scoperto…
Ed è stato proprio la mattina del sette gennaio 1999, mentre con Jean-Jeacques stavamo entrando in studio di registrazione per il mio “Metamorfosi” che abbiamo appreso della prematura morte di Michel avvenuta durante la notte in quell’altra mela da addentare che è New York. Quella notte Pussiau perdeva un amico carissimo e noi tutti perdevamo un genio creativo e sregolato, capace nel medesimo tempo di egoismi smisurati e altrettanti e improvvisi slanci di umanità oltre che di pure follie; quelle di colui che vuole vivere ma sa dentro di se di avere un altro destino.
Una grandezza costruita nota dopo nota
Per questo qualsiasi documento capace di aggiungere un pezzo del racconto di Michel è utile e prezioso. Perché contribuisce a colmare, seppure in parte, un vuoto dovuto allo straripare del troppo pieno. Una mancanza dunque incapace di definire un uomo che ha fatto del suo problema fisico lo strumento della conquista di se stesso, della musica e della vita.
Ci avevo suonato assieme, unica volta della mia vita, pochi mesi prima della sua scomparsa a Catania… mi esibivo nella stessa serata con l’Angel Quartet e Michel mi invitò a improvvisare su Well you needn’t di Thelonious Monk. Credo che qualcuno abbia quella registrazione.
Petrucciani non era uno. Era vasto come le sue mani sproporzionate in un corpo esile e fragile e capaci di percuotere i tasti del pianoforte e misurare ottave e decime con uno swing sovrumano.
Ecco, Michel era sovrumano. E tutto ciò che è fuori dall’umano non solo è difficile da raccontare ma va costruito di giorno in giorno, di nota in nota, parola dopo parola e segno dopo segno. Perché il messaggio per le nuove generazioni è la metafora della costruzione, della lotta quotidiana e della bellezza incompiuta che, giorno dopo giorno, sfugge.
Come la vita di Petruche, intento a correre cineticamente più veloce di se stesso.
Questo testo è tratto dal libro
Vanni Masala e Marilena Pasini
"Io sono Michel Petrucciani"
(Edizioni Curci)
La morte della politica produce Di Maio
Per far dimenticare il giorno dell’Assunta, la giovane con laurea triennale promossa senza tante storie capo della segreteria al ministero, il vice presidente del consiglio spara contro la “sinistra veramente miserabile” che, uscendo dal coro (ci sono state persino edizioni speciali del Tg3), ha osato criticare i gravi costi sociali delle scelte strategiche di Marchionne.
Il giochino del populista che evoca il “letto di ospedale” per infilzare una sinistra senza cuore è stucchevole. Non è però strano che il capo politico di un non-partito della microazienda difenda un manager potente della macroazienda. L’interesse, sebbene volgare, non mente mai. Un po’ più paradossale è che il leader del sovranismo benedica il manager della delocalizzazione. Ma il populismo, si sa, non ha logica.
Questo politico dalle profonde letture e raffinate citazioni (un suo tweet recita: “libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi”), per superare il globalismo apolide della sinistra si rinchiude nello strapaese grillino. E, forse stanco della retorica della rete e del giudizio on line su persone e problemi, arruola la segretaria, esperta nella gestione degli affari complessi, secondo la bella regola antica, quella del buon rapporto di vicinato. E’ un perfetto esempio di glocalismo, che dalla navigazione nella rete infinita si rifugia nel ristretto familismo campano che però, grazie alla trasvalutazione dei valori imposta dell’antipolitica imperante, è diventato un bel marchio morale.
“Oggi è un giorno importantissimo per tutti i cittadini di questo Paese e, lasciatemelo dire con un po’ di orgoglio, anche per il MoVimento 5 Stelle. È un giorno di festa: finalmente vengono aboliti i vitalizi! Bye bye vitalizi! Invito tutti a fare una cosa semplice: postate sui social un video o una foto dove fate "ciao ciao" con la mano per salutare il privilegio che se ne va usando l'hashtag #ByeByeVitalizi. Prendiamoci questa piccola rivincita. La prima di tante che ci aspettano”.
Così parla il capo politico, il vice presidente del consiglio che, per sfuggire al tarlo dell’improvvisazione, denuncia manine, sventa complotti, chiede la rimozione di tecnici che fanno politica agitando numeri scomodi. Nel suo curriculum scriveva: «frequentavo l’università, ho avviato un progetto imprenditoriale di e-commerce, web marketing e social media marketing». La morte della politica e il culto della inesperienza produce Di Maio. Lo statista di nuovo conio che annuncia: “Finalmente è arrivato. Oggi è il giorno che gli italiani aspettavano da sessant'anni: quel momento fatidico che abbiamo regalato ai nostri cittadini in cento giorni di governo". Parla come la Boschi e sarebbe un gran bene che conoscesse presto lo stesso celere oblio.
di Michele Prospero