Fondi UE: le priorità
sono Green Economy
e digitalizzazione

Se va davvero così ha ragione Paolo Gentiloni: è una svolta senza precedenti. 750 miliardi di fondi europei per sostenere la ripresa post-Covid, pari a più di un terzo del Pil italiano e a quasi quattro volte e mezzo l’attuale bilancio dell’Unione europea. Due terzi delle risorse (500 miliardi) saranno erogate a fondo perduto, il resto (250 miliardi) in prestiti agevolati. All’Italia, con la Spagna il Paese più esposto al crollo economico legato alla pandemia, almeno il 20% dell’intero stanziamento. Destinazioni di spesa privilegiate: lotta alla crisi climatica, transizione ecologica e digitale dell’economia.

Il cambio di marcia dell'Europa

Questi i titoli del “Next Generation Fund” annunciato dalla presidente europea Von der Leyen, traduzione fedele del piano proposto giorni fa da Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Un annuncio, è utile ripeterlo e sottolinearlo, che prospetta un cambio di marcia e di passo decisivo nelle politiche europee e nella stessa “costituzione materiale” dell’Unione: per la prima volta si afferma il principio di un’Europa “federale”, non più soltanto “interstatale”, che per costruire il suo futuro sceglie di decidere e agire politicamente come un’unica, grande comunità.

Naturalmente si tratta per ora di un annuncio e di “titoli”. Seguiranno mesi di negoziati difficili e prevedibilmente aspri, con una parte dei Paesi dell’Unione – soprattutto i cosiddetti “frugali” dall’Olanda, all’Austria, alla Svezia, alla Danimarca - che faranno di tutto per attenuare il peso della svolta. Ma l’esito della partita, la sua importanza per il futuro dell’Unione, non dipenderanno solo da chi prevarrà tra i due fronti – “sovranisti” contro “solidali”, nord contro sud - che si fronteggeranno nelle trattative. Dando per acquisito il “quantum” di questo impegno straordinario, resta tutto da definire il “come”.

Primo “come”. Da dove arriveranno i 750 miliardi? Dall’emissione di titoli europei garantiti dal bilancio pluriennale dell’Unione, il quale andrà incrementato. Usare questa occasione per rafforzare significativamente il bilancio comunitario è un obiettivo fondamentale, ma una via è raggiungerlo incrementando i contributi nazionali a Bruxelles, dunque rimanendo in una logica “interstatale”, e un’altra via, squisitamente “federale”, è dotare l’Europa di fonti di approvvigionamento proprio. L’auspicio è che si opti per questa seconda strada, rispetto alla quale le ipotesi che circolano – plastic tax, avvio di una carbon tax, prelievo sulle attività dei giganti del web – vanno tutte in una stessa direzione da sostenere con forza: adottare forme di fiscalità europea che al tempo stesso diano autonomia finanziaria all’Europa e ne spingano lo sviluppo in direzione green.

Pensiamo all'Italia che sarà

L’altro “come” riguarda i modi in cui utilizzare queste risorse, e chiama in causa per prima l’Italia che sarà, così pare, il Paese maggiormente beneficiato dal “next generation fund”. Per esempio: il ministro degli esteri Di Maio ha detto che andranno utilizzate per tagliare le tasse. Ora, ridurre la pressione fiscale è certamente per l’Italia un’esigenza vera, a patto di salvaguardare il principio costituzionale della progressività del prelievo. Ma Interventi così hanno carattere strutturale e dunque vanno finanziati con risparmi sulla spesa e non con risorse una tantum come saranno quelle del fondo europeo.

Il “next generation fund” va impiegato per investimenti pubblici nei settori dove registriamo i ritardi più vistosi. Cito tre casi su tutti. Dotare il nostro Paese di un’adeguata infrastruttura digitale e contrastare quel notevolissimo “digital divide” che a oggi esclude milioni di italiani dall’accesso alla rete e che rappresenta una forma sempre più penalizzante di diseguaglianza sociale. E poi avviare un grande piano di “conversione ecologica urbana” che liberi le nostre città dall’inquinamento e dagli ingorghi, attrezzandole con sistemi efficienti di trasporto pubblico e di mobilità leggera (a cominciare dalla bicicletta), e investire nelle infrastrutture al servizio dell’economia circolare (impianti per il riciclo dei rifiuti) e della decarbonizzazione dell’economia (fonti rinnovabili ed efficienza).

Bisogna evitare gli interventi a pioggia

Ciò significa, anche, non utilizzare la fetta della torta europea che ci toccherà per scelte che contraddicono la transizione green. Anche qui me la cavo con un esempio: sarebbe follia impiegare i soldi europei per incentivi a pioggia destinati al settore automobilistico, piuttosto occorre puntare sulla realizzazione di una rete capillare di ricarica per le auto elettriche senza la quale la “e-mobility” non può decollare.

Ha scritto in questi giorni non un organo ambientalista ma il “Financial Times”: “I leader europei dovrebbero decidere di investire non in incentivi alle vendite delle auto, ma pianificare per realizzare l'infrastruttura di ricarica elettrica necessaria per un deciso cambiamento di rotta rispetto alle energie fossili.

Qualsiasi supporto finanziario alle aziende automobilistiche dovrebbe essere subordinato alla condizione che esse operino nella stessa direzione”. Parole sagge, che è sperabile ispirino i governi europei e quello italiano prima di tutto quando dovranno “distribuire la torta”. In gioco c’è il nome stesso dato alla svolta annunciata da Ursula Von der Leyen: “next generation”.


Caschi di operai

Domani

La crisi causata dal Covid-19 può accelerare l’adozione di un nuovo modello di sviluppo più equo e sostenibile? Sì, ma a condizione di cambiare le priorità e di rimettere in discussione alcuni tabù nella sfera monetaria e fiscale, che dovrà essere messa al servizio dell’economia reale e di obiettivi sociali ed ecologici. Bisogna farlo investendo in nuovi settori (sanità, innovazione, ambiente) e riducendo gradualmente le attività più inquinanti.

Thomas Piketty


Serve un progetto di sinistra per rifondare il modello Italia

Diciamo la verità: alcuni pezzi della maggioranza hanno fatto di tutto negli ultimi giorni per dare una mano a chi vuole mandare all’aria il governo. Con quale obiettivo non si è ancora capito, se non totalizzare più punti al solito gioco delle bandierine personali. Per fortuna - superando le trappole disseminate lungo una trattativa estenuante sempre sull’orlo della rottura - il governo è riuscito non solo a salvare, per ora, la pelle, ma anche ad approvare un decreto che mobilita una quantità di risorse mai vista nella storia recente del nostro Paese. Il cosiddetto decreto Rilancio stanzia infatti fondi per 55 miliardi che, sommati ai 25 del Cura Italia, costituiscono un robusto intervento di Stato a favore dei lavoratori, dei senza lavoro, delle imprese e del sistema sanitario. Non solo. Superando le resistenze dell’ala destra del M5S si è riusciti anche a far passare la norma che regolarizza circa 200 mila immigrati che lavorano nei campi o nelle nostre case come colf e badanti. Insomma, nessuna esultanza ma, per come si erano messe le cose, poteva finire molto peggio.

Il senso della campagna contro il governo

Ora, è del tutto evidente che andando a spulciare tra i provvedimenti decisi qualcosa che fa storcere il naso si può anche trovare. Tutto si può fare meglio, figurarsi: si tratta pur sempre di un compromesso. Ma fa impressione – come ha fatto impressione negli ultimi mesi la campagna politico-mediatica contro il governo – il giudizio espresso da quasi tutti i commentatori: il decreto non va, solo sussidi, mancette e contributi a pioggia. Lo scrivono gli stessi che fino a ieri accusavano il governo di non essere in grado di aiutare il Paese che soffre, i cittadini che non arrivano alla fine del mese, i commercianti che stanno chiusi da due mesi, gli imprenditori che hanno vista ridotta drasticamente la produzione. Viene il sospetto che si stia suonando sempre la stessa musica nella speranza di portare qualcun altro sul podio di direttore d’orchestra. C’è infatti chi spera che quando arriveranno i consistenti fondi europei (stiamo parlando di più di cento miliardi di euro) un nuovo direttore possa cambiare le note sullo spartito (o meglio: sulla spartizione) per intonare un inno alla gioia.

L’accordo che ha evitato una spaccatura pericolosa nel governo fa tirare quindi un sospiro di sollievo. Soprattutto agli italiani che, travolti dalla crisi, assistono increduli alle scene di guerriglia che avvengono nei dintorni di Palazzo Chigi. Ma attenzione: quell’accordo non è un punto di arrivo. Siamo ancora dentro una fase molto complicata. Anzi, proprio quelle tensioni che hanno rischiato di far saltare tutto hanno lasciato qualche livido sul corpo di una maggioranza ancora incompiuta. Paradossalmente, per il governo questo passaggio è quasi uno spartiacque: o si supera il guado e si passa definitivamente sull’altra sponda o il rischio di affondare è altissimo. Insomma non si può continuare a stare fermi in mezzo ai colpi del fuoco nemico e di quello amico.

Non bastano più mezzi accordi e fragili compromessi

E dunque: che fare? Servono due scelte chiare, senza ambiguità, senza zone d’ombra. La prima riguarda la maggioranza che sostiene il governo. La seconda, oltre quella, chiama anche e soprattutto il centrosinistra se vuole avere un ruolo nel futuro di questo Paese.

La prima. Bisogna essere consapevoli che non ci sono mezzi accordi che possano tenere in piedi a lungo una maggioranza senza provocare insidiosi processi di logoramento. In questa situazione di emergenza sarebbe un disastro. Per questo, credo che solo un nuovo accordo di governo possa evitare il galleggiamento. Un accordo di pochi punti, non il libro dei sogni che di solito accompagna i patti di coalizione. Lo scenario è completamente cambiato rispetto a settembre 2019 quando, messo all’angolo Matteo Salvini, nacque il governo rossogiallo di Conte. Per dirla in modo più chiaro: è il momento che i Cinque stelle decidano definitivamente chi sono e da che parte stare: a sinistra o a destra. Ballare di qui e di là non è più consentito e la regolarizzazione degli immigrati lo ha ampiamente dimostrato. Non è difficile capire quali siano i punti dirimenti da qui al 2023, anno di scadenza regolare della legislatura, su cui fondare un nuovo patto di governo. Ne indico alcuni: una chiara linea europeista (basta balletti sul Mes, per esempio), il rafforzamento del welfare, più investimenti nella sanità e nella ricerca, interventi per il lavoro, cancellazione dei decreti Salvini sugli immigrati, digitalizzazione del Paese.

La seconda scelta da compiere si lega alla prima e coinvolge sia tutta la maggioranza sia, soprattutto, il centrosinistra. Riguarda il futuro di questo Paese nei prossimi dieci anni. Finita l’emergenza bisognerà gettare le basi di un nuovo modello di sviluppo. Sin dall’inizio della pandemia che ha sconvolto il nostro modo di vivere abbiamo detto che il dopo non dovrà essere come il prima. E questo fondamentalmente perché il nostro problema vero è proprio il prima. Il nostro problema qui in Italia ma anche in Europa.

Abbiamo seguito, infatti, un modello che faceva acqua da tutte le parti e invece di cercare di cambiarlo abbiamo messo qualche toppa nei buchi. Un modello in cui una finanziarizzazione esasperata dell’economia ci ha reso succubi di alcuni santuari che muovono capitali con un clic e decidono il destino di interi Paesi. Un modello che ha allargato la forbice delle disuguaglianze: tra Paesi, all’interno dei Paesi e dentro le aziende tra il lavoratore e il manager che oggi guadagna oltre cento volte di più del suo dipendente, ma anche tra uomini e donne che svolgono le stesse mansioni. Un modello che ha premiato il mercato e quindi il privato a discapito del pubblico depredando i beni comuni: la sanità che ha subìto tagli mostruosi e pericolosi processi di aziendalizzazione, la scuola che non regge più la sfida con i tempi nuovi, la ricerca troppo spesso lasciata nelle mani delle grandi case farmaceutiche. Un modello che ha favorito le energie inquinanti a discapito di quelle green e che ha riempito le strade delle nostre città e le nostre autostrade di una quantità di mezzi di trasporto privati che hanno bruciato le nostre riserve di ossigeno. Si potrebbe continuare, ma credo sia chiaro: il Covid-19 con la sua furia distruttrice ha messo in evidenza tutti i limiti insostenibili del nostro modello di sviluppo.

La vera sfida per una nuova sinistra

Ora, questa dovrebbe essere la grande sfida dei prossimi decenni. Ma se il Pd e tutto il centrosinistra non si misurano con questo grande tema di rifondazione del modello Italia che ci stanno a fare? Questo non è il tempo di fare solo i pur legittimi compromessi di governo. E’ il tempo dei pensieri lunghi, come diceva Enrico Berlinguer. Ma per avere pensieri lunghi bisogna capire e pensare, e bisogna trovare i luoghi e i momenti per poter capire e pensare. Non bastano un tweet al momento giusto o un post su Facebook o un’intervista volante al giornale che la chiede.

La sinistra deve capire che questa è la sua mission e non solo curare il senso di responsabilità che tiene in piedi i governi. Un partito di sinistra non può – come troppo spesso è accaduto - essere semplicemente governista e al governismo sacrificare identità e progetto. Certo che deve sapere stare al governo dentro una coalizione, e farlo nel miglior modo possibile ottenendo risultati tangibili. Ma deve anche e soprattutto avere un suo pensiero autonomo che non si  risolve tutto in un voto in consiglio dei ministri o nell'accettazione di qualunque compromesso, anche quelli molto al ribasso. Deve esserci una linea di confine oltre la quale non si può andare. Nicola Zingaretti e Roberto Speranza, che sono oggi i leader di questa sinistra, lo sanno bene. E’ ora però che questa consapevolezza si traduca in una nuova idea di sinistra e che essa sia messa in pratica aprendo le porte a chi ha idee, passioni e coraggio da portare e non posti o prebende da chiedere. In questo passaggio la sinistra si gioca davvero il proprio futuro. E non può perdere la partita: rischierebbe di non poterne giocare altre per lungo tempo.


Emilia Romagna, hanno vinto i ragazzi. Ma ora
il Pd cambi davvero

Il voto emiliano accende una nuova luce su possibili scenari politici del prossimo futuro in Italia e in Europa.
Sottolineando il termine “possibile” ed avendo ben chiara la stretta relazione che sempre intercorre in politica tra l’azione soggettiva e volontaria e le circostanze oggettive, non si può fare a meno di vedere in questa consultazione elettorale il fremito di un cambiamento di orientamenti generali dell’opinione pubblica.
C’è in campo una nuova generazione, in tutta Europa, in tutto il mondo. Questa è la prima costatazione da fare, per via empirica.

sardine
Una generazione di giovani e giovanissimi che assume la questione ambientale come questione politica generale che mette in discussione il cuore del modello di sviluppo e di vita del dopoguerra, un modello quantitativo che anche la sinistra operaia ha fatto suo, seppur con presupposti radicalmente opposti al “logos” borghese.

Giovani senza futuro

Questa nuova generazione avverte la possibilità di essere la prima generazione della storia dell’umanità a non avere un futuro; avverte che nel cambiare questo tipo di capitalismo non ha che da “perdere le proprie catene” che la inchiodano al rischio della stessa sopravvivenza.
Questa nuova generazione si pone, su scala internazionale, il problema delle crescenti diseguaglianze, della restrizione degli spazi della democrazia e della emergenza climatica, legandoli insieme.
Torna un “nuovo internazionalismo”, che non avevamo previsto come effetto dialettico della globalizzazione ed il messaggio di Papa Francesco fornisce un respiro epocale e unificante a queste speranze e a questa necessità di cambiamento.
Comincia ad apparire più chiaramente che il destino degli uomini e delle donne di questo secolo, già abbondantemente avviato, non potrà risolversi nel ghetto delle gabbie nazionali ma ha bisogno di multilateralismo e di cooperazione, di una forma di “governo mondiale”, per ricordare una profetica espressione di Enrico Berlinguer.
L’Europa ha iniziato un percorso nuovo lungo il quale c’è ancora moltissimo da camminare, ma ha iniziato.

La transizione green

sardineLa cosa più importante sta nel fatto che si è posta finalmente davanti una nuova missione, una missione di grande respiro sociale, che va oltre la sostenibilità finanziaria man investe la sua natura statuale e l’obiettivo di un nuovo paradigma economico e sociale: quello del Green New Deal.

Ci si interroga già su come reperire le risorse proprie necessarie a finanziare questo grande progetto senza gravare sui bilanci nazionali e si individua nella fiscalità europea verso le grandi multinazionali, in primo luogo i giganti del web, lo spazio per una nuova politica economica che rafforzi il pilastro sociale europeo e avvii la transizione green.
Chi ha potuto partecipare al Convegno di Assisi, organizzato dalla Fondazione Symbola e dalla Comunità francescana la scorsa settimana, ha avvertito palpabilmente che esiste un enorme e concreto spazio di azione per cambiare rotta.

Un nuovo modello sociale per l'Europa

Questa difficile Europa, fragile e incerta, frazionata e complessa può tornare a recitare in un tempo non lontano una nuova leadership epocale sul mondo intero. Non con la forza delle armi e di un nuovo colonialismo ma con la forza di un nuovo modello sociale.
L’Europa sperimenta nuovi traguardi energetici, punta alla completa neutralità climatica entro il 2050, punta ad investire sulla ricerca sull’innovazione applicata a nuove produzioni strategiche ed in questo sfida le oligarchie continentali ed i sistemi sociali ed economici ancora guidati dal dominio dei fossili e che oggi ancora dettano legge e condizionano la vita di miliardi esseri umani, mettono a rischio la sopravvivenza degli ecosistemi e di migliaia di specie viventi.
L’Europa si appresta a lanciare questa sfida. Ma serve una nuova sinistra anche solo per sperare di vincerla.
Pensiamoci: queste circostanze e queste condizioni apparivano, solo pochi mesi fa, del tutto astratte.
Oggi siamo in grado di renderci conto che una nuova Europa, una nuova coscienza generazionale internazionale, nuove risorse per finanziare un diverso modello di crescita e di occupazione possono incontrarsi se la sinistra, i movimenti democratici che animano il continente saranno capaci di raccogliere questa sfida rinnovando se stessi.

La sfida davanti al Pd

Il voto emiliano risente anche, secondo me, di questo fermento, di questo moto che si muove sotto la pelle della società e che impone al Pd e al governo di cui fa parte una nuova lettura e interpretazione dei fatti e una nuova azione politica e amministrativa.
Sull’azione del governo si è svolto un seminario a Rieti solo poche settimane fa che ha sintetizzato le linee di azione che il Pd propone per una nuova fase del governo stesso e quindi rimando integralmente alle conclusioni che Nicola Zingaretti ha svolto in quella occasione.
Sul partito, le considerazioni svolte fin qui, confermano in me quanto sostengo ormai da tre anni.
Si deve aprire un nuovo ciclo del cammino dei Democratici, una terza fase, dopo quella dell’Ulivo e dopo quella del Pd del Lingotto. Due fasi durate non a caso dieci, dodici anni, il tempo di una generazione politica.
La sconfitta del referendum istituzionale alla fine del 2016 aveva già evidenziato questa necessità e posto nei fatti l’esigenza di sviluppare l’esperienza del Pd, attraverso un percorso Costituente, in un nuovo soggetto politico “democratico” ma con una forma relazionale aperta alla società molto più efficace ed osmotica di quanto, nel tempo recente, il Pd non abbia dimostrato di possedere.

L'illusione dei Cinque stelle

La crescita impetuosa del Movimento Cinque Stelle, negli anni passati, era anche in parte la spia di questa esigenza che ha portato migliaia di elettori di sinistra e democratici a scegliere diversi approdi ma la parabola del “Movimento”, la necessita di confrontarsi concretamente col governo reale, unita all’errore di aver scelto all’inizio l’alleanza con la Lega, ha infranto quelle illusioni e pone oggi, agli stessi Cinque Stelle, il tema di una ricollocazione della loro esperienza in una chiave “riformista” come ha recentemente affermato Patuanelli.
Quindi il Pd deve adesso davvero cambiare e ristabilire le condizioni per essere una forza a vocazione maggioritaria anche se il nuovo sistema elettorale dovesse orientarsi in senso proporzionale.

sardine
Io credo, in realtà, che noi non dovremmo abbandonare del tutto l’opzione maggioritaria e presto potremmo accorgerci che essa è ancora valida anche per la stabilità e successo del campo democratico. Ma le due cose non configgono, in realtà, del tutto.
La Lega ha costruito in poco tempo un movimento a vocazione maggioritaria dentro un sistema elettorale proporzionale.

Quali idee? quali valori?

Quel che conta, al di la di tutto, è la politica e cosa si intende rappresentare, con quali idee, con quali valori.
Il prossimo Congresso del Pd offre l’occasione per ragionare su questo e per avviare il progetto di un soggetto politico democratico che interpreti, con una originale e innovativa azione soggettiva, le nuove circostanze e le nuove condizioni che si vanno profilando e che senza la politica rischiano di rifluire o restare inerti.
Ho più volte detto a che tipo di Congresso penso. Un congresso che deve partire da una base solida, un “Documento fondamentale per l’Italia e per l’Europa” che porti a sintesi le nostre più recenti e maturate riflessioni e le consolidi attraverso il contributo di un arco vasto di forze intellettuali e scientifiche, raccolte in una Commissione.
Questo Documento dovrà poi viaggiare in tutta Italia ed essere emendato, integrato, sviluppato attraverso l’apporto della rete delle organizzazioni civiche, politiche e associative che si muovono anche oltre il Pd nei territori, nei luoghi di studio e di lavoro. In questo modo potrà davvero realizzarsi concretamente quella “apertura” che sempre evochiamo ma che non sappiamo come strutturare.

Aprire alle reti partecipative

Ci serve una nuova e più vasta base associativa che guardi a tutti i democratici che si impegnano in reti partecipative più ampie del Pd. Questo mi sembra il passaggio essenziale, anche dal punto di vista giuridico interno, senza il quale non si farà un passo avanti sulla strada della evocata “apertura”.
Come è evidente questa condotta comporta una consapevole messa in discussione delle rendite di posizione maturate da tutti all’interno dell’attuale Pd e l’investimento in un pluralismo di persone, gruppi e idee più ampio e complesso rispetto al quale i gruppi dirigenti consolidati, a tutti i livelli, saranno chiamati a misurarsi sul terreno della proposta politica, uscendo dalla sola dimensione del confronto di corrente.
Non vedo altra strada, onestamente, per riaprire il circuito virtuoso e vitale per la sinistra del rapporto tra intellettuali e popolo: chiamare energie culturali e scientifiche e connetterle in modo caldo e fisico con un nuovo popolo, una nuova generazione che c’è, è davanti a noi e creca spazio.
In questo contesto si inquadra la questione del nome che non è un fatto di superficie o di marketing.
Per me va bene “Democratici”.

Più democrazia, oltre il socialismo

sardineQuesto nome esprime ciò per cui lottiamo in questo mondo e in questa Europa: una nuova civiltà di diritti individuali e collettivi che supera persino la dimensione del “socialismo” che sacrifica o trascura in qualche modo lo spazio della persona singola, nel suo arco valoriale.
Questo mondo chiede più democrazia: economica, sociale. Chiede assai più del “socialismo” e va molto oltre l’idea democratica intesa come metodo borghese.
Questo nome supera l’idea che lo spazio assoluto di sintesi di ciò che la società esprime nelle sue più diverse forme di partecipazione debba avere un carattere verticale, come un tradizionale partito.

Servono un principio ed una modalità “circolare”, come in economia, nella quale si realizzi un mutuo e continuo scambio dall’alto al basso e nel quale le gerarchie e le responsabilità non siano simmetriche ma variabili, a seconda delle condizioni, dei territori e dei temi.
Funzionano cosi le aziende moderne che hanno superato il paradigma della gerarchia verticale e di  un tomismo organizzativo che invece restringe spazi e limita talento e creatività.

Non partito, movimento

In questo senso ho parlato di “movimento democratico”. Anche per sottolineare la inevitabile necessità di navigare in quella liquidità di forme contemporanee che Zygmund Baumann ci ha svelato come chiave della contemporaneità.
Il superamento della parola “partito” cui sono affezionato sancisce il superamento di una modalità, rende percepibile a tutti la possibilità reale di un nuovo inizio che è cosa diversa da una rigenerazione e soprattutto elabora una grande lezione della filosofia politica del Novecento che ha riconosciuto il valore dell’estetica come parte integrante dell’essere.
Sei anche ciò che appari da Heidegger in poi e la politica del Novecento ha costruito la storia anche su questo, talora eccedendo.

Le sardine, e gli altri

Su questa strada potremo incontrare non solo le sardine ma i mille impulsi spontanei e sani che questa fremente società europea e occidentale ci propone oggi e ci proporrà sempre di più nello scorrevole mondo futuro del 5G e della velocità spazio temporale, delle migrazioni e del mescolamento permanente.
Questo credo debba essere il nostro cimento per “aprire”, non “inglobare” e aiutare una nuova generazione che in forme inedite sembra aver ripreso a camminare nella direzione giusta, con la testa aperta al mondo e al futuro.
Lungo questa strada il tempo del sovranismo potrebbe non essere troppo lungo. Dipende anche da noi.


Von der Leyen, cento giorni per il nuovo governo dell'Europa

Ursula von der Leyen e la sua “squadra” hanno ottenuto la fiducia di un’ampia maggioranza del Parlamento europeo con 461 voti favorevoli, 157 contrari e 89 astenuti. Le strane regole del Trattato prevedono che l’elezione del Presidente della Commissione avvenga con la maggioranza assoluta dei membri e il voto di fiducia per l’intera Commissione con la maggioranza assoluta dei votanti. Cosicché il nuovo “governo” dell’Europa ha superato la soglia di 107 voti surclassando i nove voti che avevano consentito alla presidente di essere eletta in luglio e unendo al consenso dei popolari (ivi compresi i parlamentari di Viktor Orban), dei socialisti (con l’astensione della pattuglia francese) e dei liberali la destra polacca e una maggioranza dei pentastellati. Nazionalisti e sinistre radicali hanno votato contro e l’astensione dei verdi si è arricchita di qualche franco tiratore nella maggioranza che UvdL ha definito “travolgente”.

Le correzioni di Ursula

La presidente ha corretto in quattro mesi e mezzo il tiro su questioni politicamente sensibili che rischiavano di alienarle la fiducia di socialisti e liberali come la “protezione del modo di vivere degli europei” o l’attribuzione delle competenze ai commissari indicati da governi con simpatie illiberali o la bocciatura di tre candidati-commissari a cominciare dalla francese Sylvie Goulard.
Nei prossimi cento giorni, la nuova Commissione ha preso l’impegno di mettere sul tavolo del Parlamento europeo e del Consiglio proposte su tre dimensioni che caratterizzeranno la sua azione:

  • Un patto verde europeo (European Green Deal) che comprenda leggi sul clima, la tassa sul Carbonio alle frontiere europee, un piano europeo di investimenti sostenibili, l’economia circolare, la biodiversità e la lotta alle micro-plastiche.
  • Strumenti legali per garantire la piena applicazione del Pilastro Sociale con un salario minimo garantito e uno schema di riassicurazione contro la disoccupazione in particolare giovanile
  • Un meccanismo addizionale per la difesa dello stato di diritto come parte integrante del Quadro Finanziario Pluriennale.

Per quanto riguarda il patto verde europeo, la nuova Commissione dovrà mostrare di avere la forza politica e la determinata indipendenza per contrastare l’ostilità della maggioranza delle imprese europee rappresentate in Business Europe (la “Confindustria” europea) ma anche di alcuni settori sindacali nella lotta alla riduzione delle emissioni al di sopra del 55% entro il 2030, nello sviluppo di un’economia industriale sostenibile e nella progressiva eliminazione dello spreco delle plastiche.

La ripresa del dialogo sociale

Per quanto riguarda la piena applicazione del Pilastro Sociale, la realizzazione di nuove politiche a cominciare dal salario minimo garantito esige la ripresa del dialogo sociale che si è interrotto da tempo e l’apertura di un cantiere europeo sulla democrazia economica.

Per quanto riguarda la difesa dello Stato di diritto, appare evidente che non basta rafforzare i meccanismi di monitoraggio delle violazioni negli Stati membri perché ciò non ha impedito l’adozione di leggi e di misure governative contro l’indipendenza della magistratura o le organizzazioni non governative. Il sostegno che la Commissione europea ha ricevuto nell’emiciclo da parlamentari ungheresi, cechi, rumeni e polacchi rischia di trasformarsi in una forma inaccettabile di restaurazione, dopo il periodo delle riforme avviato dal Parlamento europeo e dalla Commissione Juncker insieme alla campagna avviata dalla società civile con l’iniziativa dei cittadini europei #formyrights.eu.

 

Tre settori essenziali

Last but not least, l’azione della nuova Commissione rischia di essere frenata e poi paralizzata se essa non proporrà al Parlamento europeo una svolta in tre settori essenziali per il futuro dell’Europa:

  • Un bilancio pluriennale dotato di un’autonoma capacità fiscale che garantisca beni comuni europei per tutti i paesi membri dopo il sostanziale fallimento della proposta francese di creare uno strumento finanziario separato per l’Eurozona. Per raggiungere questo risultato il bilancio europeo deve essere fondato su vere risorse proprie e non sui contributi nazionali, essere il frutto di un accordo interistituzionale fra Parlamento e Consiglio che garantisca il rispetto del principio democratico “no taxation without representation” e coprire l’arco di tempo di una legislatura (cinque anni) e non tracimare nella legislatura successiva (sette anni).
  • Una politica mediterranea rinnovata, elemento essenziale della politica estera comune, che rischia di essere sottovalutata o addirittura ignorata da una Commissione alla cui testa (presidente e vicepresidenti esecutivi) ci sono solo esponenti dell’Europa del Nord
  • Un controllo della Conferenza europea sul futuro dell’Europa attraverso un’alleanza fra Commissione e Parlamento per evitare la deriva intergovernativa preconizzata dal “non paper” franco-tedesco che prefigura una sua conclusione con “raccomandazioni al Consiglio europeo che dovrà discuterle e applicarle”.

Futuro

Sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti: questo è il messaggio cardine che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario: il lentius, profundius e soavius. Più lenti invece che più veloci, più in profondità invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo.

Alexander Langer