Dannate del girotondo:
la dura vita tra pappe
pannolini e ninnenanne
Proviamo a pensare all’insieme degli asili come alla camera gestazionale delle future generazioni o come a una gigantesca sala parto nella quale, più o meno fino a sei anni, i nostri cuccioli, che in quel percorso diventano piccole donne e piccoli uomini, si preparano a uscire nel mondo, si preparano alla vita, alle sfide della formazione scolastica e dell’educazione sentimentale, alle trappole e alle difficoltà di cui è disseminato il percorso della socialità, all’età adulta e alle sue complessità. Se le più grandi scuole di pensiero della puericultura c’hanno preso, e non abbiamo dubbi che sia così, l’uomo e la donna che siamo diventati ha subito un’impronta indelebile in quei primi sei anni di vita. Ora, mentre questo concetto si dissolve, fissiamo l’attenzione sulla quota di pil postato, nelle manovre finanziarie degli ultimi vent’anni, su asili nido e scuole materne. Paura? Be’, diciamo che basta dare uno sguardo all’ultimo rapporto Istat dedicato al tema per scoprire che i posti disponibili nei nostri giardini d’infanzia coprono il 24 per cento della domanda – e meno male che siamo un Paese a natalità zero – laddove la quota fissata dall’Ue per promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro sarebbe del 33 per cento. Tralasciamo, in questa sede, le enormi differenze tra Nord e Sud e tra regione e regione, ma comunque l’idea generale che uno si fa, scorrendo gli ultimi dati, è che se non ci fossero le educatrici, le maestre e le operatrici, con la loro granitica professionalità e il loro senso di responsabilità senza pari, l’Italia under 3, tanto per cambiare, sarebbe al collasso. Da neo padre spero presto di poterci rientrare, in questi luoghi di passaggio destinati a imprimersi nella memoria di tutti noi, per lasciarci ogni mattina, dal primo settembre, mia figlia di 5 mesi. La verità è che siamo in lista di attesa. Nessuno dei sei asili nido opzionati, tre comunali e tre privati convenzionati, nel mio quartiere, a Roma, a pochi chilometri dal Colosseo, pe ora ha una culletta per noi.
Ora facciamo un gioco e proviamo, visto che si parla di bimbi, a farci un giro nel Paese delle meraviglie. Un paese in cui il nuovo governo appena eletto decide che il lavoro femminile è in cima alle sue priorità. Ma per davvero questa volta. Così, nella prima finanziaria che gli capita sotto tiro, decide di stanziare risorse su asili nido e scuole materne che neanche la Svezia, la Danimarca e la Francia messe insieme. I posti a disposizione di colpo si moltiplicano per dieci. Le rette si dimezzano. Il personale raggiunge un livello tale da assicurare un rapporto di uno a due tra operatrici e bambino. Capite? Una lavoratrice per due bambini. L’alternanza di mansioni e riposi è tale che le malattie professionali, dalla schiena a pezzi allo stress, scompaiono. Gli orari si allungano e, come per magia, i bimbi non escono più alle 16:30, costringendoti a un triathlon olimpionico per non innervosire colleghi e capufficio e arrivare in tempo al suono della campanella, ma possono restare all’asilo fino all’ora in cui i genitori, o almeno uno di loro, finiscono il turno. Le mamme tornano a lavorare, e il pil, come sempre quando aumenta l’occupazione femminile, ringrazia quel governo illuminato con una considerevole impennata. E a impennarsi sono pure le nascite, restituendo a questo paese, mettiamo conto che fosse il nostro Paese, adesso demograficamente simile a un malato terminale, ossigeno, gioventù, vitalità, speranza e una nuova, ulteriore iniezione di pil.
Vi ho ipnotizzato abbastanza? Adesso aprite gli occhi e toglietevi quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia. Parlo a voi, neo genitori sognanti, anzi, parlo a tutti. Adesso vi racconto una storia. Stavolta però è una storia vera e non vi piacerà così tanto. Nessun “c’era una volta”, nessun lieto fine, mettete a letto i bambini, perché questa, signori, è una storia di duro lavoro. Ma non è ambientata in fonderia, nossignore. È ambientata tra le pareti colorate e piene di specchi e disegni di uno qualsiasi di questi luoghi dai nomi buffi, dove tutto, dalle sedie ai tavolini, dai materassini ai lettini, dalle posate ai bicchieri, è a misura di bimbo e ammantato di magia. È in questo sfondo da favola che si consumano gli incubi. Anzi, facciamo così, lo lascio raccontare a Emma, per 27 anni educatrice in un asilo nido, finché, nel 2007, il medico competente non ha tradotto il suo fortissimo e cronico mal di schiena in una tecnopatia lombo sacrale. Risultato? Inidoneità lavorativa e cambio immediato di mansione. Oggi Emma lavora al Comune di Venezia, ma è anche responsabile dei lavoratori per la sicurezza nelle file della Funzione Pubblica Cgil. Ripercorrendo il solco tracciato dalla sua personale vicenda in questi ultimi 12 anni, aiuta le sue vecchie colleghe e le nuove maestre a ottenere il riconoscimento delle malattie professionali, un traguardo che senza il lavoro prezioso del sindacato e del patronato Inca Cgil, sarebbe stato irraggiungibile. E ci assicura che mettendo insieme i certificati medici e le storie di esami e analisi e visite delle persone che assiste, il quadro d’insieme è duro da digerire: ‘ti garantisco, mi dice, che queste lavoratrici sono state letteralmente massacrate dalla quotidianità del lavoro’. Già perché lontani dal Paese delle meraviglie di cui sopra, le finanziarie non hanno fatto altro che tagliare risorse, lasciando le operatrici a un quotidiano 6 o 8 contro una, sei o otto bambini per una sola lavoratrice, che le ha letteralmente asfaltate.
Avete mai provato a tenere in braccio un neonato che pesa 7-8 chili per un’ora? E avete mai provato a stare per un’ora in ginocchio, intrattenendo il bimbo con pupazzi e passatempi di ogni tipo? O a cantargli canzoncine, a parlargli modulando la voce, rendendola di volta in volta squillante o più dolce per catturare la sua attenzione? A calmarlo quando urla disperato? Magari lo avrete fatto da genitori e qui l’amore e l’entusiasmo forse vi avranno reso più lieve il carico di peso e responsabilità di cui quel fagotto è portatore. Se lo avete fatto – e mi rivolgo soprattutto ai padri che, nella maggior parte dei casi, avranno indossato quelle vesti nel breve intervallo tra il ritorno dal lavoro e l’ora della nanna – sapete comunque a cosa mi riferisco. In ogni caso, chi sa di cosa parlo e anche chi non lo sa può farselo spiegare dagli operatori del settore – sarebbe più corretto dire operatrici, viste le proporzioni bulgare con le quali le donne sopravanzano gli uomini in questa area professionale –, per le quali queste situazioni sono un menù fisso, il pane quotidiano. Tra pianti disperati, risate incontenibili, bisogno di attenzioni, rifiuto del cibo e chi più ne ha più ne metta, il lavoro delle educatrici è tanto delicato e decisivo, quanto, incontestabilmente, duro. E allora questo è un pezzo, diciamolo apertamente, dedicato alle donne e alla straordinaria tempra con cui svolgono il lavoro di cura, che siano mamme o lavoratrici del servizio pubblico, ma anche ai tanti padri che sottovalutano il gravoso compito e ai tanti uomini che davanti a una maestra d’asilo che elenca le difficoltà del suo lavoro sogghignano tronfi dalla loro scrivania o dal loro muletto, pensando che il duro lavoro è altro. Magari, leggendo i risultati di una ricerca appena presentata da Inca, Funzione pubblica Cgil e Fondazione Di Vittorio, qualcosa possono impararla.
Il titolo dell’indagine, Abbi cura di te, non lascia spazio a dubbi, più che un titolo è un consiglio. L’obiettivo è quello di elaborare dei percorsi di tutela, a livello individuale e collettivo, rivolgendo le opportune sollecitazioni anche ai sistemi di prevenzione aziendali e istituzionali. Con una premessa, che il lavoro negli asili nido e nelle scuole materne, pur nella complessità e nelle difficoltà, resta un lavoro gratificante e ricco di soddisfazioni “e, si legge nelle conclusioni del report, nonostante le difficili condizioni di lavoro, non stupisce che la maggior parte delle operatrici si ritenga soddisfatta di potere svolgere queste professioni”.
I numeri li lascio a voi, il riassunto potete cercarvelo su inca.it o su fpcgil.it. Mi basta elencarvi i disturbi e le criticità all’ordine del giorno per darvi un assaggio di questa realtà. Un dato però posso anche darvelo: il 25,6 per cento ha avuto un infortunio sul lavoro nell’arco della propria storia professionale. Un dato che tende a crescere, ovviamente, con l’età e – quindi – con l’anzianità lavorativa. Dai risultati emerge chiaramente una presenza diffusa e diversificata di disturbi fisici, che descrivono una situazione professionale in cui possono presentarsi soprattutto problemi alla schiena e alle spalle, dolori a braccia, polsi e mani, disturbi al collo, alle ginocchia o alle gambe. Manca qualcosa? Certo, tanta fatica non può passare inosservata davanti all’aspetto psicologico della questione. E allora leggiamo di ansia dovuta al carico di lavoro, percepito come più pressante al crescere dell’età; alla difficoltà di conciliare il tempo di vita e quello professionale; all’ambiente fisico di lavoro; alle complessità da risolvere. E poi riduzione dell’energia, disturbi del sonno, stati di maggiore tensione e di fatica profonda. Per non parlare del rapporto conflittuale che – questo non manca mai nei lavoratori dei servizi – a volte si ingenera con il pubblico, in questo caso genitori e nonni.
Fanno le maestre, eppure, a leggere l’elenco dei malanni sembra di avere a che fare con degli operai. Per questo, ci assicura Emma, ‘il lavoro portato avanti dal sindacato e adesso raccolto nell’indagine è a dir poco rivoluzionario’. Un lavoro che accende un grande faro su un settorecompletamente dimenticato. Eppure così importante per l’intera comunità e per ogni singola famiglia. Non trovate? Certo, direbbe qualcuno, andiamo, sono solo asili, qui non si parla di politica industriale, di investimenti strategici nella produzione o nell’estrazione di materie prime. Non c’è l’automobile del futuro da progettare, né ci sono cantieri da sbloccare. No, certo, mi verrebbe da rispondere, tutto sommato, alla fine di questa catena di montaggio quotidiano, culla, imbocca, gioca, canta, cambia il pannolino, tira su, metti giù, lava le manine e giro girotondo, escono fuori soltanto degli esseri umani, escono fuori soltanto i nostri figli.
Giorgio Sbordoni, RadioArticolo1
https://www.radioarticolo1.it/audio/2019/05/09/40459/un-nido-di-rischi
https://www.radioarticolo1.it/audio/2019/05/7/40422/abbi-cura-di-te
E potete ascoltare, oggi alle ore 15:00, la puntata di Lavoro Pubblico