A Sanremo non c'è solo Sanremo. Chi si ricorda del Club Tenco?
Il Festival della Canzone Italiana era il festival della canzone italiana. Oltre a Monsieur de Lapalisse continuò a dirlo per molti anni il Regolamento, dalla prima edizione in poi. In gara erano le canzoni, non i cantanti. Al punto che per qualche anno a cantare nel Salone delle Feste del Casinò di Sanremo fu un numero ristretto di interpreti (nel 1951 Nilla Pizzi, Achille Togliani, il Duo Fasano) con una funzione di servizio: far ascoltare i brani al pubblico e alla giuria. Al termine di ogni presentazione Nunzio Filogamo citava gli autori della canzone e – cosa inaudita in seguito – l’editore, in modo che il pubblico, e soprattutto il mondo delle orchestre da ballo e da night-club, potesse rintracciare più facilmente lo spartito. Il premio per le prime tre canzoni classificate era di entrare nel repertorio delle orchestre della RAI.

Era la continuazione di un modello dell’industria della canzone che vedeva gli autori professionisti e gli editori al vertice, gli spartiti, la radio e lo spettacolo dal vivo come principali veicoli di diffusione, e la discografia come elemento aggiunto, quasi accessorio. Era il modello italiano, ufficializzato dall’EIAR nel ventennio fascista, ma anche il modello di Tin Pan Alley e dell’industria musicale internazionale.
Gli anni Trenta, dopo la grande crisi, e i Quaranta, con la guerra mondiale, avevano ridotto le vendite dei dischi quasi a zero. Negli Stati Uniti la discografia aveva avviato la riscossa, nel dopoguerra, con il lancio dei dischi microsolco, ma se ne sarebbero visti i risultati solo dopo il 1955, con l’esplosione del rock’n’roll. Sanremo nasce nel 1951: non si può rimproverare a chi lo progettò di non aver saputo immaginare il futuro.
In gara canzoni o interpreti?
Eppure, quasi subito gli interpreti si impadronirono della ribalta: ancora oggi quando si parla delle due prime edizioni si dice che furono vinte da Nilla Pizzi, anche se i puntigliosi ricordano che le vincitrici furono “Grazie dei fiori” e “Vola colomba”, entrambe cantate da Nilla Pizzi. Il Regolamento stabiliva che in concorso c’erano le canzoni, ma i discorsi si accentravano sempre più sulle signore o regine della canzone italiana, sul reuccio Claudio Villa, su cantanti la cui vita professionale girava intorno a Sanremo (e spesso soltanto lì).
Nel frattempo, il Festival diventava sempre più una vetrina per le versioni discografiche delle canzoni partecipanti: il successo internazionale di “Nel blu dipinto di blu” e del suo co-autore, Domenico Modugno, rappresenta una svolta anche in questo senso, non meno della vittoria mancata di “Una lacrima sul viso” di Mogol e Bobby Solo, che nel 1964, in finale, presentò la canzone in playback a causa di una perdita di voce. La canzone fu squalificata (a termini di Regolamento, che prevedeva l’interpretazione dal vivo), ma il fatto che il pubblico l’avesse ascoltata con il suono del disco contribuì a un enorme successo di vendite.
Gli interpreti e la qualità specifica del suono (vocalità, arrangiamento, sound) presero rapidamente il sopravvento sull’idea di una canzone astratta, scarnificata, difficile da giudicare senza la sua “polpa” concreta, sonora. Già da un po’ gli interpreti erano diventati due per ogni canzone, poi erano entrati in gioco gli stranieri; eppure, il Regolamento continuava a essere (più o meno) lo stesso, stabilendo un confine netto – e logico, bisogna dire – fra la canzone come unione di testo e musica e la sua interpretazione.
Il conflitto fra la lettera del Regolamento e il senso comune (dei media e del pubblico) a volte si manifestò in diretta televisiva, come quando il pubblico in sala rumoreggiò per i voti scarsi attribuiti dalla “giuria di qualità” a una canzone forse debole sulla carta ma interpretata in modo eccellente – “Forever (per sempre)”, cantata da Marcella e Gianni Bella, 2007 – e a un membro della giuria (Alba Parietti) toccò ricordare che la gara riguardava le canzoni, non le interpretazioni: “Il voto è alla canzone che sentiamo. Non all’artista.” Fischi del pubblico.
Cover e non, un regolamento che cambia
La contraddizione non poteva durare troppo a lungo. Il Regolamento dell’edizione appena conclusa (lo si può consultare sul sito della RAI) la affronta e (forse) la risolve in modo creativo. Stabilisce che “Sanremo 2022 prevede: A) una gara (di seguito anche ‘competizione’) in categoria unica, tra 25 canzoni – nuove ai sensi del presente Regolamento – interpretate da 25 Artisti (di seguito anche complessivamente ‘canzoni/Artisti’). B) una Serata-evento (la Quarta Serata), nel corso della quale gli Artisti in gara interpreteranno ognuno una canzone edita (o ‘Cover’) – da loro individuata in accordo con il Direttore Artistico e con RAI-Direzione di Rai Uno – tratta dal repertorio italiano ed internazionale degli anni ’60, ’70 e ’80. Potranno essere scelte canzoni la cui pubblicazione è compresa tra il 1° gennaio del 1960 e il 31 dicembre del 1999. Le interpretazioni in Serata faranno parte integrante della gara.”
Che tipo di ente sia una “canzone/Artista” non è facile da descrivere: si può immaginare che i legali della RAI ci si siano impegnati parecchio. Cosa vuol dire quella barra obliqua? L’applicazione del Regolamento che emerge dallo svolgimento del Festival 2022 suggerisce che si tratti di un operatore logico, “e/o”. In gara, dunque, ci sono le canzoni, ma anche i cantanti, oppure i cantanti, ma non le canzoni: nella serata delle cover sono in gara i cantanti (non potrebbero esserlo le canzoni, perché sono già edite, e alcune peraltro non sono italiane), nelle altre serate sono in gara sia i cantanti sia le canzoni; i voti attribuiti vengono mischiati. Mele con pere, come ci viene insegnato a scuola, ma è indubbio che al fondo ci sia il tentativo commendevole di risolvere una dicotomia storica.
Tra Fantasanremo e Club Tenco
Resta il fatto che in questo modo il Festival della Canzone Italiana si trasforma, almeno in parte, nel Festival delle interpretazioni di famose canzoni italiane e internazionali, il cui peso nel risultato finale è stato evidente. Per di più, il paragrafo sulle cover risulta carente, perché non pone limiti (se non cronologici) alla scelta delle canzoni, permettendo fenomeni come le auto-cover: la Bertè che canta “Sei bellissima” (uno dei suoi maggiori successi), sia pure insieme (si fa per dire) a un Artista concorrente, o Gianni Morandi che canta due canzoni di Jovanotti, mentre Jovanotti (presente sul palco insieme a lui) canta due canzoni di Morandi, ed è davvero difficile non cadere nel tranello di pensare che Morandi stia cantando, in quanto cover, due proprie canzoni fra le più note (il titolo dato alla somma dei brani, “Medley”, rivela l’imbarazzo). E se le Vibrazioni fossero state “accompagnate” da Paul McCartney? O Dargen D’Amico da Patty Pravo? O Rkomi da Vasco Rossi? O Noemi da Carole King? Eccetera…
A questa vaga, spiazzante confusione (post-Covid, si direbbe) si aggiunge l’effetto del Fantasanremo, e l’intrusione di appelli verbali (“papalina”, “ciao zia Mara”) e gesti almeno inizialmente inspiegabili per la maggior parte degli spettatori. Niente di male, in sé, in un clima di bisogno di trasgressione e di prorompente entusiasmo legato a una – speriamo fondata – rapida conclusione della pandemia e delle relative proibizioni. Non c’è proprio bisogno di avere nostalgia di Nunzio Filogamo, di Nilla Pizzi, degli autori di canzoni emersi dal Ventennio, delle casette in Canadà, e nemmeno dei blu dipinti di blu. Però sarebbe utile ricordarsi che proprio lì, nel Teatro Ariston di Sanremo, in un altro momento dell’anno, salgono sul palcoscenico cantanti e autori/autrici di canzoni, che non devono avvicendarsi ogni quattro minuti, che non si giocano tutto con una sola canzone, che non devono essere giudicati e messi in gara, perché sono lì a presentare un lavoro che è già stato conosciuto e magari anche premiato. È la Rassegna della canzone d’autore del Club Tenco. Qualcuno pensa che non serva più?