Diritto alla casa

Sfratti, occupazioni, sgomberi e fragilità sociali: Roma e il diritto negato all'abitare

Gianni per il momento è salvo, è stato nominato custode dello scantinato di proprietà comunale che occupa dal 1978 e lo sfratto esecutivo è rinviato, ha 80 anni e vi abita con la moglie. Se ne riparla fra sei mesi, quell’occupazione di 40 anni fa gli è costata una condanna penale contraddittoria fin nelle parole della sentenza: lo scantinato, infatti, non è destinato a uso abitativo ma per il giudice l’occupazione abusiva ha danneggiato chi è in attesa di un alloggio sociale. A Roma, in via Carlo Felice l’immobile è occupato da 24 famiglie, circa 90 persone. Si sta trattando, grazie all’impegno dell’assessore regionale Massimiliano Valeriani che vorrebbe mettere a punto un modello che eviti di lasciare la gente per strada: proprietà, comune, regione, dovrebbero mettere ciascuno alcuni alloggi del patrimonio disponibile per dare ricovero temporaneo agli occupanti del palazzo di Banca d’Italia, una occupazione vecchia di 14 anni. L’80 per cento degli occupanti ha diritto alla casa popolare, un diritto certificato dalla domanda accolta. Le assegnazioni, però, vanno a rilento, a Roma 500 l’anno a fronte di 12mila in lista di attesa. Un numero insufficiente ma il dato è migliore rispetto a qualche anno fa.

Nelle occupazioni si sommano fragilità diverse, L. che sta lì con la figlia ha il marito in carcere, R. è una bellissima persona, un poeta, ma ha problemi con l’alcol, F. è disoccupato. Poi ci sono i separati, italiani e immigrati, che hanno lasciato a moglie e figli la casa e non riescono a pagare un’altra pigione. E gli sfrattati: si calcola che circa il 40 per cento delle morosità incolpevoli finiscano nelle occupazioni. Non tutte le occupazioni sono uguali, in alcune si accumula disperazione, in altre si organizza la progettualità. L’esempio progettuale più famoso a Roma è quello di Santa Croce, un enorme palazzo dell’Inpdap (ora Inps), 130 nuclei familiari, roba da far tremare le vene ai polsi ma c’è la sorveglianza fatta dagli stessi abitanti, i turni per le pulizie, lo sportello dei medici senza camice, le vaccinazioni, lo sportello della tutela sociale, la distribuzione dei pacchi alimentari ai poveri, soprattutto c’è Spin time labs: l’attività culturale nell’auditorium, gli street artist, i concerti, la redazione di Scomodo, la scuola popolare e doposcuola, c’è l’osteria e c’è il birrificio, la biblioteca e la palestra. È allo studio un progetto di rigenerazione, dare casa senza consumare suolo, dell’università Roma Tre e il coinvolgimento degli abitanti.

La stretta di Salvini sugli sgomberi plana su realtà diverse, su domande diverse di diritto all’abitare. Ma, se in alcune realtà si esprime progettualità, cassa comune per le utenze, fondo extra per le riparazioni, apertura al quartiere con le attività culturali, e in altre c’è tanta problematicità, come nella baraccopoli della ex fabbrica di penicillina - sulla via Tiburtina - l’umanità che incontri, migranti o autoctoni, è un’umanità in difficoltà vera, ovunque.

Un’emergenza che dura da quasi vent’anni, dice l’architetto Enrico Puccini, che è un appassionato specialista in materia (vedi osservatoriocasa.com) non è emergenza sociale ma emergenza politica e amministrativa.

Emiliano Monteverde, assessore al sociale del Municipio I  riflette sull’ambiguità delle campagne di sgombero: “Si gioca sull’equivoco, quelli di cui stiamo parlando non sono immobili residenziali, mentre si deve essere rigorosi con chi occupa senza titolo una casa residenziale del patrimonio pubblico, in questi casi si tratta di trovare una soluzione”. Ci sono stati casi di assegnazione della casa popolare per gli occupanti che hanno trovato nell’appartamento assegnato degli abusivi. Noto quello di una signora molto anziana proveniente da un’occupazione che, ottenuta la casa popolare, ha fatto arrestare gli abusivi trovati a casa sua.

Emiliano Guarnieri, del Sunia Roma, mette in evidenza un’altra ambiguità: “A Roma ci sono 7mila sfratti esecutivi l’anno - 10mila gli sfratti esecutivi pendenti - e la componente di gran lunga più numerosa deriva da morosità incolpevole: una malattia, la morte di un coniuge, la perdita del lavoro, sono tutti fattori che possono far precipitare la situazione di una famiglia che precedentemente non stava male”.

Se si raffrontano i dati italiani con quelli di altri paesi europei si vedrà che in Germania, ad esempio, la percentuale di case agevolate è superiore. Ma in questi paesi, spiega Guarnieri, nel calcolo c’è anche l’housing sociale che da noi non riesce a decollare. “Una volta questo segmento degli affitti a prezzi calmierati era coperto dagli immobili degli Enti e delle Casse. Con le cartolarizzazioni questa copertura è sostanzialmente venuto meno”. Un deficit che impedisce di prevenire gli sfratti e quindi le occupazioni.
Il paradosso, spiega Enrico Puccini, è che in teoria ci sono gli immobili e ci sono abbastanza soldi (non quanto necessario ma non si riesce a spendere nemmeno quello che c’è) per affrontare i numeri non elevatissimi del disagio abitativo. Ma una serie di rigidità legislative e burocratiche impedisce di mettere insieme i pezzi del puzzle. Sono 71mila gli immobili Erp (edilizia residenziale popolare) a Roma fra proprietà Ater e Campidoglio, può sembrare poco rispetto al patrimonio immobiliare complessivo della città ma si tratta di quasi un terzo del mercato degli affitti, 250mila circa. Purtroppo una parte del patrimonio delle case popolari – 15mila circa - è occupato da abusivi e, soprattutto, da decaduti: persone che per reddito non avrebbero più diritto alla casa popolare.

Un segnale della volontà di aggredire il fenomeno degli abusivi è dato dall’inchiesta della magistratura che ha portato all’arresto di sei persone che prendevano mazzette nel mercato illegale di abitazioni e negozi, un’inchiesta partita nel 2015 su impulso dell’assessora Francesca Danese della giunta Marino.

Più complesso il fenomeno dei decaduti, la maggior parte di coloro che abitano senza diritto nelle case popolari. A sfrattarli si aggraverebbe il problema sociale. Soprattutto, l’Ater ha concordato con loro un canone maggiorato. Questo canone costituisce il 48 per cento del bilancio dell’ente che è un ente economico e di cui sono note le difficoltà finanziarie, determinate soprattutto dal fatto che deve pagare l’Imu come multiproprietario al comune di Roma per immobili che affitta a 7 euro al mese. In che modo un ente che ha come finalità sociale quella di dare un tetto a chi non se lo può permettere possa essere un ente economico è questione che andrebbe studiata a fondo, forse anche, pensano al Sunia, riconoscendogli la funzione di una quota di affitti calmierati da housing sociale, per prevenire anziché rimediare la caduta all’inferno che comporta la morosità, lo sfratto, la perdita della casa.

Restando al tema degli immobili popolari, l’altro problema è la loro dimensione. La gran parte degli immobili edificati secondo la legge 167 rispecchia lo standard degli anni settanta di 5,5 componenti. Oggi la media è di 2,2 componenti per nucleo familiare. Se si ristrutturassero le abitazioni con un programma di frazionamenti, la disponibilità di alloggi raddoppierebbe e, fra l’altro, si eviterebbero episodi di guerra fra poveri. Recentemente a Corviale è stato assegnato un appartamento a una numerosa famiglia rom. C’è stato un levarsi di grida tipiche dei tempi che viviamo: “Date le case prima a loro che a noi”. Ma non è vero, semplicemente la legge non consente di assegnare a un pensionato solo o a una mamma single un appartamento sovradimensionato.

Veniamo alla questione dei soldi, nel 2015 la regione Lazio vara una legge per le politiche abitative a Roma, finanziata con 197 milioni di cui 40 sono la prima tranche. Soldi che il Campidoglio a 5stelle rispedisce al mittente perché considera il provvedimento illegittimo, in quanto fra i beneficiari ci sono gli occupanti dei movimenti per la casa (ma solo quelli che hanno fatto domanda e sono in graduatoria per le assegnazioni, circa l’80 per cento), ci sono 14 milioni risparmiati dalla dismissione dei residence durante la giunta Marino, 12 milioni da delibera comunale, 47 milioni per i frazionamenti nel patrimonio Erp in base alla legge Lupi del 2014. Ci sono anche una serie di sussidi per la morosità incolpevole o buoni casa ma i sussidi sono erogati da dipartimenti diversi del comune di Roma che fra loro non comunicano, sono rigidi e spesso non cumulabili. Queste rigidità non aiutano a risolvere i problemi concreti. Per esempio, la sacrosanta dismissione dei residence, che costano con le utenze circa 2mila euro al mese per nucleo familiare, è ostacolata dalle rigidità delle leggi per l’erogazione dei sussidi: i piccoli proprietari privati non si fidano a dare in affitto a chi esce dai residence, nonostante il vantaggio che potrebbe derivare dalla redistribuzione del reddito dai grandi immobiliaristi proprietari dei residence ai piccoli. Chi pagherà, infatti, il condominio, le utenze o l’avvocato se i patti non vengono rispettati?

Di qui la convinzione di Enrico Puccini che l’emergenza è politica e amministrativa visto che i numeri del disagio abitativo sono costanti e stabili da molti anni. L’ipotesi a cui diversi soggetti, dalla Regione Lazio ai sindacati degli inquilini, lavorano, è quella di uno sportello unico che possa modulare gli interventi sulle necessità diverse che scaturiscono da diverse fragilità.