Corsa ai consumi
nel Pianeta Povero

Io, Crab e Hally ci occupavamo della zona nord della città, North Belfast, una delle aree più povere, e quindi per noi c’era sempre un sacco di lavoro. Eravamo brillantemente ecumenici e saccheggiavamo i quartieri protestanti con lo stesso slancio e lo stesso garbo con cui depredavamo i quartieri cattolici. Del resto, non c’era alcuna differenza. Ovunque gli stessi abissi di povertà. Avrebbero anche potuto dipingere le case a tonalità vivaci e sventolare bandiere multicolori, ma non sarebbero mai riusciti a finire di pagare le rate e noi saremmo implacabilmente arrivati a portarci via la loro roba.

Era la Terra dei Poveri, dove la realtà è peggiore di un incubo, dove i bambini di sei anni sniffano colla in un vicolo di Taughmonagh, cadono tramortiti a faccia in giù in una pozzanghera, morendo così, in due dita d’acqua, naso e gola intasati.

Non mi sorprendeva che comprassero tutta quella roba che non potevano permettersi. L’avrei fatto anch’io. Vado in giro per negozi soltanto quando non ho un soldo. Fare acquisti è l’unico modo per dimenticare che non si hanno i soldi per comprare niente.

Ed era roba così desolante. Dozzinale, scadente, da catalogo per corrispondenza, da poveracci. C’erano delle giornate in cui il nostro furgoncino sembrava la bancarella di uno straccivendolo al mercato delle pulci. Non riuscivo a credere che qualcuno avrebbe desiderato riavere indietro quella spazzatura. Invece ogni tanto succedeva, e noi gliela riportavamo.

Ai vecchi, ai giovani, a quelli che non erano né giovani né vecchi, a tutti leggevo in faccia la stessa cosa: stavano come mi sentivo io quando andavo lì, profondamente, incredibilmente male. Vivevano nel pianeta della miseria e respiravano il clima della povertà giorno dopo giorno, dalla mattina alla sera.

Ma continuavano a comperare: ovvio. Volevano affermare i propri diritti di consumatori, annegare nei beni di consumo. Avendo commesso il crimine di desiderare ciò che non potevano avere, non alzavano nemmeno la testa quando arrivavamo noi. Non avevo toccato nessuno da quando avevo cominciato a fare quel lavoro: non ce n’era stato bisogno. Erano già stati conciati per le feste.

(Robert McLiam Wilson, “Eureka Street”, 1996)