Stadio San Siro, abbatterlo o salvarlo?
Milano fischi la fine di un derby inutile
Lo stadio di San Siro, il celeberrimo “Meazza” di Milan e Inter, lo si potrebbe demolire. E' vero che gli ultimi progetti presentati nelle fantasie di scintillanti rendering ne prevedono il salvataggio, tagliandolo per tre quarti, abbassandolo, affondandole dentro ondulazioni artificiali, eccetera eccetera, ma il ministero dei beni culturali, attraverso la competente commissione lombarda, rispondendo al comune di Milano, cioè al sindaco Sala (lettera del 13 novembre scorso), ha comunicato che si può andare oltre quei camuffamenti, oltre le promesse di conservazione: non è proibito muovere le ruspe.
Il senso di un vero interesse culturale
Secondo i valenti arbitri, San Siro “non presenta interesse culturale e come tale è escluso dalle disposizioni di tutela”. Leggiamo il comunicato ufficiale in cui si spiega che “le persistenze dello stadio originario del 1925-’26 e dell’ampliamento del 1937-’39 risultano del tutto residuali rispetto ai successivi interventi di adeguamento e ampliamento, realizzati nella seconda metà del Novecento e pertanto non sottoposti alle disposizioni, perché non risalenti ad oltre settanta anni”. Precisando che “le stratificazioni, gli adeguamenti e ampliamenti fanno dello stadio un’opera connotata dagli interventi del 1953-’55, oltre a quelli del 1989-’90, nonché dalle opere successive al Duemila, ovvero un’architettura soggetta a una continua trasformazione in base alle esigenze legate alla pubblica fruizione e sicurezza e ai diversi adeguamenti normativi propri della destinazione ad arena calcistica e di pubblico spettacolo”.
Cioè c'era una volta uno stadio, eretto alla metà degli anni venti. Poi per vari motivi (pubblico, sicurezza) ne sono cresciuti altri uno sopra l'altro e l'originalità dell'opera è andata persa. Ciò che risulta alla fine non ha dunque l'età sufficiente per meritare una salvaguardia. Sarà pure come dicono gli esperti. Lo stadio è una sovrapposizione di stadi e di anelli, l'ultimo collocato per i mondiali del 1990, l'anello che ne fissa la fisionomia, segno architettonico fortissimo grazie alle gigantesche travi rosse che lo sostengono e che sporgono oltre l'ovale... Ma concludere che valore storico San Siro non ha e proprio per colpa di quelle sovrapposizioni di manufatti, di stili e di tecniche pare per lo meno discutibile. Lo sguardo degli esperti sembra molto burocratico, lontano dalla sensibilità calcistica della città, sensibilità che merita rispetto, in ragione di quanto in un secolo si è vissuto sul rettangolo verde e sui gradoni delle tribune e delle curve: fior di campioni, scudetti, coppe internazionali, spettatori d'ogni lato del mondo.
Ma è uno sguardo lontano anche dalla natura dell'architettura, che è evoluzione, contaminazione, rielaborazione, antica o moderna, scrittura e riscrittura, e settant'anni non valgono una garanzia di qualità.
E spuntò l'ipotesi di un centro commerciale
Il primo attentato al Meazza risale a un anno fa, ben lontani ancora dal coronavirus, quando Milan e Inter presentano i loro progetti (formulati da due gruppi americani, Populous e Manica) che prevedono accanto alla modernista cattedrale del calcio (in uno lo stadio appare come una citazione del Duomo, nell'altro come anelli che si intersecano) il solito centro commerciale, strutture di svago, piazze verdi, percorsi pedonali e ciclabili, eccetera eccetera, secondo un repertorio abituale, condannando San Siro alla sorte peggiore. Un colpo a sorpresa, a freddo. Perchè? Milan e Inter godono di una posizione di duopolio naturale: gestiscono il “mercato del tifo calcistico” al di fuori di qualunque tipo di concorrenza e manifestano chiaramente la volontà di raggiungere accordi reciproci proponendo di costruire una struttura condivisa, per gestire un patrimonio edilizio comune senza alcuna attinenza con il “tifo calcistico”. Il tifo calcistico è l’originario “di cui”, indispensabile alla sopravvivenza economica delle due società.
Le proteste dei vari comitati di quartiere sono subito assai rumorose, tutti concordi nell'affossare l'operazione etichettandola come “speculazione edilizia”. Che di speculazione edilizia si tratti non c'è dubbio: Inter e Milan, di proprietà l'Inter di un'impresa cinese e del fondo Lion Rock Capital, il Milan del fondo Elliott, dovendosi inventare di tutto per racimolare milioni, escogitano il piano più semplice, una operazione immobiliare (magari rivendendo il progetto appena approvato ad un'altra società, come Hines, proprietaria lì a due passi dei terreni dell'ex ippodromo, proprio a fianco dello stadio), ricorrendo pure ad un palese ricatto nei confronti del sindaco Sala: se non si fa qui lo stadio nuovo, andremo a costruirlo a Sesto San Giovanni (ex aree Falck). Lasciando il Comune, proprietario del Meazza, con il cerino in mano, cioè con una sorta di monumento di cui, senza il calcio, non saprebbe che fare.
La battaglia incomprensibile tra vecchio e nuovo
S'alzano a commentare anche i competenti di sport e di questioni economiche: il Meazza sarebbe un impianto obsoleto, ben poco funzionale rispetto alle esigenze del pallone (del business e del pubblico), e spazio sprecato da un punto di vista commerciale. Sostengono i competenti che costruirne uno nuovo costerebbe molto meno della ristrutturazione del vecchio. D'altra parte uno stadio da 85 mila spettatori non ha molto senso quando la frequenza media non vale neppure la metà e di fronte all'onnipresenza televisiva. La speculazione? Certo, ma anche questa è una sfida per chi governa: come scongiurare cioè colossali performance finanziarie a spese della collettività, come controllare lo sviluppo della città, come concedere al privato senza compromettere l’interesse pubblico (il “privato” esiste e non lo si esorcizza con gli slogan).
Il sindaco, dopo giustificati tentennamenti, s'orienta per il recupero comunque del Meazza. Si tratta, sicuramente sui vari indici di edificabilità (quindi su volumetrie, funzioni, spazi verdi) e, dopo mesi, si giunge ad un compromesso: le due proposte lasciano in piedi il Meazza, in coabitazione qualche metro più in là con il nuovo “tempio del calcio”. Non si riesce a immaginare quanto il parere della commissione regionale per la tutela dei beni culturali possa intralciare la strada che amministrazione pubblica e società hanno imboccato. Perchè riaprire un contenzioso che pareva ormai sedato. Ammesso che a mettere i bastoni tra le ruote non siano invece il coronavirus, la crisi, pure lo stop al calcio, che non sa come programmare il proprio futuro.
Premesso questo, colpisce la parzialità del dibattito, fisso attorno all'alternativa stadio nuovo-vecchio Meazza, abbattiamo o salviamo, e l’assenza di una visione più generale, che prenda in considerazione quella straordinaria risorsa rappresentata da una fetta di territorio urbano, da piazzale Lotto e da piazzale Stuparich (fermate metropolitane rossa e lilla, circolare 90 – 91, più altri autobus di diversi percorsi) alla periferia di via Novara, fetta di territorio che sistema in fila Lido, Palazzetto dello sport, Monte Stella (la “montagnetta” per i milanesi, innalzata dopo la guerra grazie alle macerie raccolte nella città bombardata), impianti ippici vari, l'area di San Siro e quindi lo stadio o gli stadi, parco di Trenno, Bosco in città, parco delle Cave, costituendo un asse sportivo e verde, fortemente infrastrutturato e quindi accessibile, a disposizione dell’intera area metropolitana. Per aiutare chi non conosce Milano: un cuneo verde che dall'estrema periferia a nord ovest penetra verso alcune delle zone più popolate e frequentate (e caotiche) della città. Qualcosa di raro e prezioso, che meriterebbe attenzione e un disegno organico per connettere e rivitalizzare i vari spazi, persino per restituire dignità a quel piazzalone intitolato ad Angelo Moratti, fronte stadio, che mette angoscia solo all’idea di percorrerlo, un “vuoto”, colmato una volta alla settimana dai tifosi prima e dopo la partita e dai furgoni-cucina che propongono wurstel e crauti.