Meloni chiama a Roma le madri di Cutro per dire che la colpa è loro

L’umanità è un tratto del carattere che non tutti possono avere e non tutti possono darsi. Il fascismo fabbricava continuamente i suoi santi e ne affollava i libri di scuola per mostrare l’umanità dei suoi portatori di bombe a mano e di pugnali. Ma si trattava di azioni fisiche che richiedevano sempre un nemico. In questo bisogna riconoscere a Meloni un distacco. Gli eroi sono...lei. E quando molti italiani le chiedono di correggere o fermare affermazioni inaudite di Piantedosi o di Donzelli, non si rendono conto che stanno chiedendo a Meloni di smentire se stessa.

In molti abbiamo creduto che il violento e insensato attacco usato come un’arma alla Camera da un personaggio di prima fila dei Fratelli d'Italia contro alcuni membri del Pd che, secondo la legge, avevano visitato dei carcerati, fosse la trovata screanzata di un dipendente.

Quel trucco da questurina

C’è voluto poco ad accorgersi che il "dipendente" era un portavoce, e il portavoce era un altoparlante. Ce ne siamo resi conto ieri 16 marzo, quando Meloni ha usato un trucco da questurina (il titolo tanto amato da Piantedosi che ha fatto tutta la carriera fino a Ministro) per portare a Roma una ventina di sopravvissuti intimiditi e lasciati soli per 15 giorni dopo la tragedia e la scomparsa dei loro figli e congiunti, e, mentre erano bloccati dal protocollo e impossibilitati a uscire, ha fatto loro questa domanda (leggete per favore questa riga lentamente e più volte, tenendo conto che la domanda era rivolta a mamme afghane e siriane ): "Ma voi vi siete rese conto del pericolo in cui avete messo i vostri figli facendogli attraversare il mare?”

Poiché la sala di Palazzo Chigi (usata come residenza e non come ufficio del Primo Ministro) era affollato di cloni e di dipendenti, non sapremo mai come si sia manifestata la botta di stupore degli ospiti forzati. ma sappiamo quanto è profondamente radicata la disumanità di Giorgia Melloni. Pensate, li ha fatti venire ai piedi del trono perchè si rendessero conto della loro colpa, pagata con la tragedia che in questo modo appare voluta e inevitabile.

Ma c’è anche una importante spiegazione e giustificazione in quella tremenda domanda. Vi pare che avremmo dovuto rischiare la vita dei nostri eroici soldati per evitare, anche solo in parte, le conseguenza di una fuga capricciosamente perseguita nonostante gli avvertimenti e le messe in guardia? Ogni discutibile personaggio della storia e della politica ha il suo lato meno perfido, o addirittura buono. In Meloni non lo trovate. Può solo punire o condannare. Il resto si chiama ubbidire. E in questo, non potete negarlo, Giorgia Meloni è fascista.


Steccato di Cutro, quei fantasmi sulla spiaggia del naufragio

Erano in tanti sabato pomeriggio a Steccato di Cutro, sulla spiaggia del naufragio, gli occhi rivolti al mare, col vento che muoveva l’erba alta sulle dune e le bandiere. Tra capannelli di persone, si intravedeva qualche volto noto, il sindaco di Riace Mimmo Lucano, ad esempio, che aveva portato la croce per lunga parte del tragitto. Quella croce fatta del legno della barca avanzato alla tempesta, diventata anche la sua, di croce. Il canto funebre intonato dall’imam ha raccolto tutti in preghiera, ognuno lo ha fatto come sapeva e poteva.

Le testimonianze, quel vento le portava altrove, lontano, dove ci sono anche orecchie che non sentono e cuori duri. “Abbiamo pianto per 13 giorni, ora è il momento dello sdegno”, ha detto una donna. “Sono partito dal mio Paese dopo il ritorno dei talebani, qui a Cutro ho riconosciuto due miei parenti, il terzo è ancora in mare”- ha raccontato un afghano affranto nella sua lingua, tradotta da un connazionale in italiano – Sono giorni che aspettiamo che escano dalle onde. Ho riconosciuto oltre trenta persone, viste in foto, sui telefoni, nei video mandati dalle famiglie. Chiediamo scusa ai residenti se abbiamo bloccato la strada, ma servono rinforzi, prima che sia troppo tardi. La nostra sofferenza è grande”. E, poi, la testimonianza più straziante, quella di un siriano che nel naufragio ha perso il fratellino di sei anni, affidatogli dalla madre: “Non sono stato in grado di salvarlo. Il mio dolore sarà per tutta la vita”.

Ecco perché bisognava essere a Steccato di Cutro, anche solo spiritualmente. Non è mica facile spingersi fino a riva dove ci sono ancora pezzi del relitto, qualche scarpa spaiata, giubbini…Vederli rende meglio la grandezza di ciò che è accaduto qui e anche in altri luoghi. Non sarà più la stessa cosa andare in spiaggia, guardare l’orizzonte, sapendo che altre esistenze sono state inghiottite dagli abissi, aspettare abbracciati il tramonto o costruire castelli con i propri bambini, mentre i fantasmi dei mai diventati adulti aleggiano su quelle collinette di sabbia. E sfortunati sono pure gli abitanti di Cutro allora, che tanti cittadini negli anni hanno consegnato all’emigrazione. Lo testimoniano le abitazioni chiuse, le seconde case che aprono i battenti solo in estate alle famiglie residenti fuori e che tornano in paese, magari per la festa del santo patrono o il matrimonio del parente calabrese.

Passare tra quelle case nel giorno del corteo ha reso l’idea di cosa significhi partire per “fare fortuna” altrove: avere nuove aspettative di vita o cercare un riscatto personale. Qualcuno ce la fa, qualcun altro no. A Steccato di Cutro erano presenti entrambe le possibilità. Forse perchè queste si avverano e palesano soprattutto nei luoghi di frontiera, che oggi sono le coste del Mediterraneo meridionale, ma anche i confini alpini a est e ovest della penisola. Terre sfilacciate, strappate, da cui si parte anche per disperazione e in cui si arriva per lo stesso motivo. Sabato i fiori piantati sulla battigia, le coperte di Yusuf adagiate sulla sabbia o le rudimentali croci di legno sono diventati i simboli potenti di un’umanità che si riconosce, davvero, tutta sulla stessa barca, quando è capace di guardare oltre l’apparenza di carretta del mare per alcuni e di panfilo per altri. Tania Paolino


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Sorella d'Italia. Ma di quale Italia?

Era la prima della classe, abituata all’ammirazione e all’elogio, e si è trovata ad essere la prima responsabile di un delitto di mare (più di 70 morti, decine di bambini) di cui sono vistosamente responsabili i suoi collaboratori, che hanno bloccato aiuti e soccorsi e reso inevitabile il massacro. D’ora in poi noi sappiamo che il fondatore e capo di Fratelli d’Italia non ha - neanche adesso, a strage avvenuta - alcuna obiezione sui salvataggi impediti, sui corpi militari paralizzati da ordini non pervenuti, e sul silenzio per tutta la durata della morte e dopo.

Giorgia Meloni con Matteo Salvini

Giorgia Meloni è certamente il primo presidente del Consiglio italiano che, con la sua carovana di auto ministeriali, ha attraversato un piccolo borgo lungo un percorso blindato da centinaia di carabinieri mentre altre centinaia di persone, offese dal delitto di lasciar deliberatamente morire tutti quei bambini, le tiravano dietro i peluche raccolti in mare insieme ai cadaveri.
Deliberatamente Giorgia Meloni - la donna, la madre, la cristiana del suo urlo di Vox - ha spinto via persone che venivano a dirle che cosa avrebbe dovuto dire una persona con sentimenti normali di fronte alla morte violenta, crudele ed evitabile, se solo gli uomini della Meloni avessero dato gli ordini giusti ai corpi di salvataggio giusti. Erano, subito, sul momento, un medico e un prete a dirci che quel grande spettacolo di morte era in tutto evitabile e che c’erano i mezzi, lasciati inerti e al chiuso. Ma se osavi farlo notare, ti dicevano che stavi insultando eroici militari che avevano fatto ben altro per la patria. Mai, mai, Meloni e i suoi hanno ammesso di avere dato ordini di non salvare. Però gli eroici soldati della Guardia costiera, a differenza di sempre, non hanno salvato. Non penseremo mai che si sia trattato di un impulso omicida spontaneo. Ma continueremo a pensare che l’impulso spontaneo ad abbandonare i deboli che hanno bisogno di aiuto, continui ad essere la guida morale del sovranismo.

La rivelazione, falsa, penosa, ma creduta da molti, è che tutto sia opera degli scafisti, che esigono e incassano cifre incredibili, che rendono all’istante molto ricca una sola persona (pensate a una traversata che costa 4000 euro per ciascuno dei duecento disperati) la quale, dunque, è molto improbabile che resti nel mestiere. A meno che lo scafista, adesso cercato dalle squadre della Meloni in tutto il mondo per “reato universale” di traversata clandestina dei confini (che, come si sa, sono sacri fin dai tempi del duce), da condannare fino a 30 anni di reclusione, sia un operaio che lavora per un mandante (in altri tempi Meloni faceva il nome di Soros, arcinemico ungherese dell’ungherese Orbàn amico e guida della Meloni). In quel caso come riusciranno a beccare nel mondo i mandanti le pur straordinarie squadre della Meloni?

Nello strano e caotico consiglio dei ministri a Cutro si è annunciato anche un rilancio dei centri di accoglienza - vanto non italiano dei Paesi civili - ma, di nuovo, dei centri di rimpatrio, come se i governi dei paesi di fuga (da Damasco a Kabul, dalla Nigeria al Sud-Sudan) fossero in attesa di questo fraterno ritorno, a meno che abbiano una sentenza da eseguire. Perché non ci si è mai impegnati nella ricerca o anche solo nella identificazione del mandante? Perché lo scafista, come l’untore del Manzoni, può essere visto, catturato e, quando possibile, condannato a trent’anni. Lo scafista è la misura dell’odio al vero nemico, il migrante detto “clandestino” (essendo del tutto vietato l’ingresso in Italia, chiunque è clandestino).

cutroRicorderete che vi sono stati molti sbandamenti, all’inizio di tutta questa vicenda (mentre la Lega era impegnata con successo a rovesciare il modo di vedere e di sapere che cosa stava accadendo). Dapprima i colpevoli erano le Ong, ovvero tutte le organizzazioni private che salvavano in mare e portavano “i clandestini” a terra. Di esse si è detto che erano opera di misteriose, potenti organizzazioni. Poi, più modestamente, che guadagnavano salvando, perché più salvavano e più ricevevano sostegno spontaneo dai privati. Salvavano, portavano a terra persone sane e salve, non costavano, non erano contro nessuno.

Sono state ostacolate, combattute, accusate, si sono trovati persino dei giudici per provare, senza successo, una qualche incriminazione. Ricordiamo che sono state chiamate anche “taxi del mare” e colpevoli di tenere un filo di rapporto con gli scafisti, in modo da prendere a bordo gli scampati senza prima buttarli in acqua. La lotta dei governi italiani contro chi salvava e consegnava persone vive e intatte ai porti italiani, è stata furibonda, fino al punto da obbligare (poche settimane fa) navi cariche di persone appena salvate dal mare ghiacciato a restare al largo, senza medici e senza soccorsi, fino a 1500 miglia nautiche per raggiungere un porto lontano assegnato con un impegno sadico raro nelle persone e nei governi normali.

Tutto ciò si è visto rappresentato bene nello squallido isolamento del caotico consiglio dei ministri di Cutro, dove non c’è stato un saluto al sindaco né una visita alla sala del palazzetto dello sport in cui ci sono ancora alcune delle bare (altre sono state portate via in fretta). Invitati alcuni dei parenti delle vittime (a cui nessuno aveva fatto visita) a incontrare la Meloni a Palazzo Chigi, nessuno è andato. Il futuro di Giorgia Meloni comincia a intravedersi.


"Solo colpa degli scafisti": il governo aumenta le pene e nega la verità

L’unica lezione che il governo Meloni ha tratto dalla tragedia di Cutro è la necessità di inasprire le pene per gli scafisti.  Nessuna assunzione di responsabilità, nessuna scusa per i morti dei quali forse non sapremo mai neppure quanti siano e neppure quella minima testimonianza di sensibilità umana che sarebbe stato la visita del luogo della tragedia, l'omaggio alle bare ancora in attesa d'una sistemazione dignitosa. E soprattutto nessun chiarimento sul perché i naufraghi non siano stati salvati quando in tutta evidenza chi avrebbe dovuto farlo non poteva non essere consapevole di ciò che stava avvenendo. L’argomento ripetuto in modo ossessivo e con una sconcertante stolidità dalla presidente del Consiglio è che se nessuno se la sente di sostenere che il non salvataggio è stato un atto deliberato del governo, allora nessuno può criticare il modo in cui la vicenda è stata trattata, fino alla sua amarissima conclusione. Come se non esistessero quelle che anche la più elementare consapevolezza dei doveri di chi gestisce lo stato definisce responsabilità politica.

La conferenza stampa

La conferenza stampa cui Giorgia Meloni si è presentata con i ministri Piantedosi, Nordio, Lollobrigida,  Tajani e Salvini al termine del Consiglio tenuto nella sede del Comune di Cutro, con una scelta che più che riparatoria della scandalosa assenza della capa del governo all’indomani della tragedia è parsa ai più demagogica (oltre che tardiva), è stata una bolgia. La visita era cominciata male, con il corteo di auto ministeriali che attraversava il paese scortata dalla polizia, un'immagine di distanza dalla gente di Cutro davvero sconcertante, ed è proseguita peggio. In una prima fase della conferenza stampa Meloni e Nordio hanno dettagliato tutte le misure che dovrebbero stroncare – così dicono, e chissà se lo credono davvero – la sporca attività dei trafficanti di uomini che speculano sulla disperazione dei migranti costretti a fuggire senza alcuna altra possibilità di farlo se non pagando carissimo il viaggio ai criminali. Le pene verranno aumentate – dice il decreto legge che è stato approvato nella riunione del Consiglio – fino a trent’anni di reclusione se il viaggio produrrà la morte di qualcuno. Gli scafisti potranno essere perseguiti dalla giustizia italiana anche se verranno accertate loro responsabilità per morte o lesioni gravi dei migranti diretti verso le nostre coste fuori dal territorio e dalle acque territoriali del nostro paese. Una sorta di “diritto universale” che dovrà passare qualche vaglio di legittimità e anche di logica (come faranno le procure a stabilire che eventuali imbarcazioni in cui si verifichino incidenti in mare aperto siano proprio in rotta verso l’Italia?). È un fatto, comunque, che sulla lotta al traffico di esseri umani sulle rotte verso l’Italia un’iniziativa del governo c’è. Il problema è che è davvero assurdo ritenere, come con ogni evidenza fa il governo Meloni, che quel capitolo copra la gigantesca dimensione del problema emigrazione e che tutto sia riconducibile ad esso. Anche i rapporti diplomatici con gli altri paesi. Non è chiaro se sia scritto nero su bianco nel decreto, ma Meloni ha declinato in conferenza stampa una sorta di graduatoria secondo la quale gli stati di partenza che collaboreranno con l’Italia nel contrasto al traffico avranno un trattamento di favore per quanto riguarda i flussi di emigrazione legale verso il nostro paese.

Aboliti i permessi umanitari

Anche la ripresa dei flussi migratori legali è stata, insomma, legata strettamente alla lotta contro gli scafisti, unico vero, ossessivo assillo del governo. Nelle parole di Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e perciò ben consapevole della necessità di “braccia” (così si esprimono) nelle nostre campagne, e poi in quelle di Salvini, che ha sottolineato con soddisfazione le limitazioni alle concessioni dei permessi di soggiorno travasate nel provvedimento dai famigerati decreti che portano il suo nome, si è avvertita l’eco dei contrasti che si sono manifestati in seno al governo nei giorni scorsi e che – va da sé – Meloni e poi tutti gli altri hanno negato assolutamente e attribuito alle “fantasie” dei giornalisti. Niente di “fantastico”, comunque, in una infamia ripresa tale e quale da quei decreti nel provvedimento di Cutro: l’abolizione dei permessi di soggiorno per ragioni umanitarie, quelli che hanno consentito in passato di salvare molte persone da espulsioni verso situazioni di pericolo e di compromissione di diritti fondamentali. Una concessione al leader della Lega di cui Meloni si è però vantata come se fosse cosa sua.

Fino a questo punto la conferenza stampa era stata caratterizzata da toni tutto sommato tranquilli. Ma, finita l’illustrazione del decreto legge, le domande dei giornalisti (di alcuni, almeno) hanno sollevato la questione che era, fin dall’inizio, nella mente di tutti: che cosa è veramente accaduto nel mare di fronte a Cutro nella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi? La presidente del Consiglio, sempre più innervosita, ha adottato la linea che ha tenuto fin dal primo momento che, suo malgrado, è stata costretta a parlare. Non c’è niente da chiarire, non c’è alcuna responsabilità se non degli scafisti per quello che è successo: l’imbarcazione non era in distress (come si dice), l’aereo di Frontex l’ha scorta solo in prossimità delle acque italiane e non si capisce – dice lei con un accento polemico che finora era mancato– perché non l’avesse individuata durante il lungo tragitto dalla Turchia attraverso le acque territoriali greche, ha navigato tranquillamente fino a quaranta metri dalla costa calabra dove la sera del 25 si è nascosta per non farsi scoprire dalle forze dell’ordine italiane a terra e sono stati gli scafisti con una manovra avventata a farla rovesciare.

Nervosismo

Veramente la barca si era arrestata a quaranta miglia non a quaranta metri dalla costa. Forse si è trattato di un lapsus, ma l’impressione netta è che Meloni, nervosissima, sparlasse un po’ rendendosi conto di star propalando una versione dei fatti ancor meno credibile di quella fornita in parlamento, e ribadita anche a Cutro, da Piantedosi. E poi il mantra vagamente ricattatorio di questi giorni: se credete che il governo abbia deliberatamente fatto morire i profughi, ditelo come ha fatto qualche giornale (ce l’aveva con la Stampa), altrimenti statevi zitti e bevetevi quello che vi diciamo noi. Che non contempla la risposta alla domanda più semplice di tutte: se le motovedette della Guardia di Finanza mandate per un’azione di polizia verso la barca erano dovute tornare per il mare grosso e lo avevano comunicato alla Guardia costiera perché nessuno, neppure in quel momento, si è mosso per salvare i naufraghi? È la domanda che, lo vogliano o no, Meloni, Salvini e Piantedosi si porteranno dietro finché non ci sarà una risposta.

Al malumore dei giornalisti nella sala del Comune faceva riscontro il clima fuori. I rappresentanti del governo erano stati accolti con cartelli ostili e un lancio di peluche (a ricordare i bambini morti) contro l’auto di Meloni. Non è stata una buona giornata per il governo. Colpa sua.

 


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Cutro, per il governo i morti sono degli intrusi: la missione calabrese non lava la vergogna

Il giorno prima i familiari delle vittime si sono sdraiati sulla strada per una dignitosa ma rabbiosa protesta contro l’ultimo schiaffo ricevuto dalle disposizioni del ministro Piantedosi sul trasferimento, senza avviso, delle salme a Bologna.

Continuano a trattarli come intrusi. Applicano la filosofia del “law enforcement”.

Alcuni abitanti di Cutro e Crotone ieri, intervistati da La7, hanno detto che il governo si presenta solo adesso in Calabria. Con grave ritardo. In ritardo sui soccorsi, in ritardo sulla pietà, in ritardo sulle scuse. E in ritardo storico sui mali endemici del Sud.

Meloni non gridi allo sciacallaggio se oggi si alzeranno grida di “vergogna”. Se le merita tutte. Perché il governo è a Cutro, ma rappresentato anche da Piantedosi e dal vicepremier Salvini il quale arriva con questo programma rivolto al migrante: “Non puoi chiedere asilo, non puoi pretendere tutele umanitarie fasulle, non puoi restare”. Salvini lo ha scritto ieri sui social condividendo le parole del premier britannico Rishi Sunak che vuol mandare gli immigrati in Ruanda.

La strage dei migranti sulle coste della Calabria resterà come una macchia sul governo della destra. Una trasferta di un intero governo, di decine di funzionari, lo spostamento di centinaia di uomini di scorta, di auto e aerei, non servirà a cancellarla. La missione rischia di trasformarsi in un nuovo sfregio. E, attenta Meloni, anche in un boomerang.


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Immigrati, ci sono troppi mister Hyde nel governo

Migranti. Ci entrano nelle orecchie, negli occhi, nella testa. Ci inquietano e ci spaventano, ma ci fanno anche pena, specie quando muoiono, bambini, donne, madri e padri. Quando guardiamo o pensiamo ai migranti siamo tutti - chi più chi meno - un po’ dottor Jekill, che è quello buono, un po’ mister Hyde, che è quello cattivo. Certo, qualcuno, anche al governo, ha solo una dimensione, quella di mister Hyde, e pazienza per i disperati ed imprudenti che vanno a morire in mare. Ma sui migranti siamo soprattutto confusi e perplessi. Vengono a rubarci il lavoro? Vengono a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare e con i loro contributi pagano le nostre pensioni? Sono tutti - più o meno - criminali e spacciatori di droghe che consumiamo soprattutto noi? O sono - tutto sommato - prevalentemente delle brave persone che vorrebbero lavorare e mantenere la propria famiglia in questa Italia e in questa Europa, ricca e stanca, dove non si “fanno” più bambini? Costruiamo muri, che nella storia non sono mai serviti, o apriamo le porte a flussi controllati e sicuri?

immigrati mareVallo a sapere. Buonisti e “cattivisti” ci hanno confuso le idee. Davanti a quelle bare, però, tante, troppe, molte delle quali bianche, un po’ tutti, o quasi tutti, si sono commossi e si sono riconosciuti nell’omaggio silenzioso del nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Certo è passata, anche lei silenziosamente e senza dichiarazioni alla stampa, Elly Schlein, ma conta poco, mentre si è sentito il fragoroso silenzio, a parte alcune dichiarazioni penose, e l’assenza del governo nei confronti di una pietà che dovrebbe essere universalmente condivisa. Il problema, in termini più generali, è che il genere umano - l’homo sapiens, vecchio di 200.000 anni - è “migrante” da quando, circa 50.000 anni, si è messo in cammino, passo dopo passo, ma spesso anche di corsa, dal corno d’Africa per arrivare in Europa, Asia, Oceania, America, dal Polo Nord alla Terra del fuoco. Certo, 10.000 anni fa, hanno/abbiamo inventato l’agricoltura e siamo diventati, anche, stanziali, ma non abbiamo mai smesso di muoverci. Come si fa, allora, a reprimere o a controllare questa inesauribile spinta antropologica che ci appartiene, nonostante l’invenzione del passaporto, che risale al XV secolo nell’Inghilterra di Enrico V?

È complicato, ma il nuovo governo, guidato con mano ferma da Giorgia Meloni, farà sicuramente del suo meglio. Eppure, a parte qualche “inciampo”, come la strage sulle coste della Calabria, i numeri raccontano una realtà diversa. Sono più di 14.000 gli sbarchi clandestini nei primi due mesi del 2023, nonostante l’allontanamento delle navi Ong e vari “taxi del mare”, più o meno complici dei trafficanti di disperati e di morte. Siamo già oltre la media dei 100.000 sbarchi nell’anno precedente, quando Giorgia Meloni tuonava dall’opposizione e Matteo Salvini brontolava dal governo. Ma bisogna capirli, perché il problema è davvero complicato. Certo, bisognerebbe “aiutarli a casa loro”, come aveva cercato di fare Marco Minniti, oppure chiedere al sultano turco Erdogan di rispettare i patti con l’Europa, che paga una tangente di 1,2 miliardi di euro per trattenere, non importa come, migliaia di migranti che vogliono venire a casa nostra, dove si sta molto meglio che a casa loro.
Ma ricordiamoci che anche noi, come si sa, siamo stati e forse lo siamo ancora un po’, “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori” (=“migranti”). Firmato Benito Mussolini.


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Abbracciati

Appena arrivato ho visto tanta gente gridare, cercando di raggiungere la spiaggia. Mi sono avvicinato ancora di più e ho scorto tanti di loro ormai senza vita trascinati dalle onde. Ho iniziato a tirar fuori dall’acqua quanti più cadaveri potevo. È stata una corsa contro il tempo. Ho visto tanti bambini, alcuni molto piccoli, senza vita. Ricordo in particolare due di loro, un maschietto e una femminuccia, sembrano gemelli, li ho tirati fuori che erano ancora abbracciati.

Antonino Grazioso, pescatore di Cutro


Migranti, l'enorme naufragio in Calabria accompagnato dalle parole brutali di Meloni e Piantedosi

Una tragedia del mare enorme, una tra le peggiori della storia delle migrazioni attraverso il Mediterraneo.

I numeri certi sono solo quelli dei sopravvissuti, 81, (28 afghani, 16 pakistani, altri da Iran, Somalia e Palestina), e quelli dei morti recuperati, al momento 61 di cui 14 bambini e un neonato, lungo alcuni chilometri di spiaggia disseminati dai resti di un peschereccio di legno spezzatosi a causa del mare fortissimo ad appena 100 metri dalla terra.

Ma il mare Jonio, davanti alle coste del Crotonese, ne “nasconde” e probabilmente mai restituirà un numero imprecisato: tra i 100 e i 110, secondo i superstiti, tra i 10 e i 40 secondo la prefettura di Crotone. Un gioco al ribasso, quello delle autorità, rispetto al quale non dev’essere stato indifferente l’input di Matteo Piantedosi, il ministro dell’Interno. E proprio il ministro ha mostrato l’aspetto più feroce della sua inquietante maschera di “cattivo” del governo, peraltro in buona compagnia della presidente del consiglio Giorgia Meloni.

Il volto feroce del governo

I due, mentre ancora i soccorritori lottavano disperatamente per togliere dal mare i superstiti e ammassavano lungo alcuni chilometri di spiaggia i morti, non hanno saputo fare altro che dire “non devono partire” e ripetuto la solita litania applicata ai migranti africani che si muovono verso l’Italia dalla Libia, senza rendersi conto che avrebbero dovuto cambiare copione: il naufragio non è stato, infatti, il solito a cui siamo oramai abituati. No, stavolta il barcone proveniva dalla Turchia, da Smirne, e trasportava in prevalenza disperati di quattro differenti nazionalità: afghani, iraniani, pakistani e probabilmente qualche somalo.

Persone, esseri umani, che fuggivano senza ombra di dubbio da situazioni equiparabili alla guerra in paesi dove è in corso una inumana repressione verso chi rivendica libertà democrazia diritti. Per giunta la rotta marina ha il punto di partenza in Turchia dove il terremoto ha “distratto” le autorità dai controlli e la rotta di terra verso il nord Europa attraverso i Balcani è sempre meno praticabile per le vessazioni inflitte dai paesi attraversati.

Sostenere che “non devono partire” è semplicemente brutale, come se ai talebani e agli ayatollah gliene importasse qualcosa e a Erdogan in questo momento in particolare possa passare per la mente di intavolare una qualche discussione con l’Italia e l’Europa.

Ma Meloni, Piantedosi e tutta la maggioranza di destra (compreso il ministro degli Esteri Tajani, che per l’occasione ha dismesso il ruolo di “mite e ragionevole”) hanno fatto anche di più rivendicando come un trofeo l’azzoppamento delle Ong destinate a porti sempre più lontani dopo i soccorsi, “espulse a tempo” dalla navigazione e multate.

“Questa non è una tragedia, è la conseguenza di scelte precise da parte del governo italiano e dell'Europa. Se ci fossero i mezzi a soccorrere nessuno morirebbe in mare", dice Veronica Alfonsi, presidente di Open Arms Italia.

E Medici Senza Frontiere, la cui nave di soccorso Geo Barents è stata punita con un fermo amministrativo di 20 giorni e non può levare le ancore dal porto di Ancona, aggiunge: "Nel Mediterraneo si continua a morire in modo incessante in un desolante vuoto di capacità di soccorso. È umanamente inaccettabile e incomprensibile assistere a tragedie evitabili. È un pugno sullo stomaco, non ci sono altre parole".